OMELIA MERCOLEDÌ DELLE CENERI

ACERENZA CATTEDRALE, RITIRO SEMINARIO MAGGIORE DI BASILICATA
02-03-2022

Seminario Maggiore, ritiro mensile, Acerenza, mercoledì delle Ceneri, 2 marzo 2022, ore 17.30.

  1. Messa, su Gl 2,2-18; 2Cor 5, 20-6,2; Mt 6, 1-16.16-18.

 

Carissimi fratelli e sorelle, cari sacerdoti concelebranti, parroco don Nico, e giovani seminaristi del Seminario Maggiore di Potenza, accompagnati dal rettore don Angelo e dal vicerettore don Antonio: stiamo vivendo in ritiro questo giorno di digiuno e di astinenza a cui la Chiesa ci invita, anche con obbligazione spirituale e liturgica, specie per gli adulti dai diciotto ai sessanta anni. In particolare saluto i giovani del Seminario che da stamane sono in ritiro spirituale con noi al centro Tabor.  Dobbiamo stare in preghiera per ricordarci che siamo fatti per il Signore, non schiavi del tempo e delle occupazioni invadenti e non necessarie; dobbiamo digiunare perché la maggior parte dell’umanità digiuna e stenta per cibo e acqua, oppressa dall’ingiustizia e dalle guerre, allenandoci, corpo e anima, per rinunciare al peccato; dobbiamo aumentare il soccorso ai bisognosi di ogni circostanza, perché noi stessi abbiamo sempre bisogno di Dio e degli altri, nelle svariate situazioni della vita.

Dobbiamo fare questo perché il diluvio purificatore durò quaranta giorni; perché Mosè sul Sinai stette digiuno faccia a faccia con Dio per quaranta giorni; perché nel deserto il popolo eletto peregrinò per quaranta anni; perché Elia si rifugiò sull’Oreb per quaranta giorni; perché Giona predicò la conversione ai Niniviti per quaranta giorni; perché Gesù nostro Signore digiunò e pregò per noi per quaranta giorni nel deserto e tentato da Satana.

Abbiamo ascoltato dal profeta Gioele che è tempo di ritornare a Dio con tutto il cuore. Non occorre l’appariscenza dell’ipocrisia, come ci mette in guardia Gesù nel Vangelo: fare le cose per essere visti e giudicati come santi e virtuosi, quando sappiamo dentro di noi che non è vero. Il cuore lacerato, spezzato, nel pentimento e nella confessione sincera dei peccati, in un meticoloso esame di coscienza alla luce della parola di Dio. La conversione, contro l’inversione o la per-versione del cuore idolatra: cioè cambiare mente e modo per seguire, con la grazia del Signore, la sua strada di vita e di verità.  Tutto questo per noi cristiani in una società che, pur provata da pandemie e da guerre, non riesce a fare il passo del ritorno alla preghiera, ai Sacramenti, alla testimonianza cristiana per l’evangelizzazione del mondo.

Un digiuno e una riunione sacra per il popolo: anziani, giovani, sposi e famiglie, sacerdoti: “Perdona Signore al tuo popolo”. Come sono vere sempre queste parole ispirate: non c’è nulla da ridere, quando vediamo la gente scoraggiata e impaurita per povertà e malattie o le immagini che giungono dal mondo con nazioni in guerra e tra popoli discepoli di Cristo. Ci domandiamo: dove è finita la fede di quei popoli di tradizione secolare cattolica o ortodossa? Dove sono finite tutte quelle manifestazioni di devozione a Cristo Sapienza, alla Madre di Dio, ai Santi, tutte le manifestazioni religiose e i sacramenti, il Credo nel Dio della pace. Un’ostentazione ipocrita, come afferma il Vangelo, ma in pratica si ordisce come avere supremazie, come comandare e non invece servire e amare. Invochiamo la gelosia divina, di cui ci parla oggi al Scrittura, per gli innocenti perseguitati e aggrediti, che Dio si muova a compassione del suo popolo sempre aggredito da Satana.

Ai Corinzi l’apostolo Paolo si presenta come ambasciatore della riconciliazione, supplicando in nome di Cristo: ecco il momento favorevole, l’occasione di fare il bene, cioè di seguire il solo buono, Dio. Adesso ne abbiamo l’occasione, il kairòs, afferma papa Francesco nel messaggio per questa Quaresima, ecco il giorno della salvezza. La preghiera, la penitenza e la carità servono a questo: sono il tempo favorevole per convertirsi, per essere riconciliati e ambasciatori e collaboratori di Dio.

Il gesto delle ceneri: distingue il rito romano della Quaresima. Nella riforma liturgica alcuni avrebbero voluto eliminarlo, aveva sapore di tempi passati, di una visione antiquata e macabra del cristianesimo, che invece sarebbe solo ottimismo, progresso, successo, personale e comunitario. Praticamente la tentazione prometeica e pelagiana che in gran parte ha distinto certa teoria teologica e prassi pastorale degli ultimi decenni. Poi saggiamente si decise di lasciarlo: arricchito della nuova formula “Convertiti e credi al Vangelo”, accanto all’antica “Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai”.

Nell’Antico Testamento ogni atto di pentimento, singolo o collettivo, era accompagnato da digiuni, cenere sul capo e vestito di sacco. Con questo gesto liturgico il credente riconosce di essere creatura, di essere peccatore e di essere per questo motivo un mortale destinato al disfacimento del corpo in polvere. La cenere poi rimanda alla creazione e alla redenzione, quando dalla polvere Dio ci ha creato e nella risurrezione di Cristo il nostro corpo, ritornato alla terra, risorgerà in un corpo incorruttibile e immortale.

La cenere poi è ricavata dai rami della Domenica delle Palme dell’anno precedente, per cui risulta evidente il legame liturgico con la morte e la risurrezione di Cristo. La cenere benedetta: un segno di umiltà e di realismo cristiano per abbassare la superbia e la violenza, l’odio e la guerra contro gli altri, per ammansire l’egoismo e l’ira che abitano nel cuore. Un pizzico di cenere sul capo come segno esterno di conversione vera e la fede nel Vangelo di Cristo. La pandemia ci ha dimostrato, e ci dimostra ancora, la cenere che siamo, i carri armati alle porte ci dimostrano quello che noi possiamo ridurre in cenere: solo la carità, la penitenza e la preghiera possono portare pace e conversione al nostro cuore oppresso e inquieto, in nome di Cristo. Gesù Cristo, che è sempre il momento favorevole.