Omelia, Domenica delle Palme 2021

28-03-2021

 

Omelia, Domenica delle Palme, 28.03.2021

Cari fratelli e sorelle, reverendi presbiteri e diaconi, stimati canonici: “Ecco, noi saliamo a Gerusalemme” (Mt 20,18), ci ha esortato papa Francesco per questa Quaresima e Settimana Santa, citando la parola di Gesù ai suoi apostoli, e quindi a noi. Entriamo con Cristo a Gerusalemme agitando la palma della vittoria e stendendo ai suoi piedi i mantelli della nostra vita, gridando anche noi: “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il Regno che viene! … Osanna nel più alto dei cieli” (Mc 11,9-10). Questa acclamazione di gioia è stata innalzata a Cristo buon Pastore e Salvatore amabile in tutte le comunità dell’Arcidiocesi in occasione della Visita Pastorale di questi due anni. “Venga il tuo regno!”, è l’invocazione della preghiera domenicale.  Venga il Regno di Cristo Gesù, che con noi e in noi vuole perpetuare la Pasqua del suo amore e della sua salvezza.

L’itinerario diocesano sulla regalità del Signore, servo del Padre e dell’umanità, trova nell’ascolto del Vangelo di oggi, nuovo suggerimento e impulso. “Tu sei il re dei Giudei?”, domanda Pilato. Gesù risponde brevemente in tono affermativo: “Tu lo dici” (Mc 15,9). E poi solo silenzio. Sì, vuol dire Gesù, sono Re, e lo stai affermando, ma sono il re del silenzio davanti a tutto ciò che mi farete. Siamo nell’anno pastorale diocesano sull’incarico di reggere e servire, che Cristo ha affidato alla Chiesa e alla testimonianza di ogni fedele. Nel Vangelo della Passione poche vere assolute parole del Re di Verità, e poi il silenzio. Verrà deriso, oltraggiato, flagellato e crocifisso, con quel cartiglio che resterà scolpito nei secoli: “Gesù Nazareno, Re dei Giudei” (cfr. Mc 15,26), dell’antico popolo dei Giudei e del nuovo popolo che seguirà il giudeo Gesù, Messia Figlio di Dio.

Ci fa pensare questo eloquente silenzio di Gesù. Attorno a lui tutti parlano, giudicano, domandano, ingiuriano, colpiscono, tradiscono, fuggono, flagellano, uccidono. Lui porta tutto sul suo dorso insieme alla croce, la somma di tutti i peccati dell’umanità, dall’origine fino alla fine: solo il prezzo del sangue del Dio fattosi uomo poteva e può sanare tanto inimmaginabile cumulo di peccato e di male. Di fronte a tanta umiliazione e all’orrore della croce viene anche a noi la domanda: “Tu sei il re? Così, in questo modo, tu sei il mio re? Inchiodato sulla croce come me tante volte? Perché non scendi e mi fai vedere che sei re? Perché muori così, invece di trionfare e di vincere?”. In quel “Tu lo dici” c’è l’invito di Gesù a riconoscerlo quale è, vero Re, non come pensa il governatore romano Pilato, avvezzo alla violenza e alla prepotenza, che sbrigativo dissimula e non vuole indagare fino in fondo. A noi è richiesto non soltanto di domandare, non soltanto ricevere da lui la risposta, ma a noi è richiesto di dirlo sempre nel cuore, nella vita e nell’impegno: “Tu sei il vero Re, perché il vero potere è quello dell’umiltà e dell’amore che si dona totalmente. Solo così il discepolo sarà re, cioè con e in Cristo servo dell’umanità, nella Chiesa, anche affrontando difficoltà, sofferenze e rifiuto. “Tu lo dici soltanto, che sono re? Oppure sei disposto a seguirmi per la mia strada di passione e di risurrezione?”, ci chiede il Signore.

In quel silenzio di passione interrotto solo da poche parole, possiamo cogliere l’altra espressione famosa del Vangelo proclamato: “Eloì, Eloì, lemà sabactàni, Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato!” (Mc 15,34). Gridò a gran voce. Non mi hanno mai convinto le interpretazioni circa un preteso dubbio disperato di Gesù, in contraddizione con tutto il suo Vangelo. E’ invece l’uomo del salmo biblico che invoca e prega, che offre a Dio tutto il suo dolore e la sua agonia, che sente in quel momento la solitudine della morte, ma che si affida sempre e totalmente al Padre. E’ stato consegnato nelle mani dei nemici, adesso lui liberamente consegna lo spirito nelle mani del Padre. Si può comprendere il grido di Cristo sulla croce se si prega come lui, in quel momento estremo, il Salmo 21 sulle sofferenze e la gloria del giusto. E’ un grido a cui Dio sembra lontano dalla salvezza, un grido continuo di giorno e di notte, senza tregua.  Il sofferente del Salmo si sente come un verme, rifiutato e disprezzato, beffeggiato e deriso. Mettono in dubbio l’amore di Dio per lui, che non lo salva, l’angoscia è vicina e non sembra esserci aiuto. Come dei tori lo accerchiano, come leoni che ruggiscono, come un branco di cani famelici, come una banda di malfattori. La descrizione della sofferenza estrema è impressionante: un corpo liquefatto come acqua versata, le ossa slogate, il cuore fuso come cera, le forze inaridite, la bocca arsa, mani e piedi scavate e lacerate, le ossa ormai fuori dalla pelle, senza dignità e senza vesti, che vengono rubate e suddivise. Gli avversari guardano e osservano. Quel Dio santo, che siede in trono fra le lodi, in cui confidarono i padri e furono liberati, a lui gridarono e non rimasero delusi, viene invocato affinché non stia lontano, solo lui è la forza che può venire in aiuto, che può liberare dalla spada la vita del giusto sofferente.

C’è nel Salmo 21, gridato da Gesù sulla croce, lo sguardo alla Madre, lì sotto la croce nell’abbraccio di Giovanni e con la consolazione delle donne discepole. Dio lo ha tratto dal grembo della madre e a lei lo ha affidato, al suo nascere fu consegnato a Dio, che fin dal quel grembo è il suo Dio. Adesso affida la madre Maria al giovane e coraggioso Apostolo e lui si affida definitivamente a Dio in un’ultima rivelazione: “E’ compiuto” (Gv 19,30). Fin qui l’esperienza del silenzio di Dio, ma non della sua assenza. Infatti, al versetto 23, il salmo di Cristo sulla croce, esclama: “Tu mi hai risposto!”, cioè in quel momento estremo non c’è la disperazione, ma la speranza e la certezza che in vita, in morte e dopo la morte, Dio non disprezza e non disdegna l’afflizione del povero, non nasconde il suo volto, ma ascolta il suo grido di aiuto, secondo la sua volontà e il suo piano.

In questo senso io medito la traduzione interpretativa del “Ne nos inducas in tentationem”, della preghiera di Gesù, il Pater noster. “Non abbandonarci alla tentazione”, quando siamo nella prova e il Maligno ci vorrebbe far dubitare di te, della tua presenza e del tuo amore. Sì, gridiamo: “Eloì, Eloì, lemà sabactàni”, sapendo e credendo però che, con Gesù crocifisso e risorto, noi stiamo pregando tutto intero il Salmo del dolore e della vittoria. Al lemà, al “perché”, c’è e ci sarà la risposta. Dio non ci abbandona, se diciamo con Gesù: “Abbà, Padre…non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu” (Mc 14,36). E se permette la prova, se ci conduce alla tentazione della nostra fede e della nostra fedeltà, ci dona sempre la forza necessaria per superarla, anche nel dolore e nella stessa morte. Egli fu tentato dagli avversari che sghignazzavano e lo offendevano di scendere dalla croce, di salvare se stesso dall’agonia e dall’umiliazione, ma Gesù perdonò, si offrì e compì la sua opera, portando a termine tutto ciò per cui era venuto. Dando un forte grido, spirò, cioè emise il suo spirito di noi.

Carissimi fedeli di Cristo, viviamo insieme a Gesù morto e risorto la Pasqua 2021, anche con il grande disagio e la mondiale sofferenza della pandemia. La Chiesa, invitata da Papa Francesco, proprio nell’esperienza del limite, ma anche del coraggio cristiano, vuole vivere l’anno della famiglia, amoris laetitia. Sia dunque una riscoperta della fede, con l’impegno dei genitori cristiani e dei loro figli, che trovano in Maria e Giuseppe di Nazaret il vero modello per seguire Gesù.

Ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo, perché con la tua santa Croce hai redento il mondo.