Omelia, B. Lentini, Lauria 25.02.2022

25-02-2022

Omelia, B. Lentini, Lauria 25.02.2022

Carissimi fratelli e sorelle, cari devoti del beato Domenico. Un saluto fraterno e grato a S.E.R. mons. Vincenzo Orofino, nostro caro vescovo, ai parroci di Lauria delle tre parrocchie di Lauria, don Michelangelo, don Luigi, mons. Giuseppe Cozzi, ai sacerdoti nativi e a quelli convenuti a questa Celebrazione Eucaristica. Un saluto a don Antonio, vicerettore del Seminario Maggiore di Potenza, presente con il gruppo dei seminaristi della Diocesi. Un saluto cordiale al sindaco sen. Gianni Pittella, agli altri esponenti comunali, ai Responsabili di ordine pubblico e sicurezza sociale. Un pensiero al comitato interparrocchiale e a tutti i collaboratori delle parrocchie.

Ringrazio ancora per l’onore e la gioia circa l’invito a presiedere l’Eucaristia a vespro di questo giorno festivo del Patrono dell’intera comunità di Lauria: sono stato, come è noto, ben diciassette anni vicino ai venerati resti mortali del Beato e sempre a contatto con i suoi ricordi e i luoghi biografici: non ho mai dimenticato, e mi sono sentito sempre piccolo e impari di fronte alla sua persona di santo sacerdote, sempre fiducioso però nella sua intercessione per me, per questa Città, per la diocesi di Tursi-Lagonegro, per i tutti i suoi devoti in Basilicata e altrove nel mondo.

Siamo alle porte ormai della Quaresima, in preparazione alla Pasqua di Cristo nostro Signore, don Domenico viveva assorto questi giorni nelle Quarantore di adorazione eucaristica fino a quelle del 1828, quando, in estasi per tutto il giorno davanti al SS. Sacramento, cadde svenuto per le penitenze e per le sofferenze. Portato nella sua povera casa, dopo i giorni di agonia e preghiere, il 25 febbraio obdormivit in Domino, si addormentò nel Signore. La Quaresima: e il Vangelo ci annuncia: “Convertitevi e credete al vangelo, il regno dei cieli è vicino” (Mc 1,15).

Ogni anno, per la Quaresima, con il permesso del vescovo e su richiesta dei parroci e dei comuni, partiva per predicare e confessare nei vari paesi e cittadine della Diocesi. Lì edificava gli animi, non solo con la parola di Dio, “gridata”, come piaceva dire al vescovo mons. Cantisani riprendendo una predica lentiniana, ma vi si fermava in penitenze aspre e donando in carità ai poveri del luogo l’offerta che riceveva per il quaresimale. Anche adesso continua a partire il nostro santo sacerdote per raggiungere i nostri cuori, ciascuno di noi, per profittare di questo tempo favorevole in cui accentuare la preghiera, comunitaria e personale, la penitenza e il pentimento confessando ai sacerdoti i nostri peccati, praticando maggiormente l’aiuto caritatevole verso i poveri, vicini e lontani, con umiltà e misericordia.

Aveva preso sul serio la sua vocazione di battezzato e di sacro ministro di Cristo: “Vieni, ti farò pescatore di uomini” (cfr Mt 4,19). Seguì il Signore con completo abbandono alla sua volontà e in Lauria, nella diocesi di allora, Policastro e Cassano, e oltre questi confini, operò una pesca abbondante di anime, pesca che intende continuare ancora per tutti coloro che si avvicinano alla sua vita, alle sue reliquie, alla sua beatitudine in cielo, nel premio del servo buono e fedele. Lui che aveva sfamato gli affamati, dissetato gli assetati, vestito gli ignudi, soccorso i malati, visitato i carcerati, ospitato i forestieri.

Cosa ci dice ancora il beato Domenico di Lauria? Cosa propone a questa nostra epoca dimentica di Dio, sospettosa verso il suo Figlio Gesù Cristo, disprezzante la Chiesa, comunità e famiglia del Signore, omicida della dignità e della vita degli uomini, disperata nell’idolatria del piacere e dell’avere, del successo e dell’apparenza, imprigionata dall’egoismo, dall’indifferenza e dalla guerra tra persone e popoli, stupita anche di fronte a pandemie, vecchie e nuove, che la scienza e la tecnica, tanto osannate, riescono a stento a contenere. Noi che ci troviamo non solo in un’epoca di cambiamento, ma in un cambiamento d’epoca, come anche papa Francesco ha detto più volte, cosa possiamo prendere dall’esempio e dalla testimonianza cristiana e sacerdotale del beato Lentini? Noi cristiani cattolici che ci dibattiamo tra la tentazione di adeguarci alle nuove proposte mondane e alle mode affascinanti in ogni ambito e la tentazione di chiuderci nei nostri ambienti con i pochi che sono rimasti, e asserragliarci come in un castello che stanno espugnando.

Anche il suo tempo fu un cambiamento d’epoca tra il 1700 e il 1800, un cambiamento tragico, sanguinoso, violento, in Europa, in Italia e nel nostro Sud. Il culmine fu nella sua cara Lauria che nel 1806 fu quasi totalmente distrutta e i suoi concittadini, preti e laici, decimati in un eccidio senza pari. Lauria, da secoli il centro più rinomato del territorio, era finita nel fuoco e nel sangue ad opera delle truppe napoleoniche francesi. Il beato Lentini, ascoltò la parola di Dio, la sua coscienza, i suoi Superiori, e fece la sua scelta, poiché nella vita occorre decidersi, secondo giustizia e verità. Non l’odio e la vendetta, non la disperazione e la fuga, non attaccarsi al carro dei vincitori, nemmeno continuare la lotta terroristica contro l’invasore. Scelse di essere il sacerdote di fede e di concordia, leale alle autorità umane, ma il sangue e la vita solo per Dio, come disse, fiero, al giuramento obbligatorio per la restaurazione del governo borbonico. Cioè il Beato non si fece ammaliare né dalle idee di una novità pericolosa, né da nostalgie passatiste, ma continuò con la perenne novità e il sicuro progresso del Vangelo, che non offende nessuno e dona vita e gioia a tutti. In questa congerie attuale, mi sa che dobbiamo fare così anche noi cristiani, di fronte a questa nostra situazione epocale ancora poco comprensibile, in questo cammino sinodale di tutta la Chiesa: “In tutto si cerchi Dio, il suo gusto, il suo volere, la sua gloria”, sono parole di don Lentini.

E’ l’anno della famiglia, amoris laetitia: sappiamo bene quanto il Beato teneva alla famiglia, che proprio in quel tempo venne insidiata dalle concezioni e dai comportamenti dannosi di una certa cultura dominante che stava iniziando a infiltrarsi nel tessuto morale della società e della famiglia stessa: non dimentichiamo che il codice napoleonico aveva ammesso non solo il matrimonio solo civile, ma anche il divorzio. Ebbene non solo sappiamo quanto si adoperò per la santità e la dignità del matrimonio e della famiglia, ma anche quanto questo ambito era oggetto della sua evangelizzazione e predicazione. Basti citare solo un pensiero delle sue Prediche: “Il fine del sacramento del matrimonio è il fare i figli non già nobili, ricchi e grandi, ma farli santi, eredi del paradiso e coeredi di Gesù Cristo con una santa educazione”.

Cresce sempre più la preoccupazione per i giovani, sia adolescenti che maggiorenni. A volte né le famiglie, né la scuola, né le parrocchie riescono a proporre una formazione solida e seria, sia umanamente, che cristianamente. Le violenze e il disagio giovanile sono sotto gli occhi di tutti. Le notizie televisive e giornalistiche ci portano sempre la cruda realtà della crisi e della dissipazione di tanta gioventù: i nostri figli, l’adesso di Dio, come li chiama papa Francesco. Che fece don Domenico con loro? Li ebbe numerosi per trenta anni a scuola, nella sua piccola e povera casa, da insegnar loro quasi tutte le materie previste in quel tempo, per poveri e ricchi, accettando solo qualche dono, che finiva nelle tasche e nelle bocche dei poveri. Ma quello che stupisce è il suo metodo: le ore sufficienti di studio, al chiuso, poi ancora studio, dialogo e preghiera verso il santuario della Madonna dell’Armo o alla cappella di S. Elia, all’aperto, oppure, il venerdì, sempre al convento di S. Antonio, pregando con la via crucis e facendo visita al luogo francescano. Una formazione integrale e globale, umana e spirituale, morale e intellettuale: società, Chiesa, ambiente. “Cristo vive e desidera che viva anche tu”, dice ai giovani papa Francesco: vita vera e vita tutta. Lo dobbiamo ai nostri ragazzi e giovani, i nostri figli, dobbiamo assumere da adulti le nostre responsabilità.

Beato Domenico, amico nostro, protettore fedele, santo della pace, in questo tempo sempre sull’orlo della guerra, quante cose potresti dirci ancora. Lo riassumi ancora con le tue parole essenziali, che abbiamo scolpito sulla tua tomba in caratteri d’oro: “Gesù Cristo è il mio bene, Gesù Cristo è il mio tesoro, Gesù Cristo è il mio tutto!”.