Omelia domenica palme 2019
Miei carissimi fratelli e sorelle, carissimi fratelli sacerdoti e diacono, per le strade della nostra cittadina, come dal monte degli Ulivi a Gerusalemme, anche noi abbiamo accolto il Salvatore pieni di gioia e lodando Dio a gran voce: “Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore: Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli” (Lc 19, 38). La liturgia della Domenica delle Palme e della Passione di nostro Signore ci introduce direttamente nella Settima Santa e specialmente nel Triduo pasquale, che è il centro dell’anno liturgico e comunica il fondamento della nostra fede: la passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo, Figlio di Dio, per la salvezza del mondo.
Il salmo 21 ci ha introdotto alla proclamazione del Vangelo della passione di Gesù secondo l’evangelista Luca: il sofferente ed orante, perseguitato e condannato a morte, invoca l’aiuto e l’intervento di Dio. Gesù sulla croce prega con il salmo che inizia con un grido di lamento: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato!” (salmo 21/22, 1). Nell’uso antico si citava l’inizio del salmo per indicare tutto il contenuto. Meditandolo possiamo scorgere i sentimenti e la prova a cui Gesù è sottoposto, ma non è affatto un grido di disperazione, come certa letteratura e narrativa hanno voluto far credere, non è la disperazione dell’uomo cosiddetto moderno dubbioso su Dio e sulla sua bontà provvidente, è la preghiera accorata del giusto sofferente che si affida a Dio totalmente, anche nel momento estremo del dolore e della morte. Infatti la preghiera nel salmo 21, dopo aver descritto i tormenti e i supplizi a cui è sottoposto l’orante, si risolve in una lode a Dio che ha ascoltato e soccorso il suo servo liberandolo.
Gesù in croce si affida totalmente al Padre: colui che aveva insegnato nella preghiera a dire “Sia fatta la tua volontà” (Mt 6,10), si abbandona tra le braccia del Padre. Colui che aveva insegnato a pregare “Non ci indurre in tentazione” (Mt 6,13), non abbandonarci in quel momento, “ma liberaci dal male” (Mt 6,13) e dal maligno, adesso accogliendo la prova suprema che il Padre gli permette, invoca di non essere abbandonato, di essere liberato. Il Padre ascolta il grido del Figlio e lo sostiene con le sue braccia, lo abbraccia nella prova e nel dolore: “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10,30), aveva già detto il Figlio.
Non c’è posto per la distrazione in questa Settima Santa, ogni vero cristiano cattolico si raccoglie nella preghiera e nella meditazione, nell’ascolto della Parola divina e si avvicina sinceramente al sacramento della Penitenza confessando ai sacerdoti i propri peccati e ricevendo con somma adorazione il Corpo di Cristo nell’Eucaristia. Il cristiano cattolico non pensa a diversivi o occupazioni fuorvianti, ma si fa presente al mistero di Cristo che si rinnova; non tralascia il Triduo pasquale, ma partecipa assiduamente con la propria famiglia, ragazzi, giovani e adulti; corre alla Veglia pasquale eucaristica della notte, dove può comprendere la bellezza del Cristo che dalle tenebre ci conduce nella sua ammirabile luce; si unisce alle devozione popolare consueta nel nostro popolo senza badare alle modalità, ma ricercandone solamente l’intensità, con la guida saggia dei sacerdoti.
Gesù ci commuove quando ci dice: “Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione” (Lc 22,15). Vuole dirci: prima del mio amore immenso che vi donerò dall’alto della croce, io voglio stare con voi a celebrare la nuova Pasqua nel mio Corpo e del mio Sangue. Cosi dice l’Agnello, prima di essere immolato, Cristo l’immacolato Agnello di Dio. Se Gesù desidera ardentemente fare Pasqua con noi, come non dovremmo accettare subito il suo invito alla cena con lui: “Beati gli invitati alla cena del Signore!” esclama la liturgia eucaristica echeggiando la divina Scrittura. In quella cena mistica, prima di salire sulla croce, nell’intimità del cenacolo di Gerusalemme, con i suoi apostoli presaghi di un dramma imminente ed alcuni già impauriti e un altro già traditore, “Prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “Questo è il mio corpo, che è dato per voi: fate questo in memoria di me” (Lc 22,19). Il suo Corpo spezzato sulla croce e spezzato in perpetuo nella Messa, la celebrazione cattolica del suo sacrificio a gloria del Padre e a salvezza degli uomini, il suo Corpo dato, offerto, donato, non trattenuto nell’idolatria di se stessi, ma condiviso nella carità senza limiti per gli altri: una volta per tutte sul Golgota, ma sempre poi nella verità sacramentale della celebrazione liturgica per i secoli dei secoli. “E dopo aver cenato, fece lo stesso con il calice dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi” (Lc 22,20). Il suo Sangue prezioso, cioè prezzo del nostro riscatto, della nostra redenzione, della nostra liberazione, prezzo della nostra libertà e santità. È ormai l’alleanza definitiva, non c’è bisogno più di sacrifici e di olocausti, Cristo, il servo giusto e sofferente, si è sacrificato per la nuova alleanza tra Dio e l’uomo. Nella Pasqua si rivela l’obbedienza estrema del Figlio di Dio: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13). Ogni domenica è Pasqua, ogni Messa è Pasqua: “Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta!”, acclama la liturgia. “Dacci oggi il nostro pane quotidiano” (Mt 6,11), il pane essenziale e veramente necessario, donaci sempre questo pane, donaci te stesso che sei pane vivo disceso dal cielo, il tuo Corpo e il tuo Sangue.
Siamo commossi. Grazie infinite, Signore Gesù: nel tuo sacrificio d’amore per tutti noi, intravediamo l’infinito amore del Padre e la grazia incessante dello Spirito Santo. Non meritiamo nulla a causa dei nostri molti peccati, sei tu che ci fai meritare il tuo amore. Tu, Padre nostro che sei nei cieli, accogli sempre quel figlio che, dopo aver sperperato la tua grazia nel peccato più lurido, torna a te ferito e piangente. Tu, Padre misericordioso, lo abbracci e lo baci come figlio morto tornato in vita e lo rivesti di perdono, lo calzi di affetto, gli metti l’anello dello sposo e nella tua casa calda e luminosa gli fai festa, inondandolo di gioia.
Miei cari sacerdoti, miei cari fratelli e sorelle laici, miei cari giovani, a cui da tanti anni la Domenica delle Palme è dedicata, viviamo in tempi confusi e convulsi, molti vogliono convincerci ad attenuare la fede, la speranza e l’amore di Dio, altri ci invitano a dimenticarlo, altri ci impongono di tradirlo. Come abbiamo ascoltato dal Vangelo proclamato: all’ingresso di Gesù a Gerusalemme, alcuni, infastiditi e contrariati dall’entusiasmo dei suoi discepoli e degli abitanti della città, si rivolgono a Gesù seduto su un asino, segno profetizzato della sua regalità messianica di pace e di salvezza, chiedendogli di rimproverare e di tacitare i suoi discepoli. Lui risponde: “Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre” (Lc 19,40). “Christus vivit!” porta il titolo la recentissima Esortazione Apostolica di Papa Francesco indirizzata a mo’ di Lettera ai giovani. “Lui vive e ti vuole vivo!”, vi afferma il Papa e questo vale per tutti. Non dobbiamo tacere la gloria eterna del Padre e la bellezza salvifica del Figlio suo Gesù, non dobbiamo aver paura di testimoniare umilmente e gioiosamente la nostra fede nel mondo e negli ambiti in cui siamo inseriti. Se non lo facciamo noi, per paura o per tradimento, dice Gesù, lo faranno le pietre, cioè il Figlio di Dio riceverà testimonianza da chi e dalle realtà da cui meno ce lo aspettiamo.
Per la sua santa passione d’amore ci aiuti il Signore Gesù e la sua santa Madre addolorata sotto la croce.