Omelia domenica 22 agosto 2021. Acerenza, ore 11.00, teletrasmessa dalla RAI.
Carissimi fedeli presenti, cari fedeli che, impediti da anzianità o malattie, o altre circostanze oggettive e ostative per età e situazione, seguite attentamente almeno per televisione la S. Messa domenicale, cari registi e operatori della RAI, pace a voi, dall’ammirevole basilica cattedrale di Acerenza e da questa Arcidiocesi antica e vivace.
Abbiamo ascoltato la proclamazione del Vangelo secondo l’apostolo Giovanni. Si ricollega alla rivelazione di Cristo circa se stesso come pane di vita da mangiare e sangue di salvezza da bere: una rivelazione prima della cena mistica, della passione sulla croce e della sua risurrezione, dell’istituzione dell’Eucaristia. I discepoli reagiscono affermando che questo linguaggio è duro. Sì, occorre mangiare la carne e bere il sangue di Cristo eucaristico: è duro a credere e praticare anche oggi, come anche diventare pane da distribuire ai poveri e ai bisognosi, è duro anche per noi oggi. Però occorre necessariamente cominciare dall’Eucaristia e diventare eucaristici, moltiplicandoci e condividendoci nella fede, speranza e carità: è sempre un dono di grazia, non è nostra capacità. Nessuno può venire al Figlio se non gli è concesso dal Padre, che nella sua misericordia desidera concederlo a tutti coloro che sono umili e sinceri nell’accoglierlo.
Gesù nota lo scandalo nei suoi discepoli, ossia l’ostacolo nel loro cuore: la mente è ancora attardata nel riconoscere che lui, il Cristo, viene da Dio e deve salire là dove era prima. Le sue parole sono spirito e vita, ma loro sono ancora nel dominio della carne, ossia della debolezza e fragilità umana in pensieri, convinzioni e presunte certezze, che non giovano a nulla. E’ lo Spirito Santo che dà vita, solo lui e la sua azione soave possono far superare il livello puramente umano e oscurato dal peccato e dall’errore, per riconoscere la vita che è nella parola e nel gesto di Gesù.
È un momento drammatico quello della rivelazione del corpo e del sangue di Cristo da mangiare e bere, da offrire in sacrificio sulla croce, da rivedere poi risorto nel suo vero corpo, da consacrare, assumere e adorare nel Sacramento dell’altare, della Messa: l’Ostia santa. È un momento di crisi: se ne tornano indietro, non vanno più con lui. Come non pensare a coloro, numerosissimi anche oggi, che sono tornati indietro e non vanno più con Gesù: una crisi drammatica permanente. E Gesù domanda a noi sempre, e oggi, e quindi a ciascuno: “Volete andarvene anche voi?” (Gv 6,67). La tentazione di sempre e la più grave: abbandonare il Signore, che ci fa pregare “Non abbandonarci alla tentazione”.
C’è però la risposta, ancora di Pietro, che dopo la riprovazione, si è messo dietro al Maestro e, illuminato dallo Spirito che dà vita e superando la carne che non giova a nulla, esclama a nome dei Dodici, che erano rimasti ammutoliti: “Signore da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna, noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (Gv 6, 68-69). Dove andremo, noi, in questo momento storico di un certo successo tecnico-scientifico, ma di tristezza e insoddisfazione per i contagi di ogni genere che sempre attanagliano il nostro corpo e angosciano il nostro spirito, per il desiderio di libertà che scambiamo facilmente con i capricci del nostro egoismo e la vanità dei nostri idoli?
Da chi andremo? Solo Cristo ha parole di vita piena, totale, che è per sempre, anche al di là della morte. Riecheggia l’assemblea convocata da Giosuè, di cui abbiamo inteso nella prima lettura. Dopo esperienze di crisi di fede e di sequela, se cioè il popolo eletto avesse l’intenzione di abbandonare il Signore che lo ha liberato dalla schiavitù, rispondono tutti: “Noi serviremo il Signore, perché egli è il nostro Dio” (Gs 24,18).
L’apostolo Paolo nel famoso brano della lettera agli Efesini ci fa pensare allo Spirito che dà vita e alle parole di vita eterna di Gesù per tutti i cristiani e per l’uomo e la donna uniti in matrimonio e all’interno della relazione coniugale e familiare: “Siate sottomessi gli uni agli altri… come la Chiesa a Cristo” (Ef 5, 21.32). La spiegazione più semplice e autorevole di questo passo della Scrittura è nell’Esortazione Apostolica Amoris laetitia, al numero 156, quando papa Francesco afferma circa questa sottomissione d’amore dell’uomo e della donna: “La comunità o unità che essi debbono costituire a motivo del matrimonio, si realizza attraverso una reciproca donazione, che è anche una sottomissione vicendevole… che acquista un significato speciale e si intende come un’appartenenza reciproca liberamente scelta, con un insieme di caratteristiche di fedeltà, rispetto e cura”.
Questo è il mistero grande, di cui ci parla l’Apostolo, di amore unico, fedele, indissolubile e fecondo, solo di Cristo e della Chiesa, e quindi solamente dell’uomo e della donna uniti in matrimonio per la formazione della famiglia e la generazione dei figli.
Cari fratelli e sorelle, in questa santa eucaristia, acclamiamo dunque insieme: “Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna!” (Gv 6,68).
La santa Vergine Maria, nostra Madre e Regina, ci suggerisce, insieme a tutta la Chiesa: “Gustate e vedete come è buono il Signore” (Salmo 33,9).