Carissimi ministri chierici, cari religiosi e laici, cari battezzati e confermati, a suo tempo tutti unti con l’olio dei catecumeni e il sacro crisma, cari sofferenti e ammalati di ogni parte che trovate nell’olio degli infermi il lieve tocco delle mani del Salvatore, divino Medico, eccoci nella Settimana Santa e nel cammino giubilare in questa gloriosa nostra basilica cattedrale, per la Celebrazione Eucaristica, la benedizione degli Oli e della consacrazione del Santo Crisma. In questa Settimana Santa mi accompagna la meditazione delle Scritture con l’inno, composto nel VI secolo, dal santo vescovo di Poitiers Venanzio Fortunato in onore del vessillo della Croce, con lo sguardo al Crocifisso, sia nell’effige prossima all’assemblea liturgica proveniente da Oppido, sia nell’effige acheruntina custodita all’abside della cattedrale. In particolare il Crocifisso di Acerenza, secondo lo stile espressivo dell’epoca, nella scultura del Volto presenta almeno due aspetti, da lontano si scorge l’abbandono assoluto alla volontà del Padre del “Tutto è compiuto”, da vicino il grido di dolore immenso per i peccati degli uomini, in cui il Giusto Innocente sperimenta la terribile angoscia della dignità sfigurata da parte della violenza dell’empio. E’ il grido del salmo 21: “Elì, Elì, lamà sabactani”. La mistagogia dell’arte cristiana, illuminata e guidata dalla fede dei nostri antenati, che dobbiamo sempre di più valorizzare nell’evangelizzazione e nella catechesi, ci consegna un messaggio tutto evidente e meditato dalle Sacre Scritture.
“Post vulneratus insuper mucrone diro lanceae, ut nos lavaret crimine, manavit unda et sanguine”. Fu ferito dalla punta della lancia crudele e, per lavarci dal nostro crimine, effuse acqua e sangue. Cari battezzati in quell’onda di acqua salvifica, sgorgata dal Cuore di Cristo e in quel fiume di grazia del suo Sangue sgorgato dal suo fianco, è Cristo nuovo Adamo che genera la sua nuova sposa, la Chiesa. Cari sacerdoti, ogni giorno celebriamo il sacrificio della Croce e abbiamo tra le mani quel Corpo santo e quel Sangue prezioso: Cristo ci lava, ci purifica e ci perdona con larga indulgenza e ci nutre ancora con la sua Carne e il suo Sangue per darci vita eterna e risuscitarci nell’ultimo giorno. Tutto a prezzo del suo Volto di sudore di sangue, oltraggiato di sputi e percosse, incoronato per scherno, ma per questo vero Re di amore, di pace, con le spine innumerevoli dei nostri delitti di ieri, di oggi, di sempre. Una passione di amore e di dolore fino alla fine del mondo: solo un Amore infinito può realizzare una salvezza così infinita, solo l’amore di Dio che, nell’incarnazione, muore e che nella risurrezione dona lo Spirito di vita. Miei cari battezzati e cresimati, miei cari ministri ordinati: ci pensiamo, ci meditiamo, ci fermiamo? Il cammino sinodale vero e proprio è la via crucis dei cristiani con Gesù e per Gesù fino al Golgota, insieme a tutti i poveri della terra, e dopo, la luce della vita nuova in Cristo, che non avrà mai fine.
Non ci appartiene quel pensiero alieno che spesso si intromette anche nelle nostre comunità e nella Chiesa, quel pensiero che dice a Cristo, per sminuirlo e in definitiva per eliminarlo: “Se sei Figlio di Dio scendi dalla croce. Hai salvato gli altri, salva te stesso”, esplicito ormai nelle convinzioni e nelle scelte di tanti e tanti che accettano un Cristo senza croce e una Chiesa senza Cristo, un Cristo come una specie di cartone animato per i gusti del momento, una Chiesa come allegra brigata per una scampagnata. No! Noi abbiamo il pensiero di Cristo, come afferma s. Paolo, quel pensiero da cui nasce: “Padre se è possibile allontana da me questo calice, ma non la mia, ma la tua volontà sia fatta”. Ecco il diacono, il prete, il vescovo, il fedele laico, il cristiano che professa i voti evangelici: un kèrygma con una vita sempre più convertita. Passano gli anni per tutti, invochiamo una progressiva conversione: quei tratti caratteriali che ci trasciniamo dietro e dentro da anni. Ma perché, con la grazia di Cristo, non li lasciamo, seppure a poco a poco, almeno di Pasqua in Pasqua. Fratelli miei, sorelle mie, lo dico prima a me, scrutando la parola di Dio, e Vexilla Regis prodeunt, e il volto del Crocifisso nelle icone impressionati, come nel caso dell’abside della cattedrale.
Che ne abbiamo fatto, tutti quanti, di quell’olio catecumenale che nel battesimo ci esorcizzò dal diavolo? Cosa è successo di quell’acqua zampillante dal Cuore di Cristo, fiumi di acqua viva, che con la parola trinitaria fu effusa su di noi al battesimo? Cosa ne abbiamo fatto di quel crisma divino e il sigillo dello Spirito Santo, dono settiforme, che nella confermazione abbiamo ricevuto con l’imposizione della mano sacerdotale ed episcopale? E ancora, di quel Corpo e Sangue di cui ci nutriamo e di quella Penitenza con cui siamo perdonati: come è? E noi sacerdoti, quel crisma che ci ha profumato le mani nella solenne invocazione di consacrazione, e a me vescovo sul capo, che ne è? E tutti, nel momento della prova e nella malattia preoccupante della salute fisica, che tutti abbiamo o avremo, ci prepariamo alla lotta invocando la cura di Cristo, buon samaritano, che ci unge con l’olio santo e ci disinfetta con il suo vino: l’olio santo della sua dolce carezza e il vino della sua forza.
È Gesù il Consacrato, in greco Cristo, in ebraico Messia, consacrato dal Padre con l’unzione dello Spirito Santo, per le cose che patì, costituito Signore. Per concessione del Padre anche noi siamo partecipi di questa consacrazione con il battesimo e alla crismazione, per essere testimoni, in greco martiri, dell’opera di salvezza nella Pasqua di Cristo. Come Isaia dice di Cristo, anche noi quindi consacrati dai suoi oli, siamo mandati a portare il lieto annunzio, l’ euanghelion, il Vangelo, ai miseri tutti, nell’anima e nel corpo, pieni di piaghe e con il cuore spezzato, la libertà dalla schiavitù e dalla prigionia, ossia il peccato e la violenza, prima nella nostra vita e poi nella vita degli altri, poiché non possiamo togliere la pagliuzza negli occhi degli altri, se prima non togliamo la trave nei nostri. Olio di letizia, dice la profezia antica, per i nuovi sacerdoti, nel battesimo, nella cresima e nella comunione eucaristica, tutto il popolo di Dio nel sacerdozio battesimale, e nell’ordine sacro i ministri, sacerdoti e diaconi, ognuno nel suo status, per l’autorità di servizio, affinché la stirpe benedetta dal Signore possa vivere e praticare il munus veritatis, il munus sanctitatis e il munus caritatis.
Cari fratelli e sorelle, come dal vangelo di Luca, sopra di noi c’è lo Spirito del Signore, perché siamo costituiti in Cristo morto e risorto per la nostra salvezza: la nostra Nazaret è dove siamo, entriamo nella nostra comunità non saltuariamente, ma solitamente, alziamoci a leggere la parola di Dio e, in Cristo e nello Spirito, accogliamola come nostra e rivolta noi, ai singoli come a tutti. E’ l’anno di grazia del Signore, il 2025 giubilare, come stasera in questa basilica cattedrale con indulgenza plenaria permanente: pellegrini di speranza, peregrinantes in spem. Battiamoci il petto davanti Colui che è trafitto d’amore: dilexit nos. Afferma papa Francesco, a cui siamo uniti nel momento della sua debolezza che manifesta ancor più la forza di Cristo e della sua Chiesa, afferma il Papa nell’enciclica sull’amore umano del Cuore di Gesù: “Entrando nel Cuore di Cristo, ci sentiamo amati da un cuore umano, pieno di affetto e sentimenti come i nostri. La sua volontà umana vuole liberamente amarci, e questa volontà spirituale è pienamente illuminata dalla grazia e dalla carità. Quando raggiungiamo l’intimo di quel cuore, siamo inondati dalla gloria incommensurabile del suo amore infinito di Figlio eterno, che non possiamo più separare dal suo amore umano. È proprio nel suo amore umano, e non allontanandoci da esso, che troviamo il suo amore divino: troviamo – l’infinito nel finito- “(DN 67). E qui papa Francesco cita papa Benedetto. La nostra adorazione alla sua Persona è unica e abbraccia inseparabilmente sia la sua natura divina che la sua natura umana, così i concili antichi e determinanti, ricorda papa Francesco, fin dal fondamentale Concilio di Nicea del 325 di cui quest’anno ricorre il decimo settimo anniversario.
Miei cari, abbiamo ascoltato dall’Apocalisse: “Dice il Signore Dio: Io sono l’Alfa e l’Omega, colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente”. Oggi molti pensano, credono e dicono di essere loro l’alfa e l’omega, gli onnipotenti, e Gesù Cristo una figura lontana e sbiadita da relegare nel mito o nel dimenticatoio, ma sbagliano molto, e il loro fallimento è davanti agli occhi di tutti. Almeno di quelli che vogliono vedere e vederci chiaro. Noi dobbiamo essere di quelli con gli occhi aperti.
Canta ancora l’inno Vexilla regis, contemplando il volto di Cristo senza apparenza, nè bellezza: “Impleta sunt quae concinit David fideli carmine dicendo nationibus: “Regnavit a ligno Deus”. Si adempiono le profezie nel fedele canto di Davide rivolte a tutti i popoli, dal legno regna Dio ”. Carissimi unti del Signore, preferisco il regno di Dio e del servo suo Gesù, che mi fa libero, a quello dei tiranni servi del maligno. La Madre dolorosa ci soccorra con la sua intercessione.