OMELIA DI NATALE

25-12-2017

Natale 2017, Acerenza, Omelia in Cattedrale.

Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce, …un Bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio!” (Is 9,1.5). Cari fratelli e sorelle di questa nobile e antica cittadina di Acerenza, cari fratelli e sorelle di tutta l’Arcidiocesi, dalla nostra Basilica Cattedrale giunga ai monti e ai piani del territorio diocesano l’annuncio della gioia, della pace e della fede in questa festa solenne del Natale di Cristo dell’anno 2017. Saluto con affetto fraterno e sacerdotale i presbiteri concelebranti: il Presidente capitolare, il Parroco e i vicari delle due parrocchie cittadine, gli altri cari confratelli sacerdoti. Saluto il Sindaco e le altre autorità civiche presenti: la celebrazione liturgica della nascita del Salvatore vi porti letizia nel cuore e nuovo impegno a servizio della comunità.

Un popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce: il profeta Isaia, nella prima lettura che abbiamo proclamato, parlava al popolo di Israele, ma pensava anche al popolo futuro che avrebbe visto la luce del Messia, pensava al popolo del Cristo, quindi a noi, popolo del Vangelo, popolo del kèrigma, popolo del battesimo. Questa celebrazione notturna rievoca l’oscurità del nostro cammino, tra difficoltà, dubbi, ansie, sofferenze. Camminiamo alla ricerca di un barlume, di un indizio, di una fiammella che possa illuminare seppur fiocamente il nostro duro sentiero. I nostri passi sono malfermi, il nostro incedere incerto, i nostri occhi offuscati, la via non è sicura. A volte ci illudiamo di aver trovato una favilla, nel buio ci aggrappiamo a quella speranza, che si spegne subito e si risolve in amara delusione. A volte siamo tentati che il buio sia piacevole, che nel buio possiamo fare quel che ci aggrada, che potrebbe essere utile e favorevole al nostro egoismo la tenebra della menzogna e dell’inganno. Pensiamo che sia fastidiosa e ingombrante la verità. Ma avviluppati dalla morsa della notte, dibattuti nelle nebbie dei nostri limiti, ammaliati e drogati dai vizi e dai peccati, noi rischiamo fortemente di dirigerci verso il baratro, come pecorella smarrita che impigliata tra le spine e preda di lupi, non sa più cosa fare.

Ad un tratto una luce immensa squarcia il buio fitto e senza uscita, una luce che non viene dai potentati di questo mondo, da imperatori e tiranni che si nutrono del sangue degli innocenti, da padroni dell’economia e della finanza che perseguono solo i loro interessi, da manovratori occulti che con mezzi potenti dominano i popoli: la luce splendida viene da un Bambino che è nato per noi, da un Figlio che ci è stato donato, dice l’antico profeta. E’ Gesù che da Betlemme illumina il viso immacolato di Maria sua madre e il viso coraggioso di Giuseppe il suo padre davidico, che illumina il viso stupito dei pastori dei monti di Giudea, che illumina i visi celesti degli angeli nunzianti, che illumina tutti gli uomini di buona volontà, che illumina noi in questa notte santissima del Natale, del nostro Natale. Come si chiama questo Bambino luminoso? Cosa dice il profeta? Consigliere mirabile, Dio potente. Miei cari fratelli e sorelle, quanto abbiamo bisogno del consiglio di Gesù, della sua parola, del suo Vangelo, della sua potente divinità! Noi che approviamo con leggi, silenzi e connivenze e, purtroppo, anche con assensi, l’uccisione deliberata del bambino concepito nel grembo della madre, le guerre e le ingiustizie che annientano poveri e innocenti, la distruzione della famiglia e del sacro matrimonio dell’uomo e della donna con tradimenti, divorzi, convivenze e, purtroppo, anche con unioni perverse e immorali di persone dello stesso sesso tra di loro, la ricerca di una sessualità sfrenata che schiavizza gli adulti e oltraggia i piccoli. Ultimamente ci mancava in Italia anche il dispositivo legislativo sul fine-vita, eccolo emanato, aperto a gravissimi rischi e derive pericolose verso la negazione delle cure necessarie per gli ammalati e del nutrimento essenziale, nonché verso l’eutanasia. Non so, carissimi fratelli e sorelle , cari sacerdoti della Chiesa cattolica, che significato ha questo silenzio dei cristiani, questa ritirata in buon ordine, questa rinuncia a difendere la vita umana dalla sua alba al suo passaggio nell’eternità, questa mutismo di fronte a Cristo verità e vita. Padre per sempre e principe della pace, ci dice il profeta. Quanto abbiamo bisogno di questa paternità seria, vera e misericordiosa di Dio in Cristo! Ci siamo innalzati nell’orgoglio di essere noi i creatori di noi stessi e gli illuminatori della nostra strada, non vogliamo la paternità di nessuno, tantomeno quella di Dio, tantomeno la paternità divina che ci porta Gesù il Figlio eterno. Ma cosi facendo perdiamo anche la nostra figliolanza, in nostro essere creature, che possono avere la loro felicità solo nella relazione con il loro Signore Padre Creatore. E non abbiamo pace: abbiamo solo un surrogato di pace, quella che pensiamo di avere con i nostri idoli, i nostri diversivi e i nostri piaceri, che ci lasciano vuoti, tristi e violenti. Vieni Signore Gesù, grande Principe della pace, guarisci il nostro cuore inquieto e disorientato, nasci nel nostro cuore, portaci salvezza e pace.

Mentre si trovavano in quel luogo si compirono per lei i giorni del parto” (Lc 2,6). Nella città del re Davide, nasce il nuovo figlio di Davide, cioè il Messia, l’Unto, il Consacrato del Signore, nasce da Maria Immacolata e piena di grazia, dalla vergine nasce l’Emmanuele, il Dio-con-noi. Maria SS. diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio (cf Lc 2,7). Non c’è mai posto per Gesù, mai una sede permanente, mai un’accoglienza definitiva del suo avvento e della sua presenza. Anche oggi nella società, nella cultura, nelle relazioni, nel nostro cuore, Gesù Cristo può essere ridotto al “grande assente” o al “grande sottinteso”, ma mai esplicito, chiaro, seguito, amato, testimoniato, direttamente inteso. Queste feste passeranno in fretta, la pratica alla liturgia di Natale, Ottava con la solennità della Madre di Dio e l’Epifania verranno subito archiviate per immergersi nel quotidiano e nel consueto, dove la fede non c’entra. Anzi molti non frequenteranno per nulla neppure le celebrazioni e i Sacramenti, ma riempiranno queste feste di momenti distrattivi e di rumore che lasceranno solo stanchezza e frastuono interiore. Non ci sarà posto per il Dio Bambino, nell’alloggio della nostra vita, né per sua Madre Maria, né per il suo padre custode Giuseppe.

Accendiamo tante luci per significare la venuta della vera luce che è Cristo, ma Lui splende veramente in noi? Adorniamo alberi sempreverdi per significare la nascite del germoglio di Davide fiorito dalla Vergine Maria sul vecchio ceppo dell’umanità, ma fiorisce in noi la sua grazia e il suo Vangelo? Rappresentiamo ovunque il presepe, che in latino significa “mangiatoia”, e facciamo bene, ma, mi chiedo, facciamo nascere Gesù dentro la culla vera che è in nostro cuore? Ci facciamo tanti regali per significare Cristo dono del Padre, ma facciamo di noi stessi un dono per gli altri nella misericordia e nel perdono? Ci sentiamo tanto buoni per significare la bontà del Salvatore Gesù, ma lo siamo davvero? E continuiamo ad esserlo anche dopo le feste natalizie, ogni giorno e verso tutti? Ci diciamo “buon Natale”, ma pensiamo al suo significato vero, nel senso che ci auguriamo la nascita di Gesù Cristo nella nostra vita? Solo così, nella sincerità e senza ipocrisia, in questa notte scura che è giorno di luce possiamo cantare con gli angeli e salutarci tra di noi: “Oggi è nato il Salvatore che è Cristo Signore! Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama!”.