Omelia domenica di Pasqua 2019

21-04-2019

Omelia domenica di Pasqua 2019

        Miei cari fratelli e sorelle in Cristo, cari sacerdoti, voi che siete i veri illuminati, poiché il battesimo è la vera illuminazione dell’uomo dopo le tenebre del peccato originale. E in antico il battesimo nella morte e risurrezione del Signore si chiamava anche così: Illuminazione. Lumen Christi, Cristo luce del mondo abbiamo cantato nella veglia di questa notte, mentre il lume del cero pasquale inondava pian piano tutta la nostra magnifica cattedrale e ancor di più il cuore dei fedeli radunati. 

      “Sfolgora il sole di Pasqua, risuoni il cielo di canti, esulti di gioia la terra”, canta la liturgia. Noi siamo qui presenti alla liturgia pasquale perché nel battesimo siamo risorti con Cristo e cerchiamo le cose di lassù dove è Cristo, seduto alla destra di Dio, come ci esorta l’apostolo Paolo (Col 3,1).  Viviamo in un ambiente sociale che cerca affannosamente e si agita continuamente per le cose di quaggiù, ricerca che si riassume nell’idolatria del potere, dell’avere e del piacere. Una ricerca smodata ed egoistica che provoca ansia e tristezza perché non tutto si può avere, non su tutti si può comandare, non tutti i piaceri si possono appagare. Poi si sperimenta il limite della natura umana, la malattia, la sofferenza, la morte, ma anche l’insuccesso, la delusione, l’incomprensione, ma anche il vuoto e l’inconsistenza di una vita spesa per le cose di quaggiù, senza senso e senza speranza. E’ l’immagine e la realtà che ci offre la società, questa nostra società cosiddetta emancipata e che vuole esportare questo modello di vita, meglio di non vita, in tutto il mondo e a tutti i popoli.

       “Rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra”, continua l’Apostolo nella sua lettera ai cristiani di Colossi.  Ma per S. Paolo le realtà elevate e celesti non sono i sogni o i miti o le illusioni umane, “lassù” significa la presenza viva di Dio Padre, la grazia del Cristo crocifisso risorto, l’amore dello Spirito Santo. “Lassù” significa la Parola del Signore, la sua morte e risurrezione, il dono dei sacramenti affidati alla Chiesa, la carità vicendevole dei suoi discepoli. E’ la morte al peccato nell’immersione battesimale e il nascondimento nell’umiltà e nell’obbedienza con Cristo in Dio, come abbiamo ascoltato nella seconda lettura, affinché alla manifestazione di Cristo nostra vita, anche noi possiamo apparire con lui nella gloria.   

      Pasqua allora è la festa della conversione e dell’accoglienza del Cristo, poiché con la sua incarnazione, morte e risurrezione le cose di lassù sono scese quaggiù, il cielo si è unito alla terra, non c’è più la distanza abissale causata dal peccato originale e attuale, ma c’è ormai la riconciliazione e la pace nel sangue del Cristo, ormai tutto in Cristo è “come in cielo cosi in terra”, come lui ci fa pregare ogni giorno. Non chiudiamoci nelle cose mondane, precludendo al cielo di scendere e di unirsi alla terra: riconosciamo sinceramente le nostre manchevolezze e fragilità, apriamo il cuore a una totale disponibilità, dispieghiamo volentieri il nostro mondo ad accogliere il cielo, cioè la luce del Signore Gesù, la sua vita, la sua verità.

      Quel mattino della prima Pasqua e della prima Domenica della storia, tra i discepoli, come abbiamo ascoltato dal vangelo di Giovanni, si verificò una corsa di annuncio e di felicità. La discepola Maria Maddalena, che si era recata al sepolcro al mattino presto e che lo aveva trovato aperto e la pietra funebre ribaltata, non poté contenersi dalla gioia e corse ad annunciare agli Apostoli di aver visto il Signore. Pietro e Giovanni corsero a loro volta verso il sepolcro vuoto, videro i teli e il sudario ordinati e piegati, videro e credettero. A sera due discepoli, che delusi rientravano a casa, da Emmaus ritornarono di corsa a Gerusalemme per annunciare che Gesù risorto si era affiancato a loro lungo la via, spiegando le Scritture, e che lo avevano riconosciuto allo spezzare il pane: si sentirono annunciare che nello stesso giorno era apparso anche a Pietro e agli altri Apostoli. Fu un giorno frenetico di gioia, la notizia si diffuse subito fra gli Apostoli e i discepoli: tutto era compiuto, aveva detto al Padre Gesù sulla croce, ma non significava che tutto era finito, anzi il contrario: adesso tutto iniziava. Anche stamane, miei cari, tutto sta iniziando di nuovo.

     Correre, vedere, credere: le tre parole del Vangelo di oggi che ci invitano a riflettere.

     Anzitutto correre: troppa pigrizia per i cristiani di oggi, quella mattina di Gerusalemme la Chiesa dei discepoli si mette a correre, erano bloccati dalla paura nella stanza del cenacolo pronti ognuno a ritornare a casa. Poche ore prima erano fuggiti, altri avevano rinnegato il Maestro, uno lo aveva tradito e venduto, solo la Madre Maria, altre donne discepole e Giovanni il più giovane avevano avuto il coraggio di restare con lui fino alla morte e alla sepoltura. Adesso corrono e si passano la notizia: “Il suo corpo non c’è più nel sepolcro! L’hanno preso, l’hanno rubato? Oppure…” e cominciano a ricordarsi delle sue parole: “Dopo tre giorni risusciterò”. “Allora è risorto veramente! E’ vivo! L’hanno visto gli Apostoli, appare ai discepoli! Si fa vedere, si fa toccare, mangia con loro! Veramente è il Figlio di Dio”, si dicono l’un l’altro e in quel giorno si riempie del Vangelo tutta Gerusalemme. Quel tratto di cammino tra il cenacolo e il sepolcro vuoto rappresenta il cammino della Chiesa nei secoli. Sono duemila anni che corriamo per le vie del mondo e della storia. Non dobbiamo fermarci, cari cristiani risorti in Cristo, non dobbiamo fermarci. Qualcuno ha sempre tentato di farci fermare, di bloccare la nostra corsa della fede e dell’annuncio, di scoraggiarci, di sbarrarci la strada, ma la via si è sempre aperta, quando abbiamo confidato solo nella potenza del Cristo Risorto.

     Poi vedere: fare l’esperienza personale e comunitaria della risurrezione di Cristo, risollevandosi dagli impedimenti interiori e d esterni a noi, rifuggendo dalle tentazioni al male, convertendoci dai o peccati e dagli errori, confessando le nostre colpe ai sacerdoti di Cristo nel sacramento della penitenza e ricevendo con amore il sacramento dell’amore, l’eucaristia, cioè la comunione al cristo crocifisso risorto. Non possiamo più tergiversare, non bastano le tradizioni religiose e devozionali, insufficienti si rivelano le nostre vaghe conoscenze del cristianesimo, inadeguate le poche occasioni annuali in cui ci si trova a Messa e si assiste solo superficialmente per usanza. Occorre ritornare ad incontrarlo di nuovo come quella mattina della prima Pasqua, farsi parlare veramente da lui nel suo Vangelo, sentirsi vera Chiesa e popolo di Dio, partecipare concretamente e assiduamente, ognuno secondo il suo ruolo e la propria vocazione, alla vita spirituale e reale dei battezzati e dei cresimati, degli illuminati, poiché senza Gesù Cristo il mondo brancola nel buio e nel male.

    Infine credere: il dono della fede, il più inestimabile, che è amore e speranza verso Dio Padre che conosciamo solo tramite il Figlio e nella potenza dello Spirito Santo. Credere in Dio, e non in modo vago e fantasioso, credere a Dio come ci ha rivelato il Figlio Gesù, Padre buono e giudice misericordioso. Credere come è rivelato dallo Spirito Santo nelle Sacre Scritture. Credere nelle piaghe di Gesù che ci guariscono, credere che il terzo giorno è risuscitato e siede alla destra del Padre e donarci vita in abbondanza, credere che non dobbiamo temere perché è con noi sino alla fine del mondo. Credere che non finisce tutto qui, ma di qui inizia la nostra vita bella e santa e che dopo il passaggio continua ancor più bella a e santa con Cristo Risorto nell’eternità. Noi credenti in Cristo abbiamo un debito verso il mondo: manifestare la nostra fede con le opere e le parole. Molti nostri fratelli e sorelle in questo momento stanno testimoniando la fede in Cristo risorto patendo l’emarginazione sociale, la povertà imposta da regimi anticristiani, condannati nelle carceri a causa della fede, soffrendo atti di violenza e di ingiustizia, perfino la pena di morte, perché sono discepoli di Cristo: in loro si manifesta la potenza della croce e la gloria della risurrezione di Cristo. Ricordiamolo, miei cari, e anche noi facciamo la nostra parte di vita autentica e fedele al Vangelo. Tutti, dai piccoli a noi adulti.

     Papa Francesco recentemente ci ha donato l’esortazione in forma di lettera, per i giovani e per tutti i fedeli, dal titolo esaltante Christus vivit, Cristo vive, è vivente, cioè è presente qui, adesso, con noi. Questo è il messaggio che intendo far mio e proporre a voi in questo giorno benedetto: Cristo è vivo e vuole vivi anche noi. E’ vivo, Egli vive! Allora: correre verso di lui, vedere la sua gloria, crederlo e amarlo con tutto il cuore.

     Maria, Regina del cielo, rallegrati. Alleluia. Cristo che hai portato nel grembo. Alleluia. E’ risorto come avena detto. Alleluia. Prega Dio per noi. Alleluia.