Omelia, Viggiano, 11.09.2021

11-09-2021

Omelia, Viggiano, 11.09.2021

Carissimi fratelli e sorelle, care famiglie in pellegrinaggio nazionale, per la Basilicata qui a Viggiano, pellegrinaggio delle famiglie per la famiglia, pace e gioia nel Signore. Saluto tutti, in particolare gli organizzatori e responsabili del movimento del Rinnovamento nello Spirito, del Forum delle famiglie, dell’Ufficio regionale per la pastorale familiare, con il beneplacito della CEI e della CEB. Saluto il rettore parroco del santuario regionale don Paolo, i sacerdoti concelebranti don Michele e don Michelangelo, don Vincenzo, i ministranti, il sindaco di Viggiano e le altre autorità civiche, amministrative, militari e culturali convenute. Questo pellegrinaggio, in contemporanea con venti santuari mariani d’Italia, è compiuto anche in preparazione all’incontro mondiale delle famiglie a Roma nel giugno 2022, e anche nell’anno speciale “Famiglia Amoris laetitia”, a cinque anni dell’Esortazione apostolica di papa Francesco, nonché nell’anno speciale di S. Giuseppe, patrono della famiglia e della Chiesa universale. Porgo il saluto affettuoso e incoraggiante della Conferenza Episcopale di Basilicata, di mons. Ligorio, arcivescovo metropolita di Potenza-Marsico Nuovo-Muro Lucano, di mons. Caiazzo, arcivescovo di Matera-Irsina, di mons. Orofino, vescovo di Tursi-Lagonegro, di mons. Intini, vescovo di Tricarico, di mons. Fanelli, vescovo di Melfi-Rapolla-Venosa. Presiedo questa Eucaristia con l’incarico del presidente della CEB, mons. Ligorio e in qualità di arcivescovo di Acerenza, Delegato in Regione per la pastorale familiare.

Abbiamo ascoltato la parola di Dio prevista per questa domenica. Nella prima lettura il profeta Isaia descrive la situazione di persecuzione e di pericolo in cui egli si trova a causa della predicazione della volontà di Dio e della sua parola chiara e veritiera. C’è nella profezia il riferimento ad un altro perseguitato e offeso, il futuro Messia, servo sofferente del Signore, cioè Gesù Cristo. Il profeta dice dunque la sua completa disponibilità a Dio, pur nella sofferenza e nella prova, nel rifiuto, nell’emarginazione: “Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro” (Is 50,5). Cari sposi, cari figli, care famiglie, non ci troviamo anche noi nella stessa situazione? Cioè di rifiuto anche nella nostra epoca e nella società in cui la vita stessa viene scartata e vilipesa fin dal suo albore del concepimento e poi continuamente dall’infanzia, giovinezza, vita adulta, anziana, ammalata, fino ad arrivare alla cosiddetta falsa “eutanasia”, cioè la soppressione, come suicidio indotto o omicidio provocato, dei disabili, degli anziani, dei malati incurabili. Tra guerre, odio, fame, sete, epidemie, terrorismi, dittature, il Signore ci apre l’orecchio, per ascoltare la sua parola di vita, di testimonianza, di impegno esplicito ed efficace. Non dobbiamo opporre la resistenza del nostro timore, delle nostre paure. Non dobbiamo tirarci indietro con il nostro complice silenzio e il rifugio nella mancanza di coraggio.

Incalza l’apostolo Giacomo nella seconda lettura. Se uno dice di avere fede, di amare Cristo, di essere famiglia cattolica, di essere cristiano, e diciamo pure di essere solamente persona onesta e giusta, come si può affermare questo senza le opere? E’ una fede morta, dice l’apostolo, è un perbenismo di facciata, ma che nasconde solo egoismo e chiusura. Che famiglia cristiana e cattolica è, se non coltiva al suo interno la mansuetudine, la carità, la cura, il perdono, la preghiera, la pratica dei Sacramenti, la lettura assidua della parola di Dio, la carità verso i poveri e i bisognosi. Se non apre la porta, con misericordia, agli affamati, agli assetati, agli ignudi, ai forestieri (leggi oggi anche migranti e profughi), ai malati e ai carcerati. Che famiglie per la famiglia? “Mostrami la tua fede senza le opere e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede”, abbiamo inteso dall’apostolo nella seconda lettura (Gc 2,18). E’ questa una delle forti costanti dell’insegnamento di Papa Francesco fin dall’inizio della sua missione tra noi.

Ecco allora il titolo di questo pellegrinaggio: “Nella comunione… la gioia”. La comunione dono di Dio all’umanità e alla sua Chiesa, che si fa gioia di condividere, di credere, di amare insieme, che si fa cammino coraggioso, sostenuti reciprocamente e da Dio provvidente. La famiglia è maestra di comunione e gioia. Nella famiglia, Chiesa domestica, si sperimenta fin dall’inizio che si è più beati nel dare che nel ricevere (cfr Atti 20,35) e Dio ama chi dona con gioia (cfr 1Cor 9,7), parole di Dio, che papa Francesco ci ricorda nella Gaudete et exsultate, n. 128, per tutti, ma specialmente parole validissime per l’ambito familiare in cui si conosce benissimo cosa significhi la gioia del donare e l’amore di Dio per coloro che donano se stessi, il proprio tempo, la propria vita intera per gli altri in famiglia.

In effetti è Gesù che lungo la strada della nostra vita, delle famiglie, del matrimonio, della fede, ci domanda che cosa si dice di lui, come fece con gli Apostoli; ci chiede sempre come sposi, sacerdoti, giovani e adulti, uomini e donne, se abbiamo chiaro dentro di noi e nelle nostre famiglie la sua identità, la sua missione e il suo amore. Se siamo almeno attenti alle voci e ai silenzi della nostra società e delle nostre famiglie, dovremmo rispondere qualcosa, quello che oggi si dice in giro di Gesù: una persona ammirevole ma ormai del passato, un simbolo di amore e di pace, un personaggio mitico mai esistito, un argomento che non interessa, una figura che la Chiesa dichiara e che provoca in tanti anche il rifiuto, se non rabbia. Ma Gesù, va oltre, e chiede a tutti e a ciascuno, a noi qui questa sera: “Chi sono io per voi, per te, per le famiglie?”.  Con l’apostolo Pietro noi rispondiamo: “Tu sei il Cristo!”, cioè colui che il Padre ha consacrato di Spirito Santo e mandato per la salvezza del mondo e per rivelare che lui è il Figlio eterno e coeterno di Dio Padre. Ma in che modo è il Cristo, il Consacrato Salvatore? Non con trionfalismi e sconfitte violente degli avversari. Ma in un modo sconosciuto alla superbia umana: con l’umiltà potentissima della sua croce. Pietro, con gli altri, resta allibito, tanto da opporsi risolutamente al maestro, tanto da rimproverarlo. La reazione del Signore non si fa attendere e a sua volta riprova l’apostolo: “Va dietro a me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!” (Mc 8,33). Una parola così lapidaria e spiazzante rivolta a noi stasera, qui a Viggiano, sotto lo sguardo di Maria, che pensò sempre secondo Dio, mai secondo gli uomini. Benedetto il Nome di Maria, Vergine e Madre!

Una parola che viene rivolta alla società in cui siamo inseriti, alle scelte diverse che moltissimi vogliono operare a tutti i livelli per non pensare secondo Dio o almeno secondo ragione. L’aborto procurato, l’abbandono dei figli, la corruzione degli adolescenti e dei giovani, il fidanzamento superficiale, il matrimonio irresponsabile, la contraccezione in tutte le forme, i divorzi all’ordine del giorno, gli adulteri e i tradimenti tra coniugi, i figli desiderati egoisticamente anche con tecniche che escludono l’amore coniugale, lo stravolgimento della dignità dell’uomo e della donna unici solo loro a formare una famiglia ed avere figli, l’abbandono degli anziani, l’eutanasia dei disabili e degli ammalati e i tentativi di legalizzarla, la riduzione della persona umana a entità biologica solo materiale, quindi manipolabile, sfruttabile, commerciabile, e scartata infine perché non più utilizzabile. Questi sono pensieri umani, anzi disumani, non secondo Dio e neppure secondo quel barlume di ragione che ancora potrebbe essere nel cuore.

Ma la responsabilità più grande non è solo del mondo, o del pensiero piatto contemporaneo, ma è nostra di discepoli di Cristo, mandati da lui nel mondo per amare Dio e l’umanità, annunciando Cristo e vivendo il suo Vangelo. Noi sappiamo bene, come singoli e come famiglie, che per seguire lui, andare dietro a lui, come si mette in buon ordine subito l’apostolo Pietro dopo la tentazione di impedire la croce, significa rinnegare se stessi, ossia con l’aiuto di Cristo scrostare e limare ogni ostacolo che abbiamo nell’accogliere la parola e la grazia del Signore. Occorre prendere la propria croce, cioè tutto il peso della nostra umanità, ma redenta dalla croce del Cristo e quindi seguirlo con fedeltà e amore. Certo, se noi ci vergogniamo di essere testimoni della fede, se noi abbiamo timore di dire il Vangelo e di praticarlo, volendo salvare la vita nelle sue comodità, reticenze e finzioni, Gesù ci assicura che sarà già da adesso una vita perduta, perduta per sempre, anche nell’eternità. Se invece la doniamo a Cristo, pur nella sofferenza, rifiuto e martirio, cioè per lui e la verità del suo Vangelo, questa vita sarà santa e salva, perfino nella morte più dolorosa, sapendo che ci attende la vita piena e totale, eterna e luminosa.

Noi, con questo pellegrinaggio di famiglie, non vogliamo denunciare, recriminare, rivendicare, giudicare. Non soltanto, e ne abbiamo la libertà, la forza e il diritto. Vogliamo stasera solo annunciare che nella comunione c’è la gioia, e nella vita del papà, della mamma, dei figli, dei nonni c’è la comunione e la gioia. Vorrei terminare con il famoso, o forse adesso già dimenticato, discorso di S. Giovanni Paolo II a Washington, il 7 ottobre 1979: We will stand up, “Noi ci alzeremo in piedi”, non per combattere con altra violenza, ma per offrire la nostra vita per la vita degli altri.  Affermò papa Wojtyla davanti tutti: “Ci alzeremo in piedi ogni volta che la vita umana viene minacciata… Ci alzeremo ogni volta che la sacralità della vita viene attaccata prima della nascita. Ci alzeremo in piedi e proclameremo che nessuna ha l’autorità di distruggere la vita non nata… Ci alzeremo quando un bambino viene visto come un peso o solo come un mezzo per soddisfare un’emozione e grideremo che ogni bambino è un dono unico e irripetibile di Dio… Ci alzeremo quando l’istituzione del matrimonio viene abbandonata all’egoismo umano… e affermeremo l’indissolubilità del vincolo coniugale. Ci alzeremo quando il valore della famiglia è minacciato dalle pressioni sociali ed economiche… e riaffermeremo che la famiglia è necessaria non solo per il bene dell’individuo ma anche per quello della società… Ci alzeremo quando la libertà viene usata per  dominare i deboli, per dissipare le risorse naturali e l’energia e per negare i bisogni fondamentali delle persone e reclameremo giustizia… Ci alzeremo quando i deboli, gli anziani  e i morenti vengono abbandonati in solitudine e proclameremo che essi sono degni di amore, di cura e di rispetto”. We will stand up, “Noi ci alzeremo in piedi. Non per colpire, ma per offrire noi stessi per amore della vita, delle famiglie, della Chiesa, del mondo… per amore di Cristo, via, verità e vita. Vita! Non morte! Vita!