Omelia per la festa di S. Giacomo maggiore apostolo, 25. 07. 2017, Lauria Inferiore e Pietrapertosa.
Carissimi fratelli e sorelle, cari devoti del santo apostolo, (a Lauria: caro parroco don Franco Alagia, ti ringrazio per l’invito a presiedere questa mattina la solenne celebrazione eucaristica nella famosa festa patronale, saluto gli altri presbiteri concelebranti, rivolgo la mia fraterna stima al nostro vescovo mons. Vincenzo Orofino, illustri Autorità civiche e militari è sempre per me un piacere ritornare a Lauria dove il Signore mi ha chiamato a spendere le energie migliori della missione sacerdotale e a stare accanto al figlio più grande di questa Città, il beato Domenico Lentini) (A Pietrapertosa: caro don Nicola, che guidi questa comunità con la protezione di S. Giacomo, gentile Sindaco di questa suggestiva cittadina, spettabili autorità di ogni ordine e grado).
Ascoltiamo subito dalla parola di Dio. Gesù ci dice che Lui ha scelto noi: certo si riferisce agli apostoli, ma anche a ciascuno di noi per la vocazione che ci ha donato, non solo quella di creature, ma maggiormente quella di battezzati e inviati per annunciare il Vangelo in tutti gli ambienti e situazioni in cui ci troviamo. Siamo mandato, cioè apostoli, per portare la parola di Cristo sino ai confini della terra, come fu per i Dodici, gli amici di Gesù. Riascoltiamo: “Io ho scelto voi perché andiate e portiate molto frutto e il vostro frutto rimanga” (Gv 15,16). Se dopo tanti secoli ricordiamo e festeggiamo gli apostoli, S. Giacomo in particolare, vuol dire che la scelta e la grazia di Cristo non furono vane. Infatti partirono, andarono in ogni dove, soffrirono per Cristo, donarono anche la vita, e portarono frutto abbondante e questo frutto rimane per sempre, benedetto dal Signore Gesù e causato dallo Spirito Santo.
Nella preghiera di colletta abbiamo invocato il Padre che ha voluto S. Giacomo primo fra gli apostoli a sacrificare la vita per il Vangelo, gli abbiamo chiesto per questo di confermare nella fede la sua Chiesa. È questione di fede dunque, è il motivo di fede che ci porta qui, all’Eucaristia e alla Parola, alla liturgia, alla comunione, alla comunità cristiana.
Il salmo 125 ci ha ricordato che chi semina nelle lacrime mieterà con giubilo (v. 5). Ripercorrendo la strada di Cristo, gli Apostoli seminarono a piene mani e senza risparmiarsi la parola del Maestro, piansero nel dolore della persecuzione e del martirio, ma anche per i momenti di rifiuto del messaggio evangelico o della irrisione di esso, come capita oggi tante volte. Ma la mietitura, la promessa del Signore non è tardata a venire, la messe è stata sempre abbondante, la gioia ha sempre trionfato. E’ la Pasqua di Cristo, la sua morte e risurrezione che si rinnova sempre in ogni suo seguace sincero, in ogni missionario mandato da lui, come in S. Giacomo, figlio di Zebedeo.
Vorrei riprendere, carissimi fratelli, insieme a voi, nella solennità di S. Giacomo apostolo e protomartire fra i Dodici, la consegna dell’esortazione apostolica “Evangelii gaudium” di papa Francesco alla Chiesa che è in Italia, durante il convegno nazionale ecclesiale di Firenze, nel 2015: umiltà, disinteresse e beatitudine.
Umiltà: abbiamo ascoltato nella seconda lettera ai Corinzi che noi abbiamo un tesoro in vasi di creta perché appaia la straordinaria potenza di Dio nella nostra debolezza (cfr 2Cor 4,7). Solo se recuperiamo questa umiltà della nostra situazione umana in cui si manifesta alla potenza della grazia divina, il sacrificio sulla croce del Figlio e l’amore totale dello Spirito Santo, potremo essere discepoli e apostoli in questo tempo delicato e difficile. Dal sangue di Gesù, e dalla testimonianza degli Apostoli e dei discepoli, in tutti i secoli il mondo ha potuto vedere la Chiesa una santa cattolica e apostolica. Cattolica nel senso giusto perché è mandata a tutti, è per tutti, aperta a tutti, è diffusa dappertutto. Apostolica nel senso giusto perché è fondata sulla verità evangelica, tramandata fedelmente dagli Apostoli e nello stesso tempo è inviata da Cristo risorto a tutte le genti e le nazioni.
Disinteresse: come non ricordare il passo del vangelo di S. Matteo poco fa annunciato? “Tra voi chi vuole diventare grande, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mt 20, 26-27). Siamo noi cristiani i servi di Dio e dei nostri fratelli: se ci deve essere in noi un desiderio ambizioso è quello del servizio per amore di Dio al prossimo in necessità, sia nell’ordine spirituale che corporale. Anzi i termini realistici del Vangelo parlano di essere ultimi e schiavi, rinunciando, con aiuto del Signore, ad ogni interesse egoistico, peccaminoso, dannoso per noi e per gli altri. Come ci insegna l’esempio e la parola degli Apostoli, che ripetono fedelmente la parola e l’esempio di Cristo, la nostra vocazione è la gratuità nell’amore fraterno, nel servizio e non nel dominio, nell’umiltà e non nella prepotenza, nell’assistenza ai malati e ai poveri. Per chi ha responsabilità politiche, religiose, culturali, sociali, economiche, il disinteresse umano e cristiano, che indica il Papa, si esplica nell’impegno fattivo per la giustizia e la solidarietà. Non dimentichiamo che il culto di S. Giacomo contribuì fortemente a formare l’Europa cristiana della fraternità e della comunione, della convivenza e della pace.
Beatitudine: ossia gioia, ancora viene in mente la seconda lettera ai Corinzi in cui si afferma che siamo tribolati, sconvolti, perseguitati, colpiti, portiamo sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù perché vi si manifesti anche la sua vita ( cfr 2Cor 4, 8-10). Il mondo è triste, l’umanità è sfinita, la società attuale è capace solo di proporre idoli e mode che ci stancano e ci svuotano, solo noi cristiani possiamo e dobbiamo presentare una nuova vita possibile, una beatitudine che proviene dal Vangelo, una gioia che solo Cristo può donare. Abbiamo lo spirito di fede: risorgeremo con Gesù, staremo accanto lui, e sia abbondante l’inno di ringraziamento per la gloria di Dio, come risuona la parola divina quest’oggi.
Sgorga sulle nostre labbra la preghiera suggerita dalla liturgia e che eleviamo insieme a S. Giacomo: O Signore, rendici pronti a seguirti, testimoni della luce del Risorto, disponibili a bere il calice della sofferenza e della morte per godere della vita eterna in Cristo.
Cari sacerdoti concelebranti, cari fedeli di Cristo, noi stiamo parlando del martirio cristiano. Ricordiamo il sangue sparso dai primi seguaci del Signore, ma non dimentichiamo il sangue, il dolore, la persecuzione dei tanti martiri di oggi, a causa di religioni contrarie a Cristo, di dittature dispotiche e crudeli che odiano il Vangelo, di fanatici che terrorizzano i cristiani in molte nazioni, di governi e ideologie che avversano la verità di Cristo. Giungono notizie ogni giorno, accanto ad altre di violenza e di sopruso, giungono notizie da ogni parte di battezzati in Cristo che sono stati pronti a sacrificare anche alla vita pur di rimanere fedeli alla parola del Figlio di Dio.
La vita cristiana è un cammino, ma non confuso, indeciso, senza senso e senza meta, senza verità e verso la morte, al contrario è un cammino sicuro, luminoso, certo, perché noi conosciamo la via, la verità e la vita, che è Gesù Cristo, Figlio di Dio. Gli Apostoli, mandati da Cristo, come tutti gli altri santi e beati, ci indichino in Lui sempre l’unica via.