Omelia, Natale 2022, Cattedrale

24-12-2022

Omelia, Natale 2022

Troverete un Bambino avvolto in fasce”, così afferma il Vangelo di S. Luca (2,12), nell’apparizione degli angeli ai pastori dei monti di Betlemme. È il segno della gloria a Dio nell’alto dei cieli e della pace agli uomini amati dal Signore. Carissimi fratelli e sorelle, cari canonici presenti o impegnati nelle parrocchie insieme al presidente del Capitolo don Tonino, cari fedeli delle comunità parrocchiali di Acerenza insieme al nostro parroco don Nico e al viceparroco p. Saverio, la notte è chiara come il giorno davanti a te Signore, dice la Scrittura. Care Suore, caro sindaco, dalla solenne cattedrale invio il saluto di pace a tutte le comunità dell’Arcidiocesi. All’origine, nel caos e nelle tenebre Dio onnipotente creò la luce, così nel caos della storia umana e nel buio dei cuori, il Padre eterno mandò il Figlio eterno a diventare carne della nostra carne, dalla vergine Maria, immune dal peccato originale. Lo Spirito Santo scese su di lei con la sua ombra potente, e con il suo umile e magnifico assenso Gesù Cristo fu concepito e nacque a Betlemme di Giudea, non più piccola borgata, perché da quel luogo uscì il Comandante a cui è dovuta l’obbedienza dei popoli.

Gli angeli rassicurano lo stupore dei pastori con l’annuncio che la loro ricerca sarà premiata dal ritrovamento e l’incontro con il Messia, il Salvatore dell’umanità affranta dalla violenza e schiava del peccato. Trovare, cercare, camminare, muoversi, visitare, partecipare, essere in comunione e missione sono le parole bibliche che stanno guidando le Chiesa in questo sinodo locale e universale. In questo camminare insieme, perché ci è stata annunciata una certezza, perché nella notte una luce rifulge, perché una moltitucidene di messaggeri è inviata a noi da Dio: bisogna partire, forse anche nella notte, ma alla luce di Dio che, guida sicura, ci conduce alla meta.

I pastori dei monti dove secoli prima aveva guidato il gregge il giovane pastore Davide, i pastori che al loro tempo erano emarginati, evitati, disprezzati, poiché a causa della loro attività non potevano seguire tutti i dettami sacri, questi uomini ignorati dalla grande società, adesso sono avvolti dalla gloria divina. Attenzione: la gloria divina, secondo la rivelazione antica, stava solo sul e nel tempio di Gerusalemme, nella nuova rivelazione invece già aveva avvolto il grembo di Maria di Nazareth, già era venuta in sogno al caro Giuseppe, adesso si posa su questi poveri uomini, rudi e vigili. Non solo il tempio, ma ormai ogni uomo è la gloria di Dio, poiché Dio si è fatto uomo, per insegnare ad ogni uomo la via di Dio, nella redenzione della sua anima proprio con quel sacrificio di quel Bambino, che da adulto sarà appeso sulla croce e deposto in un sepolcro fino al terzo giorno della risurrezione.

I poveri uomini trovano effettivamente il Bambino, nelle case grotte di Betlemme, in fondo all’alloggio, dove al tepore degli animali domestici partorivano le donne, in una semplice riservatezza e al riparo del freddo, come deve essere per ogni neonato che viene alla luce. L’attento cenno di Giuseppe li conduce al mistero celeste di cui hanno ascoltato gli angeli. Quale mistero? Forse pensavano di trovare il Bambino in qualche casa nobile e ricca della città di Davide, non credo. Dio si rivela ai semplici e agli umili, anche se illetterati e sprovvisti, ma aperti al mistero, perché abituati al sacrificio dell’esistenza e a guardare il cielo nei momenti di solitudine e di sofferenza.

Trovano il Bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia, in latino presepe, trovano la Madre che lo accarezza con totale dedizione; insieme alla Madre e al suo sposo Giuseppe adorano e offrono quel poco o molto che possono: l’importante è offrire sé stessi.

Carissimi fedeli, laici e sacerdoti, nel mondo attorno a noi, sia in occidente che in varie parti del mondo, festeggiano un non so che, con luci artificiali, scambio di doni, colori variopinti, figure mitologiche di uomini e di animali, pare si possano chiamare “feste dell’inverno” tra solstizio di dicembre e inizio di anno nuovo. Chiamano questi giorni anche natale in varie lingue, ma non si sa natale di chi, e anche se si sa o qualcuno ricorda, si vergognano di dirlo e di annunciarlo oppure fanno finta di non sapere: ci sono riti e usi, iniziative e attività a cui pensare, tra l’altro in modo rigorosamente religioso, come un obbligo voluto da qualcuno che muove le fila del discorso frenetico e invasivo.

Altri uomini e donne invece, con le loro famiglie, sui monti dell’esistenza terrena sono vigili e svegli, attendono il segnale, la luce che viene dall’alto, un messaggio degli angeli di Dio, per avviarsi e trovare finalmente non un che cosa, ma un chi, un Bambino avvolto in fasce e giacente inerme in una conca scavata nella roccia, una mangiatoia, come una tomba. Cari fratelli e sorelle, facciamo in modo di essere tra questi uomini e donne che ancora cercano sinceramente per trovare la verità che Dio prepara, come i pastori di Betlemme: lasciamo perdere le sirene mondane, le distrazioni per non pensarci, i diversivi per allontanarci dal centro che è il Bambino Gesù, tutti noi, preti e fedeli laici. E’ venuto per occuparsi delle cose del Padre suo, cioè l’amore infinito per l’uomo. Maria e Giuseppe lo guardano e lo adorano, loro hanno capito, sono del popolo degli umili, che tutto affidano e confidano in Dio.

La grandezza dell’umiltà: così mi dicevano i giovani di una nostra casa di accoglienza. Giorni orsono. Abbiamo commentato insieme questa rivelazione, io ho letto il Vangelo della Natività e poi ho chiesto a loro di suggerirmi le loro meditazioni, per preparare l’omelia di Natale. Quasi due ore di ascolto, di colloquio, di sinodo: dalle loro esistenze segnate e ferite, all’unisono, mi hanno confermato che dal Vangelo della nascita di Cristo sgorga il messaggio divino della grandezza dell’umiltà, cioè dell’altezza inimmaginabile di chi si abbassa davanti all’amore di Dio. Il primo è lui, l’Emmanuele, il Dio-con-noi. “Io sono con voi e voi siete tutti fratelli”, così prende contenuto il Messaggio natalizio che ho rivolto ai fedeli dell’Arcidiocesi e che spero sia giunto fra le mani di coloro che desiderano seguire anche i passi comunitari che stiamo compiendo.

Carissimi di fronte a Gesù Bambino, che ci guarda con occhi di pace e di perdono, e ci invita a confessare i nostri peccati ai sacerdoti suoi ministri e ad accostarci all’altare per comunicare al suo vero Corpo, (altrimenti, mi chiedo, che Natale è per i credenti se non c’è la Confessione sincera e la Comunione eucaristica, per i giovani e per gli adulti?), davanti al Bambino innocente, Agnello che toglie i peccati del mondo, raccogliamo le lacrime di papa Francesco che l’otto dicembre scorso, ai piedi dell’immagine dell’Immacolata, ha detto con espressione spontanea durante la supplica: “Avrei voluto oggi portarti il ringraziamento del popolo ucraino, per la pace che da tempo chiediamo al Signore…” e si è interrotto nei singhiozzi di dolore. Anche noi con lui: non ci siamo riusciti, Madre, non ci siamo riusciti… perdono divino Bambino, perdono Madre Maria. Perdonateci innocenti che soffrite ancora sotto le bombe e i missili della sorda crudeltà degli Erode di oggi. Maria, Giuseppe, accoglieteci in quella grotta. Perdonaci, Gesù nato per noi, noi non siamo capaci. Abbiamo le mani lorde di violenza e la bocca piena di alterigia. Abbiamo bisogno ormai solo di te. Donaci la tua potente manina, è la mano di Dio.