Omelia di Pasqua

16-04-2017

Omelia Pasqua 2017

 

Carissimi fratelli e sorelle, reverendi presbiteri, cari battezzati, la pace di Cristo risorto vi porti gioia e salvezza. La gioia del Vangelo vi doni coraggio ed entusiasmo per la testimonianza fedele nel mondo. Ci chiamiamo fratelli e sorelle perché la potenza della Pasqua ci pervade tutti nel battesimo che abbiamo ricevuto, realizzando tra noi cristiani un vincolo più profondo e più duraturo di quello del sangue parentale: noi siamo inseriti nella famiglia di Cristo e con la santa Eucaristia ci nutriamo di un solo pane e ci dissetiamo a un solo calice, ecco perché siamo fratelli e sorelle. Non quindi un appellativo solito e consueto, tanto da diventare banale e da passare inosservato, ma la nostra stessa identità forgiata nella Pasqua di Cristo.

E’ ancora Pasqua. Un senso di stupore inonda il nostro animo. Dio ancora ci da fiducia, comincia di nuovo un cammino di luce con noi. Con il terrore che attanaglia il mondo, con le ingiustizie e le prevaricazioni che sembrano trionfare, con le guerre e le violenze che aumentano, con i fanatismi e i razzismi che avanzano, ci sembra di non meritare niente da parte del Signore, che riceve rifiuti e offese continuamente. Ma c’è sempre il mattino di Pasqua, ancora una volta il Signore ci propone il suo amore. Allora anche noi, meditando il vangelo dell’apostolo Matteo (28, 1-10.16-20), rechiamoci al sepolcro di Cristo di buon mattino.

Nel giorno dopo il sabato dell’Antico Testamento, della prima Alleanza, inizia l’alba del nuovo giorno, del Giorno del Signore, del Nuovo Testamento, della definitiva Alleanza. Con le donne discepole anche noi procediamo trepidanti verso la grotta dove hanno deposto il corpo di Gesù di Nazaret, martoriato e quasi annientato. Ci pare di vedere il nostro cammino in quella prima alba della fede cristiana, un cammino irto di difficoltà, di ansie, di preoccupazioni, di paure, di sofferenza. Quando non abbiamo più la certezza che Gesù cammina con noi, quando dalle circostanze della vita ci viene sottratto, quando a causa dei nostri peccati e fragilità lo perdiamo o lo evitiamo. Ci sembra di essere ben rappresentati da quelle donne discepole che comunque partono di buon mattino alla ricerca di Gesù, parchè sappiamo, come loro, che senza di lui non possiamo far nulla.

Andiamo allora alla tomba di Gesù: troppa la tragedia della croce, pesante l’esperienza della sua morte, quel masso enorme rotolato sull’apertura della tomba diviene simbolo della fine di ogni speranza, ben poco c’è da pensare in una novità inattesa. Il corpo del Cristo è lì racchiuso nel sepolcro, come ogni uomo, come ogni uomo abbracciato da sorella morte. Così potevano forse pensare le donne discepole, cosi pensiamo anche noi alla morte dei nostri cari, preparandoci alla nostra, o con la distrazione o con l’angoscia. Eppure Maria di Magdala, dopo la Madre di Gesù la discepola più in vista, con le altre donne si avvia verso il sepolcro. Hanno nel cuore ancora uno spiraglio di luce: il Maestro aveva detto che dopo tre giorni sarebbe resuscitato. Di fronte alla sua morte orrenda, gli Apostoli si erano dileguati e ora stavano rannicchiati nel cenacolo in attesa di partire al più presto e raggiungere di nascosto le proprie case, gli altri numerosi discepoli erano d’un tratto spariti. I gruppo delle donne ancora aveva nel cuore uno barlume, una parola del Maestro, avevano anche la sicurezza della Madre Maria, qualcosa doveva accadere, non poteva finire così. Anche noi, pur nel frastuono della mente e dell’ambiente che caratterizza questa nostra epoca, sentiamo un richiamo, nasce una speranza, emerge una gioia, la nostra vita non può finire cosi, in una tomba e nella polvere.

Le donne mirofore, come le chiame l’oriente cristiano, assistono a una teofania, ad una manifestazione di Dio. Un terremoto, e un angelo del Signore, con l’aspetto di folgore e la veste candida, scende dal cielo, rotola la grande pietra all’ingresso della tomba e vi si siede sopra, quasi a mostrare un trionfo, una vittoria, una battaglia vinta. Di fronte alla manifestazione divina la creatura si spaventa, si ritrae, ha timore, ma anche stupore e meraviglia. Le guardie spaventate fuggono, le donne si coprono il volto timorose.

Nel nostro cammino esistenziale, alla ricerca della gioia e della verità, Dio non ci lascia nel buio, ci dona molti segnali efficaci, ci dona molti incontri significativi, ci offre molte esperienze confortanti e messaggi inequivocabili. Spesso però fuggiamo di fronte alla luce che ci offre, come le guardie del sinedrio lì al sepolcro, non vogliamo o non comprendiamo il dono, forse perché lo riteniamo troppo impegnativo o troppo alto per noi, e ci rifugiamo nella nostra mediocrità, se non insufficienza. Abbiamo perduto un occasione propizia che Dio ci ha offerto. Le coraggiose discepole non fuggono e attendono, si abbandonano al mistero, ascoltano la rivelazione. E’ l’atteggiamento del vero cristiano. “Non temete, voi. So che cercate Gesù, il crocifisso”, dice l’angelo, che poi rappresenta la presenza di Dio. Il vangelo di Matteo ci rassicura: se camminiamo nella vita con sincera disponibilità verso l’incontro con il Signore, non abbiamo nulla da temere. Cerchiamo Gesù il crocifisso.

Abbiamo vissuto tutta la Quaresima, il Papa ci ha indirizzato il messaggio: “la Parola è un dono. L’altro è un dono”. Accogliamo la parola di Dio nella nostra vita senza timore, vi troveremo la persona di Gesù che ci parla, ci illumina, fa luce sui nostri passi. Vi troveremo la presenza dei nostri fratelli e sorelle che hanno bisogno di noi, essi sono un dono continuo, ogni giorno: in parrocchia, in famiglia, per strada, sul lavoro. Non facciamo come il ricco epulone che, seduto in casa tra banchetti e festini, non si accorge che alla sua porta c’è Lazzaro che ha fame e sete, che è ignudo ed emarginato. Noi siamo dono di Dio per gli altri e gli altri dono per noi: questa convinzione profonda sia il frutto di questa Pasqua.

Non basta cercare solo il Cristo Crocifisso, ci fermeremmo solo a metà tappa del nostro cammino di fede e di testimonianza. “Non è qui. E’ risorto, come aveva detto: Venite, guardate il luogo dove l’avevano posto”. Bisogna fare l’esperienza del Risorto, occorre sperimentare che la tomba è vuota, Gesù non è più lì, il suo santo Corpo non è più chiuso lì. Ma non è stato trafugato, non è sparito nel nulla. Lui è vivo e l’aveva detto, cioè lo sapeva già e lo aveva annunciato. Quindi veramente è il Figlio di Dio, è Dio egli stesso con il Padre e lo Spirito Santo, nell’amore infinito della Trinità. Il nostro cammino, se disponibile alle sorprese di Dio, viene coronato dalla fede come esperienza di Cristo risorto, presente qui ed ora.

Tutto poi diventa testimonianza: “Andate presto a dire ai suoi discepoli è risorto dai morti e vi precede in Galilea: là lo vedrete!”. Diventare sempre più missionari, annunciatori, evangelizzatori di Cristo Risorto, il papa Francesco continuamente lo chiede a noi cristiani di questo inizio del XXI secolo, missionari dell’ Evangelii Gaudium, della gioia evangelica. Fatta l’esperienza reale della Pasqua del Signore, bisogna partire in fretta, cioè non bisogna perdere tempo e occasioni per la trasformazione missionaria della Chiesa, ricchi di timore e gioia, come le donne discepole, occorre lasciare il sepolcro vuoto e correre ad annunciare la più grande notizia della storia umana: Cristo è risorto dai morti, la morte è vinta, il male e il maligno sono stati sconfitti! E lo stesso Gesù vivo e glorioso che nella corsa va incontro alle donne discepole e dona il saluto della pace. Nei Sacramenti, nella Parola, nella vita dei Comandamenti, nel fratello bisognoso, Gesù risorto viene a noi e ci chiede di non aver timore o rifiuto, ma di annunziarlo ai fratelli.

Che delicatezza! Che misericordia! L’avevano tradito e rinnegato, l’avevano venduto e abbandonato, avevano pensato di non parlare più di lui, a dire il vero erano molto delusi, ma Gesù li chiama fratelli con affetto e amore, perdono e misericordia. Ha dimenticato tutto, li vuole riabbracciare, rincuorare, donare lo Spirito di testimonianza e di forza. Divina misericordia! li avrebbe potuto rimproverare aspramente, si sarebbe potuto vendicare dei nemici, di Pilato e di Erode…si è “vendicato” con la Risurrezione, cioè con il trionfo della vita sulla morte, della luce sulle tenebre, dell’amore sull’odio. Siamo i suoi fratelli e le sue sorelle con il dono della fede nel Risorto, da annunciare con la vita e le parole in tutto il mondo. “Ecco io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo” ( Mt 28, 20).