Omelia, novena di S. Egidio abate, Latronico, 30 agosto 2020      

30-08-2020

Omelia, novena di S. Egidio abate, Latronico, 30 agosto 2020

Su Ger 20,7-9; salmo 62(63); Rm 12,1-2; Mt 16,21-27.

Carissimi fratelli e sorelle, devoti di S. Egidio, carissimo parroco don Giovanni, ti ringrazio per l’invito rivoltomi ancora quest’anno, volentieri ho accettato per il legame forte verso Latronico, verso il culto dell’Abate taumaturgo e verso di te, cari concelebranti don Pietro, don Antonio, don Giorgio, che mi dicono proveniente da Nazaret, che onore! Care suore, collaboratori laici della parrocchia e della basilica. Prego per il caro nostro vescovo S.E. Mons. Vincenzo Orofino, che mi ha dato la sua benedizione per questa presidenza liturgica.

Come deve essere, nell’omelia, mi faccio parlare dalle Sacre Scritture, specie quelle previste per il giorno, e oggi per questa domenica: le Scritture ci fanno comprendere la vita e l’esempio della Vergine Maria e dei Santi e ci aiutano a uniformare alla parola divina anche la nostra vita. La biografia dei Santi resterebbe relegata nel passato, seppure mirabile e ritenuta imitabile. Specialmente in questi tempi in cui il passato sembra ininfluente sul pensiero e sulle azioni, il solo riferimento alle loro gesta sarebbe un ricordo che potrebbe avere il sapore di museo. Invece dal profeta Geremia ascoltiamo in questa domenica che Dio è così forte nei confronti dell’uomo tanto da essere chiamato “seduttore”: il giovane profeta vorrebbe sottrarsi alla potenza di amore e di vocazione del Signore, ma sente dentro di sé in fuoco ardente per cui, nonostante avversione e perfino pericolo di morte, deve annunciare la volontà di Dio e la sua parola, deve seguire ed eseguire i suoi comandi, non può ignorare la sua presenza (Cfr Ger 20,7.9) Anche il giovane Egidio di Atene, già desideroso di seguire la fede genuina ed esaltante che solo in un cuore giovanile aperto e sincero poteva esprimersi, non riuscì ad evitare il Signore che lo chiamava a vivere integralmente il Vangelo. Sedotto da tale forza d’amore lasciò tutto, perfino la patria, per venire in occidente, non a Roma e nelle citta romanobarbariche, ma ancora più lontano, nelle selve della Gallia meridionale. Lasciò il sole del mediterraneo, per quei monti umidi e nebbiosi, per la solitudine delle caverne, per cercare solo Dio, per incontrare sé stesso, per dare un messaggio agli uomini. Gli eremiti non sono soli, ma sono un mondo dove si incontrano Dio, l’io e gli altri.

Ma c’è di più. I cristiani dell’oriente sapevano bene che nell’occidente dei popoli nuovi, ricchi di audacia e tenacia, ma poveri di cultura e di fede, c’era da conoscere ancora meglio il Vangelo di Cristo, c’era bisogno ancora una volta della Chiesa “in uscita”, come si dice oggi, a volte senza prefisso e senza suffisso, cioè non si dice da dove, come e verso dove. S. Egidio fa parte di quella schiera di cristiani romani e greci che presero sul serio l’impegno per l’evangelizzazione, non solo con la parola, ma con il sacrificio della propria vita, sia per coloro che ancora non conoscevano il Cristo, sia per coloro che pur battezzati lo conoscevano poco e ancora stentavano a vivere la fede e le sue conseguenze morali e sociali. Questi anacoreti dei nuovi deserti occidentali non avevano potere umano o prestigio sociale, non erano funzionari ecclesiastici, non avevano appoggi politici, avevano solo se stessi e la fedeltà a Cristo. Così era Egidio, quel colto ateniese, che nel cuore custodiva la parola del salmo: “Ha sete di te, Signore, l’anima mia” (salmo 62/63,2).

Cosa succedeva nel suo animo, sia nel silenzio di anni, nutrito da una cerva, sia poi scoperto e ammirato come patriarca e maestro di numerosi giovani e discepoli che attorno a lui, come abbas, padre, costituirono il monastero e l’irradiazione di spiritualità e cultura per tutto il territorio circostante? Che c’era di tanto affascinante e convincente in Egidio. Ce lo dice la seconda lettura dalla lettera di S. paolo apostolo ai cristiani di Roma: come deve essere per ogni battezzato, Egidio offriva il suo corpo come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio. Era questo il suo culto spirituale, cioè di non conformarsi a questo mondo, ma di lasciarsi trasformare, rinnovando il suo modo di pensare per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono a lui gradito e perfetto (cfr Rm 12,1-2). Aveva compreso però che la causa di tutto ciò non è la capacità umana, ma invece è la misericordia di Dio, come si esprime l’Apostolo. E la lettura breve che la liturgia delle ore prescrive per i Santi. Cioè per la Chiesa i santi sono cosi: non sono conformi, ma si trasformano, hanno un’altra forma, hanno al forma di Cristo che si è offerto al Padre sulla croce nella potenza dello Spirito Santo. Ecco che cosa c’era nel cuore di Egidio, ma l’Apostolo parla di “corpo”, la santità si vede, si percepisce nel corpo del cristiano santo, cioè nell’intera sua personalità. Ci suggerisce il Vangelo che questa trasformazione è il mistero pasquale che vive in loro. A Pietro, che lo vuole distogliere dalla volontà del Padre, Gesù dice che non pensa secondo Dio, ma secondo gli uomini e lo invita a rimettersi dietro di Lui. E Pietro fa subito, tanti cristiani lo hanno seguito, pure il nostro S. Egidio: mettersi avanti Cristo significa ostentare il proprio io con le sue convinzioni, desideri e passioni, significa la ricerca spasmodica di gloria e di onore, per oscurare Lui, la sua missione e identità, la sua bellezza e santità. Gesù ci dice nel Vangelo odierno: “Mettiti o rimettiti dietro a me e pensa secondo Dio, cioè rinnega quella parte di te stesso, spesso tutto te stesso, che si oppone a me, lasciala via, prendi me, fatti sedurre da me, offri te stesso in sacrificio, prendi la tua croce e seguimi. Senza di me potrai pensare di salvare la tua vita, ma sbagli; se segui me ti sembra di perderla, ma invece ti assicuro che è guadagnata” (cfr Mt 16,21-26).

Fratelli miei, chi la salva la perde, chi la perde la salva. La spiegazione di questo paradosso di Gesù sta in quella incisa, “per causa mia”, cioè per lui. Gesù ancora una volta mette come causa la sua persona: bisogna offrirgli la vita, non solo per la sua dottrina o per i suoi miracoli, ma per lui crocifisso e risorto.  Se non ricopriamo che la vita cristiana, la missione della Chiesa, il culto liturgico e sacramentale, l’impegno morale e sociale del discepolo, sono per lui, sia come causa e sia come fine, noi non riusciremo in niente, oggi più di ieri. Tanto che nel Vangelo odierno Gesù incalza dicendo che guadagnare il mondo intero non serve a niente se si perde la vita, cioè quella vita piena, totale, eterna. Infatti il giovane Egidio di Atene guadagnò vita autentica e mondo intero rinunciando a quel piccolo mondo benestante e chiuso che aveva in Atene per un mondo di fede e di preghiera dove la sua vita ebbe la pienezza. Soldi, onori, posizioni sociali, benessere, ambizioni, potere, piacere: si può vendere la vita vera e dignitosa nell’umanità e nella fede per queste cose false e idolatriche, ma poi ti accorgi che hai rovinato te stesso. La vita vale per quello che si è, non per quello che si ha.

Ma perché Gesù di Nazareth è tanto esigente? chi è costui che chiede una scelta assoluta per lui? nessun profeta sedicente o fondatore di religione ha preteso tanto dagli uomini e da suoi seguaci. Perché solo lui e non un insieme di belle parole e il meglio di tutte le religioni e “vissero tutti felici e contenti”? L’ultimo verso del Vangelo odierno ci dà la risposta lapidaria: perché lui è il profeta definitivo, il Messia, ossia il Cristo; è il Figlio del Dio vivente ed è “il Figlio dell’uomo che sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, per rendere a ciascuno secondo le sue azioni” (cfr. Mt 16,27). Non c’è bisogno di aggiungere altro, bisogna solo fidarsi e affidarsi, bisogna partire, e perdere/guadagnare la vita per lui e basta. S. Egidio disse e dice: solo Lui basta.