OMELIA DI NATALE 2018

24-12-2018

     Carissimi fratelli e sorelle, fra i quali saluto con particolare affetto i bambini, i giovani e i ragazzi. Reverendi sacerdoti: il parroco don Domenico, il presidente del capitolo don Antonio, i concelebranti canonici don Pierpaolo e don Marcello, don Samuel vicario parrocchiale. Rev.de Suore di S. Bernardetta del Burundi. Illustri autorità civili e di pubblica sicurezza: signor Sindaco, signor Capitano e signor Maresciallo della capitaneria e stazione di Acerenza, signor Comandante della polizia municipale. Saluto anche le autorità scolastiche e culturali della città.

 “Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio” (Is 9,5), canta il profeta in questa notte santa. Ci avviciniamo anche noi come i pastori di Betlemme alla grotta indicata dagli angeli e trepidanti di stupore desideriamo vedere e conoscere questo nuovo Bambino (cfr Lc 2,15-20). Molti sono i suggerimenti che la nascita del Salvatore reca alla nostra mente e al nostro cuore in questo momento della storia dell’umanità e della santa Chiesa. Come non portare davanti a Gesù questo mondo sempre tormentato dal conflitto e dal sospetto e funestato dall’opera del Maligno? Come non portare davanti al divino Bambino e alla sua immacolata Madre tutto il cammino che specialmente la comunità dei credenti cattolici ha percorso in questo anno, in specie l’attenzione ai giovani con la celebrazione del recente Sinodo.

   Dalla grotta di Betlemme vorrei rivolgermi a tutti, ma specialmente proprio ai giovani e ai ragazzi delle nostre famiglie. Gesù è un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia (cfr Lc 2,12), diventerà ragazzo e poi giovane e da giovane partirà per annunciare il Vangelo e guarirà ogni uomo piagato nel corpo e nello spirito, abbraccerà la croce e morirà di amore per tutti noi, il terzo giorno risorgerà dalla morte e salirà alla destra del Padre da dove è disceso: il suo regno non avrà fine (cfr Lc 1,33). Il Bambino di Betlemme fa pensare ai nostri bambini. Ogni figlio è un dono inestimabile, un tesoro che Dio pone fra le nostre braccia per farne un santo, cioè una persona pienamente realizzata e destinata alla vita eterna. Il bambino Gesù ci guarda e ci dice che ogni bambino è sacro, non può essere ucciso nel grembo della madre con l’abominevole delitto dell’aborto procurato, non può essere fabbricato in laboratorio per i nostri egoismi, non può essere comprato o venduto per i capricci dei ricchi, non può essere affidato a due uomini o a due donne fingendo di esserne genitori, ma deve essere il frutto dell’amore coniugale tra il padre e la madre. Deve essere desiderato e non evitato a tutti i costi e con tutti i mezzi ostacolandone la nascita: gravissimi sono i peccati che commettiamo noi adulti nei confronti della vita umana concepita e nascente. Davanti a Gesù bambino dobbiamo chiedere perdono. Gesù dalla culla di Betlemme ci guarda con i suoi occhi puri e ci chiede di accogliere ogni bambino neonato e di farlo crescere nell’infanzia e nella adolescenza senza guerre, fame, sete, malattie, abbandono, emarginazione, indifferenza, senza abusi di ogni sorta e da qualsiasi parte vengano: la mancanza di rispetto verso un bambino è l’inizio di ogni guerra e violenza, perché se si ignorano, si umiliano e si violentano le giovani generazioni, provocandone dolore innocente, come si farà a rispettare l’uomo adulto e la stessa umanità intera?

    Gesù bambino ci allarga le braccia e ci sorride per indicarci che i ragazzi e i giovani non hanno bisogno solo di cibo e vestiti, oggetti e lussi, divertimenti e giochi, ma, oltre alla formazione umana e culturale, hanno un insopprimibile bisogno di Dio. Per i bambini, i ragazzi e i giovani il bisogno di Dio è fondamentale, come per tutti. In loro però è molto connaturale, normale: “A chi è come loro appartiene il regno dei cieli” (Mt 19,13), dirà Gesù nella sua predicazione.

    Specie nell’occidente opulento e disperato, abbiamo ridotto i nostri ragazzi in un continuo stato di frenetico egocentrismo con la fissazione del possedere e del consumare cose materiali, senza pensare alla loro anima, alla dimensione spirituale che ci differenzia dagli altri esseri. Potremmo dire che invece di educare i figli, li “alleviamo” pensando solo alla loro crescita fisica, ignorando o tralasciando la loro crescita spirituale: un gravissimo errore dei genitori, della società, della cultura dominante, a volte anche della stessa Chiesa. Gesù invece fra le braccia di Maria e di Giuseppe cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e davanti agli uomini ( cfr Lc 2,52). I frutti guasti di questa impostazione sbagliata si vedono ogni giorno: i bambini iniziano già da piccoli a far fatica a scoprire la loro spiritualità, a seguire la preghiera, l’istruzione religiosa, la pratica sacramentale e liturgica, ma anche la gentilezza e la dolcezza verso la madre e il padre, verso parenti e amici: crescono già irrequieti e capricciosi fin da piccoli, spesso ribelli e scontrosi, anche nella scuola e nelle relazioni con gli altri. Questo triste fenomeno di figli difficili continua e si ingigantisce nell’adolescenza e nella giovinezza: hanno tutto e sono infelici, hanno ogni comodità eppure sono insoddisfatti. Finiscono per cercare surrogati di felicità negli stupefacenti, sia droga che alcool, nelle nottate lunghe e senza mete, nelle relazioni sentimentali o sessuali fatue e devastanti, nella vana adorazione del benessere e dei soldi, nei miraggi della moda e del facile successo. Praticamente non diventano mai adulti responsabili e coraggiosi, fedeli a Dio e al servizio dell’umanità, e sono intristiti nella delusione e nella noia.

   Perché? Perché gli uomini, anche e specialmente i ragazzi e i giovani hanno sete e fame di qualcos’altro, di Qualcun altro: Dio, Dio, Dio! In particolare del Dio che si è incarnato ed è nato da seno della Vergine Maria: Gesù Cristo e tutto ciò che da lui deriva. Mi sono sempre chiesto perché il Figlio eterno di Dio Padre venendo sulla terra, ha voluto proprio percorrere tutte le fasi della nostra vita umana: avrebbe potuto apparire da adulto direttamente. Perché questa gestazione di nove mesi nel grembo di una donna? Perché ha voluto entrare nel mondo tramite un concepimento e un parto, seppure verginale e per opera dello Spirito Santo? Perché quel viaggio faticoso a Betlemme per il censimento imperiale con la madre ormai al termine della gravidanza e il padre adottivo Giuseppe in ansia per lui e per la sua sposa? E poi, quella nascita in condizioni disagiate e, subito dopo, la fuga nel lontano Egitto per sfuggire alla furia infanticida di Erode? E ancora, il suo ritorno non meno difficile a Nazaret alla morte di quel tiranno e lì restare nel silenzio della preghiera e del sabato, alla scuola della sinagoga, nel gioco con gli amici, al lavoro nella bottega di Giuseppe, nel cuore il desiderio di occuparsi della volontà del Padre suo, nell’attesa del momento stabilito per incontrare al fiume Giordano il suo giovane cugino e precursore Giovanni e sentirsi dire dal cielo aperto: “Questi è il mio diletto Figlio nel quale mi sono compiaciuto!” (Mt 3,17). Perché tutto questo? Non poteva essere una visione, un’apparizione, una filosofia, un sogno, un’illusione, come in tante religioni? No. Ha voluto vivere da uomo come tutti noi, nelle gioie e nelle prove, perché Lui è vero, reale, vivente: “Io sono la via, la verità e la vita… Chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 14,6. Gv 8,12).

     Ecco perché, pur nelle crisi periodiche, pur nell’oblio della società attuale, pur nella persecuzione e nel disprezzo, Gesù di Nazaret sarà sempre attraente e affascinante per i ragazzi, per i giovani, per tutti. Perché lui ci ha preso sul serio, ci ha amato fino alla fine, lui è la luce della vita umana. Solo Lui. Lo sguardo amorevole di Maria ci indica il Figlioletto nelle fasce e anticipa nel comandarci: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela” (Gv 2,5). Giuseppe, obbediente e premuroso, difende dal freddo e dai pericoli la sua sposa e il Bambino: con il suo sguardo puro ci rassicura e ci invita a donare tutta la nostra vita al quel Bimbo e alla sua Madre come ha fatto lui. Gli angeli, nel cielo stellato di Betlemme, ci conducono cantando al presepe per adorare e glorificare Dio nell’alto dei cieli e a spingerci su cammini di pace, sia noi che tutti gli uomini amati dal Signore. E’ questo l’unico Natale del Signore. Tutto il resto per cui il mondo si affanna in questi giorni festivi è solo per evitare di rispondere alla domanda di Cristo: chi sono io per te?

     Grazie fratelli e sorelle del santo popolo fedele di Dio, come usa definirci il nostro caro papa Francesco, per questa solenne liturgia di Natale 2018; grazie a tutti i collaboratori parrocchiali sia nella catechesi, sia nel canto, sia nella liturgia, sia nelle opere di carità. Un ringraziamento particolare a nostri amici che hanno allestito il presepe qui in basilica. Si comprende subito il significato: è rappresentata Acerenza, bella e antica, con il suo centro storico dominato dalla vetusta cattedrale e la natività rappresentata in una grotta della roccia si cui si erge la nostra città. Si, Gesù è nato a Betlemme, ma da quel momento tutte le città e i paesi cristiani, tutte le famiglie, le persone battezzate, le chiese e le comunità, gli uomini di retta coscienza e buona volontà sono diventati una Betlemme in cui, se apriamo la porta, Gesù nasce e vuole rimanere per sempre.

    Buon Natale cara Acerenza, buon Natale cara Arcidiocesi, dai piani ai monti, a tutti voi cari miei diocesani, bimbi, ragazzi, giovani, adulti, anziani, cittadini e forestieri, buon Natale!  il bambino Gesù vi conforti con le sue carezze, vi asciughi le lacrime dal viso, vi colmi il cuore con la vera gioia.