Omelia nella dedicazione della cattedrale, 13 maggio 2023
Carissimi fratelli e sorelle, reverendissimi sacerdoti canonici e concelebranti tutti, cari membri delle sessioni sinodali, che ringrazio a conclusione delle sedute a carattere canonico stricte juris, cari collaboratori liturgici del coro della cattedrale e della rassegna delle corali. Siamo nella liturgia eucaristica nella Messa vigiliare della VI domenica di Pasqua e memoria della vergine Maria del titolo di Fatima, nel mese mariana per eccellenza.
Miei cari, la fede cristiana, che non ha bisogno assoluto di edifici e luoghi, esprimendosi necessariamente religiosamente, per motivi anche logistici, ha bisogno di luoghi sacri dove radunarsi per la celebrazione dei divini misteri, la preghiera, la custodia delle reliquie e delle sacre icone, specialmente alla custodia del corpo eucaristico di cristo. Nello stesso tempo il sacro edificio, fatto da un progetto architettonico e realizzato con pietre e altre caratteristiche edili, rappresenta sempre, sulla scorta dell’insegnamento apostolico, l’unità e l’ordine della comunità dei fedeli, pietre vive unite alla pietra viva e angolare che è Cristo Gesù, crocifisso e risorto. Cristo è il nuovo e definitivo tempio di Dio, la Chiesa dei fedeli è il nuovo e definitivo tempio di Cristo, in quanto suo Corpo mistico, e nella Chiesa ogni vero fedele, sacerdote, re e profeta del nuovo culto in spirito e verità. L’edificio sacro è segno di questa nuova realtà. “Adorate Cristo nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi”, ci ha annunciato l’apostolo Pietro nella sua prima lettera: l’apostolo Pietro, pietra-roccia su cui Cristo ha fondato la sua Chiesa.
La religione pura e senza macchia a cui siamo stati chiamati, e in cui siamo rinati nel battesimo, è sempre rendere ragione della speranza che è in noi: si chiama testimonianza, annuncio, comunione e missione come da tempo stiamo narrandoci anche nel cammino sinodale. La nostra speranza è la certezza del kèrigma fondamentale della fede che ribadisce l’Apostolo nella seconda lettura: “Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nel corpo, ma reso vivai nello spirito”. Un rammarico mi e ci inquieta: nessuno ci domanda la ragione della nostra speranza. E per due motivi: primo, perché generalmente chi oggi ci circonda non domanda nessuna ragione di niente o teme che l’esercizio della ragione lo porti alle domande fondamentali e quindi impegnative della vita; secondo, probabilmente la nostra speranza è così languida e inaridita che non fa nascere nessuna domanda in chi dovrebbero essere spronato a farcela. Le due deficienze si incontrano in una tragica commistione.
Questa augusta basilica cattedrale che, nella nuova solenne ricostruzione normanna, fu consacrata e dedicata quasi mille anni fa a Dio Ottimo Massino, ossia potentissimo nell’amore, in onore della santa vergine Maria assunta in cielo in anima e corpo e per custodire la memoria di S. Canio vescovo e martire, insieme al ricordo dei due giovani martiri lucani i diaconi Laviero e Mariano. Era un’epoca in cui l’umanità guardava al cielo, pur camminando su questa terra, con le sue contraddizioni e le sue convulsioni, ma si guardava al cielo e si costruivano cattedrali e monasteri, per camminare più sicuri: per dare ragione della speranza con dolcezza e rispetto, retta coscienza e buona condotta, afferma la Scrittura odierna. Oggi la vita sembra essere dedicata solamente alla preoccupazione terrena che a lungo andare provoca noia e assuefazione della mente al fatuo e al niente.
Il contrario che ascoltiamo dal brano degli Atti degli Apostoli, nella prima lettura: il diacono Filippo predica il Cristo risorto e le folle prestano attenzione alle parole e ai segni, con grande gioia chiedono il battesimo, e poi ricevono il dono dello Spirito Santo, tramite l’imposizione delle mani degli Apostoli. Questo tempo di Pasqua ci sta conducendo verso l’Ascensione di Cristo alla destra del Padre e la discesa dell’altro Paracleto, lo Spirito di verità, che darà la grazia di osservare i comandamenti del Figlio e rimanere con i suoi, con noi cioè, per sempre.
Si tratta di amarlo: l’amore, ci dice Gesù nel vangelo odierno, non è solo un’adesione delle labbra, ma se osserviamo, cioè se pratichiamo i suoi comandamenti. Solo in questo possiamo essere il suo tempio a lui dedicato, perché lui è nel Padre e noi in lui e lui in noi. Si tratta di un sinodo di compartecipazione con lui stesso, e quindi alla missione in cui ci vuole coinvolgere.
Miei cari fratelli sacerdoti, care suore consacrate, tra cui saluto la madre generale delle suore di S. Bernardetta del Burundi madre Daphrose Ndabambarire, giunta da noi proprio oggi dall’Africa, cari fedeli laici, rappresentanti al sinodo diocesano, si tratta della gioia: il Signore vuole la nostra gioia, mentre il peccato, su istigazione del diavolo, ci intristisce e ci conduce alla disperazione. Carissimi membri delle corali, con il vostro canto, non solo collaborate alla liturgia e al culto solenne, ma partecipate allietando l’anima e facendo meditare la mente con parole sacre, che devono sempre portare gioia ed elevazione al cielo.
Carissimo Mauro Squillante, fedele laico e lettore della parrocchia “S. Nicola” in Tolve, oggi ricevi l’istituzione nel ministero di accolito, dopo tappe di cammino di preparazione in scienze religiose, spiritualità, preghiera, guida di sacerdoti. Un ministero a cui sei chiamato dal Vescovo, dopo il discernimento sul tuo cammino ecclesiale e personale, a beneficio della Chiesa diocesana: riceverei fra le mani i vasi sacri, segni del tuo servizio all’altare eucaristico e al tabernacolo, ai fratelli ammalati e bisognosi, nell’annuncio catechetico e liturgico e in altri ambiti che avrai nella parrocchia nativa e in aiuto alla Diocesi, con costante esempio cristiano nella tua famiglia e nell’ambito sociale e professionale in cui vivi.
Per tutti noi risuona stasera la consolante parola evangelica di Cristo: “Non vi lascerò… io vivo e voi vivrete”: magnifico! Noi che vogliamo la vita piena, totale, integrale, per sempre, possiamo avere la speranza e ne possiamo rendere ragione, perché lui vive e quindi vivremo anche noi.
La Santa Vergine Maria, come Madre premurosa, ce ne assicura. Gesù vive e dona vita ai suoi fedeli. La morte fisica non ci fa paura poiché è il passaggio alla vita del Cristo risorto.
Preghiamo dunque e cantiamo in questa nostra cattedrale dedicata a Dio amore infinito: ognuno di noi è accolito di Cristo, cioè suo compagno nel servizio a lui e ai fratelli, non ci ha lasciato orfani, ci ha mandato l’altro Paraclito.