Omelia, 25 maggio 2020, Messa Crismale, festa solenne di S. Canio.
Carissima Chiesa, sposa di Cristo e suo Corpo mistico, Popolo sacerdotale, profetico e regale; cari parroci e altri sacerdoti e sacri ministri; cari presbiteri canonici, consultori, consiglieri, direttori, coordinatori e officiali di Curia; cari giovani seminaristi; care sorelle consacrate; cari fedeli tutti, acheruntini e diocesani, che vi onorate della speciale protezione di S. Canio vescovo e martire. Rivolgo un saluto speciale ai membri del Consiglio Pastorale Diocesano, che a questa liturgia rappresentano tutti gli amati cristiani cattolici dell’Arcidiocesi. Siamo radunati dallo Spirito Santo per la S. Messa del Crisma, rinviata a causa delle limitazioni sanitarie onde fronteggiare il rigore dell’epidemia e per volontà di papa Francesco da celebrare al massimo entro Pentecoste. Siamo uniti alle Diocesi della Basilicata che, su suggerimento del Metropolita, hanno voluto celebrare la Messa crismale in date viciniori proprio in questa settimana, profittando delle feste dei patroni diocesani. D’altronde, pur desiderando di celebrarla alla vigilia di Pentecoste, non abbiamo ritenuto di privare della Messa dei primi vespri le comunità parrocchiali, già costrette al numero limitato di partecipanti alle celebrazioni eucaristiche tra il sabato sera e la domenica. Siamo radunati nella festa solenne qui in Acerenza per la Traslazione delle reliquie di S. Canio dall’antica Atella in Campania ad Acerenza in Lucania, voluta dal vescovo Leone nel 799. Siamo radunati in questo mese di maggio sotto lo sguardo materno di Maria SS., Madre della Chiesa, colmata di Spirito Santo e assunta da Cristo risorto in anima e corpo alla gloria celeste.
Questa solenne celebrazione è festa dell’Unzione: nella prima lettera dell’apostolo Giovanni, che abbiamo meditato in questo periodo, sono stato attirato da questo verso: “Voi avete l’unzione ricevuta dal Santo…rimane in voi e non avete bisogno che alcuno vi ammaestri, ma come la sua unzione vi insegna ogni cosa, è veritiera e non mentisce, così state saldi in lui, come essa vi insegna” (1 Gv, 2,20.27). Cosa è, o meglio Chi è questa Unzione di cui parla l’Apostolo, che rimane in noi, che ci fa da maestro e ci insegna la verità, che ci fa stare saldi nella fede, che è dono del Padre e del Figlio: è lo Spirito Santo Paraclito.
Fa eco il profeta Isaia nella prima lettura proclamata, brano cosi significativo in questa novena di preparazione alla Pentecoste: “Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione” (Is 61,1). La profezia si riferisce al Cristo, al Messia, l’Unto, il Consacrato. In Lui si riferisce non solo a noi sacerdoti, che per l’Ordine sacro in modo peculiare certamente siamo consacrati, ma si riferisce in Cristo, consacrato del Padre, a tutti i cristiani, tutti gli afflitti di Sion, i poveri in spirito, gli anawìm Jahwèh: c’è per tutti noi una corona invece della cenere, olio di letizia invece di abito di lutto, veste di lode invece di uno spirito mesto. Come suona incoraggiante e illuminante questa divina Parola nella presente afflizione che grava oggi sulla Chiesa e sull’umanità, e non solo a causa della pandemia virale, ma anche di altre pandemie ancora più pericolose e distruttive, quali il peccato, l’odio e l’ingiustizia.
Cari fratelli e sorelle, sacerdoti del Signore, ministri del nostro Dio, destinatari del salario fedele, popolo di un’alleanza eterna, stirpe e discendenza famosa tra le genti e i popoli. Chi ci vede deve riconosce che noi siamo la stirpe benedetta del Signore. Così si esprime ancora Isaia, non solo per l’antico Israele, ma in definitiva per il nuovo Israele che è la Chiesa del Cristo, del Consacrato di Dio. La nostra profezia, il nostro sacerdozio, la nostra regalità è per Cristo, con Cristo e in Cristo al Padre onnipotente nell’unità dello Spirito santo, come si canta nella liturgia eucaristica. Solo nella potenza e nell’amore della SS. Trinità noi potremo essere profeti, sacerdoti e re, consacrati con l’unzione per “portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, a rimettere in libertà gli oppressi e a promulgare l’anno di grazia del Signore” (Lc 4,18-19; cfr Is 61, 1-2), come è stato annunciato dal vangelo di Luca. Gesù, nella sua sinagoga di Nazaret, rivela che il brano di speranza di Isaia si attua in lui: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato” (Lc 4, 21). Lui, per la potenza dello Spirito Santo, vive in noi battezzati e confermati, penitenti ed eucaristici, ordinati e coniugati, unti nella malattia e nella prova, pellegrinanti sulla via dei consigli evangelici e nella vocazione alla santità, sempre illuminati dalla sua Parola.
Agli inizi dell’anno, durante il viaggio Algeria e Tunisi sulle orme di S. Agostino, un viaggio a dir poco premonitore ed enigmatico, visitando il sito di Cartagine punica e della Julia Carthago romana, oggi Tunisi, la cosa che ricordo di più è stata la visita all’anfiteatro dell’antica città, ancora nel suo complesso da far venire completamente alla luce con gli scavi archeologici. Eravamo indecisi se scendere nell’area dell’arena, ancora in terra battuta e fra ruderi ed erbe, ma poi con gli amici di pellegrinaggio siamo andati. Abbiamo sostato al centro dell’area: era il luogo del martirio di San Cipriano, delle martiri Perpetua e Felicita, della persecuzione e dei supplizi di S. Canio, dell’esecuzione dei famosi ventinove martiri di Abitene, e di altri numerosi cristiani dell’evo antico, condannati a morte. Ma in quelle terre della vicina Africa ci siamo ricordati di qualche decennio fa il martirio dei monaci trappisti di Thibirine e di tanti sacerdoti, religiosi e suore in Algeria, e ancora i cristiani perseguitati e uccisi in Egitto sia nell’antichità che nei nostri tempi, come i ventuno giovani cristiani copti che, rifiutando di rinnegare la fede, mentre venivano sgozzati dai terroristi islamici sulle rive del mare, in Libia, pronunciavano il kèrigma, invocando il nome vittorioso: “O Signore Gesù”. L’unzione dello Spirito Santo continua nei secoli in una Pentecoste perenne e il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani.
Miei cari sacerdoti e rappresentanti dei fedeli laici, care religiose, ripercorrendo il racconto della vita di S. Canio, come ce l’hanno tramandato, ho notato alcuni particolari che possono donarci un messaggio per noi oggi. Il vescovo di Cartagine, rifiutando di adorare gli idoli e la pretesa divinità dell’imperatore Diocleziano, sottoposto a vessazioni e torture di ogni genere, imprigionato e condannato alla decapitazione, scampato prodigiosamente alla morte violenta, riuscì a imbarcarsi con altri cristiani alla volta dell’Italia. Il naviglio era malridotto e inutilizzabile, sarebbero annegati certamente per la gioia dei persecutori. Ma invece, con la protezione del Signore, approdarono in Campania e in quella regione il Santo poté continuare a svolgere la sua missione sacerdotale episcopale, la sua testimonianza cristiana e l’opera caritativa e taumaturgica a favore dei poveri e dei malati, per essere invocato nei secoli come speciale protettore contro le malattie del torace. Stupore! Proprio le parti fisiche oggi compromesse gravemente dall’infezione di questo nuovo virus.
Nella Passio Sancti Canionis, miei cari, mi pare di vedere ancora una volta la navicella della Chiesa nel mare vasto e agitato, navicella sconnessa e piena di falle, a causa dei nostri personali peccati e delle nostre responsabilità disattese. Ma c’è l’amore del Padre, la grazia pasquale di Cristo e l’unzione dello Spirito Santo: fra le onde vorticose e la rotta difficoltosa, la navicella della sua Chiesa approda sempre alla riva, dove Gesù risorto ci attende e ci accoglie alla mensa, e nessuno di noi osa domandargli chi è, perché sappiamo che è il Signore.
Il tredici maggio, attualmente particolare giorno mariano del titolo di Fatima, l’Arcidiocesi e la città di Acerenza ricordano l’anniversario della dedicazione della cattedrale: abbiamo atteso la celebrazione odierna per farne debitamente memoria, impediti a suo tempo dalle restrizioni sanitarie a causa dell’epidemia in corso. L’edificio terreno ci comunica che noi siamo l’edificio spirituale non costruito da mani d’uomo, la santa Chiesa, e come queste belle pietre sono assemblate in un monumento solenne e splendido, perché ogni elemento sta al suo posto e concorre alla maestosità architettonica, cosi noi nel corpo ecclesiale di Cristo, secondo la nostra specifica vocazione, collaboriamo alla gloria di Dio.
Attenzione però nella Chiesa di Cristo, chierici, laici e religiosi, tutti consacrati, tutti cristi, ognuno secondo il suo ruolo: c’è qualcuno che ci vuole plagiare e alienare, profittando di ogni circostanza a sè favorevole. Solo i cristiani possono fronteggiare e resistervi. Anche oggi, infatti e come sempre, vogliono costringerci a servire idoli falsi, all’adorazione di imperatori di turno, al Leviatano che ci vuole opprimere e sottomettere, alle ideologie manovrate dall’Anticristo, al livellamento dell’umanità senza libertà e dignità, nel tentativo di cancellare specialmente il nome di Gesù Cristo dalla faccia della terra. Noi possiamo e dobbiamo resistere, perché sappiamo di avere una cattedrale incrollabile in cui Cristo è il vescovo delle nostre anime e noi le pietre vive del suo tempio e che le porte degli inferi minacceranno e perseguiteranno, anche con la morte, ma non prevarranno. Bìos, èthos, lògos: bìos, vogliono impadronirsi della nostra biologia e identità di uomini e di donne, creati a immagine di Dio; èthos, vogliono trasformarci in alieni e automi al di là del bene e del male, senza i divini comandamenti, alla merce dei loro interessi; lògos, vogliono privarci del pensiero e della ragione, della parola e della comunicazione, dono di Dio, al fine di acquisire ed eseguire solo i loro progetti di dominio. Però la storia, guidata da Dio, lo dimostra: i tiranni possono arrivare a stragi e crudeltà, ma per poco tempo. Abbiamo ascoltato dal libro dell’Apocalisse: “Dice il Signore Dio, io sono l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!” (Apoc 1,8).