Omelia, 1 gennaio 2021

01-01-2021

Omelia, 1 gennaio 2021, cattedrale di Acerenza S. Messa dei primi vespri e del giorno.

Carissimi fratelli e sorelle, caro don Nico, parroco delle due parrocchie della cittadina di Acerenza, caro  don Tonino, presidente del Capitolo Cattedrale, cari diaconi Alberto e Nino, care Suore di S. Bernardetta del Burundi, illustre signor Sindaco Fernando Scattone, siamo riuniti nella liturgia dell’Ottava di Natale, solennità di Maria SS. Madre di Dio. Il canto del Gloria ci ha accompagnato per tutta la settimana nella contemplazione orante del Bambino Gesù, adorato dalla Vergine Madre e da S. Giuseppe, padre di Gesù secondo la Legge dell’Antica Alleanza. Abbiamo vissuto l’esperienza dei pastori di Betlemme che, dice il Vangelo proclamato, “trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia” (Lc 2,16).

Da molti anni si pone in questo giorno anche l’inizio dell’anno astrale e consueto, a causa dell’aumento di luce solare che si registra dopo il solstizio d’inverno, ma la Chiesa ha accolto questa data per un motivo più significativo. All’ottavo giorno, secondo la Legge, i bambini maschi venivano circoncisi e con tale rito venivano inseriti pienamente nel popolo di Israele, e così la loro discendenza (cfr Gen 17, 9-14). In quel momento il padre pronunciava il nome del neonato e ne assumeva pubblicamente la paternità legale. Infatti abbiamo ascoltato: “Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo” (Lc 2,21).  “Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò”, abbiamo ascoltato anche dal libro dei Numeri nella prima lettura (Nm 6,27). La Chiesa ha visto e celebrato in questo giorno la rivelazione al popolo di Israele del santo Nome: Gesù, ossia Signore Salvatore. Il nome di Gesù corrisponde e rivela pienamente il Nome santo di Dio rivelato a Mosè sul Sinai “Io-Sono”, che in Cristo diventa “Io Sono colui che salva”. Quel Bambino è Dio che salva l’umanità. Giuseppe, patris corde, con cuore di padre, afferma papa Francesco, e Redemptoris custos, custode del Redentore, afferma il papa san Giovanni Paolo II, pronuncia a Israele e al mondo il Nome, che come nasce e cresce la luce in questi giorni, così Gesù è nato per essere vera luce del mondo e Re di gloria.

L’inno del Te Deum, tipico di questi giorni liturgici, e che volentieri proclamiamo in latino, dato che la traduzione italiana è abbreviata e semplificata, ci ricorda anche il cammino diocesano in questo anno pastorale, cammino sulla regalità di Cristo, sul munus regendiserviendi, sulla missione di reggere e servire, di ogni cristiano e della Chiesa tutta, affidata da Cristo. Infatti si canta, in alcuni versi dell’antico inno, l’immensa maestà della gloria del Padre, di cui sono pieni i cieli a la terra, e la stessa gloria regale del Figlio: “Tu, rex gloriae, Christe. Tu Patris sempiternus es Filius… et rege eos, et extolle illos usque in aeternum”. Anche noi ci rivolgiamo a Cristo e lo adoriamo come Re di gloria e Figlio sempiterno del Padre, che guida i suoi fedeli e li sostiene in eterno; che non ebbe orrore dell’utero della Vergine, cioè di umiliarsi nell’incarnazione e nella nascita come uomo, nell’abbassamento totale nella nostra natura fino alla morte di croce.

Afferma il Vangelo proclamato che fu concepito nel grembo e fu concepito nel cuore della Madre Vergine poiché “da parte sua custodiva tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19). Benedetto il Nome di Gesù, vero Dio e vero uomo, benedetta la divina maternità e la perpetua verginità di Maria.  Veneriamo grati e devoti la Vergine Maria, Madre di Cristo che è Dio, come fu già acclamata e creduta con solenne definizione del concilio di Efeso, che rifiutò le eresie e proclamò la parola di verità che abbiamo udito nella lettera ai Galati: “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna…perché ricevessimo l’adozione a figli…Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abba! Padre!” e quindi rendendo tutti noi eredi per grazia di Dio (cfr Gal 4,4-7), come già Elisabetta la accolse chiamandola “Madre del mio Signore” (Lc 1,43).

Uniamoci a Maria SS. e alla custodia di S. Giuseppe, affidiamoci al SS. Nome di Gesù e invochiamo il Padre, che si rivolga a noi e su di noi faccia splendere il suo volto, ci faccia grazia e ci conceda la pace (Cfr Nm 6, 22-27). Abbiamo necessità del volto di Dio su di noi, della sua benedizione, in questo anno di pandemia che continua purtroppo anche nell’anno appena iniziato. E’ un prova che la maestà di Dio permette, per farci comprendere realtà molto più importanti di quelle che rincorriamo affannosamente nella vita appiattita sull’effimero e sul contingente. Siamo stati creati per altro, per lo spirito, per l’eternità. Alla luce del dopo si può comprendere il prima e l’attuale si può capire solo se si considera l’origine. Accettiamo la prova che il Signore ci sta permettendo, lo invochiamo di illuminarci la mente e l’anima, di sostenerci e di non abbandonarci nella prova e nella tentazione, di farci progredire nelle scienze a servizio dei poveri e dei sofferenti, di arricchirci di più con la fede, la speranza, la carità, di farci maturare nel pentimento e nella sincera conversione. “Dio abbia pietà di noi e ci benedica”, abbiamo pregato al salmo 66. Ed è questa la preghiera per l’anno nuovo, che sarà nuovo se noi avremo un cuore nuovo.

La Madonna, ha generato e ci ha donato il Principe della pace. Cinquantaquattro anni fa il papa S. Paolo VI, il primo giorno dell’anno astrale e ottava del Natale del Principe della pace, volle la Giornata mondiale di preghiera e di riflessione sul gran dono della pace. Per questa occasione propizia i Pontefici hanno sempre inviato un messaggio ai fedeli cristiani e agli uomini di buona volontà, direi anche ai malvagi e ai violenti, per farli desistere e portarli a miti pensieri. Papa Francesco per oggi ci dona questo messaggio “La cultura della cura, percorso di pace”, ci invita a far diventare la cura per l’altro una missione, una vocazione, e per noi cristiani la riscoperta sempre più efficace della nostra identità. Ci ricorda il Papa che per primo Dio stesso si è preso cura d’amore creando l’universo e la terra, affidandoli alle nostre cure e non alla nostra volontà di distruzione; si è preso cura creando l’umanità e guidandola con la sua provvidenza e misericordia, insegnandoci a prenderci cura del prossimo; si è preso cura dell’uomo debole e peccatore, mandando il suo Figlio, che è la nostra pace, per salvare l’uomo da morte eterna con la sua morte e risurrezione; ci ha mandato il suo Spirito Santo che, con la fiamma del suo amore, ci spinge ad amare sia Dio e sia i fratelli che ci sono vicini e hanno sempre bisogno delle nostre cure e noi di loro.  Prendersi cura significa sempre servire, cioè regnare su noi stessi vincendo le passioni e le spinte interiori al dominio, significa avere attenzione fraterna verso l’altro, sia nella fondamentale necessità spirituale e religiosa, sia nella evidente necessità di fame e sete.

Nei Vangeli di questi giorni noi vediamo come la pace che annunciano non è una parola astratta e quindi indifferente, ma si concretizza nei gesti delle persone di cui ascoltiamo. Alcuni esempi. Maria, con Gesù nel grembo, si reca in fretta alla casa di Zaccaria ed Elisabetta, per portare suo Figlio e l’aiuto di carità. S. Giuseppe accetta di essere padre verginale e si prende cura della sposa Maria e del divino Bambino, fino a fuggire in esilio per salvare il Piccolo dalla furia di Erode; gli angeli nel cielo di Betlemme si prendono cura dell’annuncio ai pastori, i quali subito si prendono cura di andare alla grotta e offrire i loro semplici, ma utilissimi doni, per cibo e riparo. I Magi partono dall’Oriente per prendersi cura di conoscere il “Re che è nato” per servire il mondo intero e offrono con cura i tre doni preziosi e simbolici. Per tutti il piccolo Re, nel suo silenzio sorridente e nel suo abbraccio umile, viene a noi per prendersi cura della nostra vita fragile, che senza di lui è vana e perduta.

Cari fratelli e sorelle, cari padri e madri nella famiglia e nel matrimonio, cari sacerdoti e diaconi, nella paternità e servizio dell’Ordine sacro, cari ragazzi e giovani che onorate il padre e la madre, Sua Santità  papa Francesco, in questo anno di S. Giuseppe, da lui indetto, nella Lettera apostolica di accompagnamento, ci invita a invocare il Santo di Nazaret, accanto alla sua Sposa, Madre di Dio, come “padre amato, padre nella tenerezza, padre nell’obbedienza, padre nell’accoglienza, padre nel coraggio creativo, padre lavoratore, padre nell’ombra”, che non significa ignorato e nascosto, ma nell’ombra luminosa del silenzio e della volontà di Dio, cioè quel Dio fattosi Bambino, che ha tenuto fra le braccia con pura, forte, umile premura e cura, insegnandoci il percorso della pace. Come S. Giuseppe, abbracciamo pure noi con amorevole cura Gesù, il Principe della pace, e la sua santa Madre, la Regina della pace.