Omelia 6 gennaio 2021 Epifania
Carissimi fratelli e sorelle, reverendi sacerdoti concelebranti e diaconi dell’Arcidiocesi, care Suore, signor Sindaco. Un saluto di pace e di luce nell’Epifania del Signore, che si rivela a tutti i popoli nell’adorazione dei magi, al suo popolo nel battesimo al Giordano, ai suoi discepoli a Cana di Galilea. Giunga questo saluto dalla cattedrale a tutte le comunità parrocchiali che, con la guida dei sacerdoti, si stanno impegnando nella conversione pastorale a servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa. Voglio ricordare don Canio Forenza, che qui in Acerenza, da anni offre il suo silenzio e la sua sofferenza per noi.
Le feste dell’incarnazione e della nascita di Cristo furono istituite ben presto dalla Chiesa cattolica per combattere le eresie, che nei primi secoli cristiani sorgevano numerose e in ogni angolo dell’Ecumene. In ogni caso sempre pronte a ripresentarsi in ogni epoca, compresa la nostra.
Tra Oriente e Occidente, il Natale del 25 dicembre celebra la sua vera nascita nella carne contro il docetismo che vuole la divinità del Figlio di Dio solo come apparsa in un essere umano come in un fantoccio; l’Epifania del 6 gennaio celebra la vera e santa divinità di Cristo per contrastare l’arianesimo che vuole il Cristo solo come uomo superiore a tutti, ma non Dio; la divina maternità di Maria e la sua perpetua verginità del primo gennaio si celebra per combattere il nestorianesimo che vuole separare il Verbo divino dall’uomo Gesù, rifiutando nel concepimento della Vergine l’unità delle due nature. Ecco perché il natale senza specificazione della società attuale non ha nulla a che vedere con il Natale di Gesù Cristo, “Dio da Dio, Luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre”. Noi parliamo del Natale di Cristo Dio, il Natale della S. Scrittura, della liturgia, della dottrina, della fede e della vita della Chiesa dei cristiani.
Ci immedesimiamo dunque nel viaggio lungo e trepidante dei santi Magi, guidati dalla stella di Cristo, luce del mondo, per evitare le violenze, i sospetti e gli odi degli Erode di turno, e giungere invece alla pace del bambino Gesù, partorito dalla Vergine Maria e custodito dal suo sposo Giuseppe. Fra gli angeli e i pastori, arrivano alla grotta-capanna, alla stalla, questi Visitatori ricchi, sapienti e potenti. Ma lì nella stalla comprendono che la vera ricchezza è Cristo, lui la vera sapienza, lui la vera potenza. Ma in un senso nuovo e definitivo: la ricchezza è la fede in lui, la sapienza è la speranza in lui, la potenza è l’amore-carità in lui, per tutti gli uomini (cfr Mt 2).
Ma quest’anno speciale di S. Giuseppe e della famiglia, amoris laetitia, ci porta, insieme ai magi, direttamente alla Santa Famiglia che a Betlemme accoglie Cristo, che poi fugge in esilio in Egitto per due anni, che poi ritorna a Nazaret nella preghiera e nel lavoro. Tutti a servizio del Bambino che cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e davanti agli uomini, intento a occuparsi delle cose del Padre dei cieli, e loro con lui (cfr Lc 2,40.49.52). I magi riconoscono il mistero della Famiglia di Betlemme e guardano, ammirano, meditano, domandano, ascoltano, adorano, offrono. Di ritorno annunciano nelle terre lontane ciò che hanno visto e udito. Infatti la Chiesa pone in questa festa dell’Epifania il senso missionario dell’evangelizzazione, pensando alle nostre famiglie che, anche tramite i ragazzi, l’infanzia missionaria, sono chiamate alla cura verso gli altri ragazzi del mondo nel bisogno di fede e di aiuto.
Anche noi con i magi domandiamo a Maria e a Giuseppe il mistero dell’uomo Dio. In particolare domandiamo a Giuseppe, “padre nell’accoglienza”, come lo chiama il Papa, come accogliere Maria e il Bambino senza mettere condizioni. Papa Francesco ci insegna che il Giusto di Nazaret non pone condizioni nell’accogliere la sua Sposa incinta per opera dello Spirito Santo: nobile, rispettoso, delicato, fedele si affida, fa illuminare da Dio il suo giudizio, fa spazio a ciò che accade e assume la responsabilità nell’avvenimento misterioso.
La vita spirituale di Giuseppe non è una via che spiega, ma una via che accoglie, ci dice il Papa, ma non con rassegnazione passiva, al contrario con protagonismo forte e coraggioso, aperto all’azione dello Spirito Santo, di fronte agli aspetti più difficili dell’esistenza. Dio gli ha detto di non temere e lui si affida con fortezza piena di speranza. “Lungi da noi allora il pensare che credere significhi trovare facili soluzioni consolatorie. La fede che ci ha insegnato Cristo è invece quella che vediamo in San Giuseppe, che non cerca scorciatoie, ma affronta ‘ad occhi aperti’ quello che gli sta capitando, assumendone in prima persona la responsabilità”, afferma ancora il papa nella Lettera apostolica per l’anno iosefico (Patris corde, 4).
Il racconto e l’iconografia cristiana hanno voluto raffigurare i Magi come anche rappresentanti dei tre continenti allora conosciuti: l’Asia, l’Africa e l’Europa. Oggi possiamo estendere questo riferimento a tutti i continenti e a tutti popoli. Quest’uso tradizionale ci ricorda l’insistenza del Vangelo odierno. Erano stranieri, erano pagani incirconcisi: gli Israeliti non potevano avere rapporti sociali e culturali con i pagani, eppure nella grotta di Betlemme trovano accoglienza e benedizione, possono toccare il Re Bambino, di cui riconoscono la regalità unica e assoluta, ne affermano la missione di reggere, dirigere e correggere l’umanità tutta di ogni latitudine, religione e cultura.
Vediamo nell’episodio della visita e permanenza dei Magi a Betlemme il significato e la realtà che papa Francesco ha voluto indicare con l’Enciclica “Fratelli tutti” del 4 ottobre 2020. Non come Erode, e con lui tutta Gerusalemme, nella chiusura, nell’intrigo, nella menzogna, dell’indifferenza, nella accidia, fino alla determinazione dell’omicidio più brutale dei fanciulli, amici di Gesù. Ma invece come a Betlemme con gli angeli, i pastori e i magi: solo umiltà, fraternità, semplicità, ormai regna la pace. Lo sapevano Giuseppe e Maria, dal profeta di cui abbiamo ascoltato: “Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere” (Is 60, 3). E non si chiudono, perché quel Bambino, Figlio di Dio, affidato alla loro verginità materna e paterna, è per tutti i popoli e per tutti i fratelli e le sorelle del mondo. In effetti in loro non si evince nessuna meraviglia altezzosa e supponente, ma solo stupore adorante del mistero di Dio incarnato, che in quegli avvenimenti vedono dispiegarsi sotto il loro occhi puri.
Epifania del 2021: i magi portano alla grotta di Gesù Bambino, a noi, al mondo, i tre doni a nome di Dio (cfr Mt 2,11). Questa volta siamo interpellati principalmente dal dono della mirra, sostanza preziosa e rara che si usava per i riti di commiato funebre sui corpi dei morti. La mirra: l’anno scorso di questi tempi non sapevamo ancora, ne abbiamo avuto esperienza abbondante in questi lunghi mesi, e ancora solo Dio lo sa, nonostante gli sforzi della scienza umana, di cui sempre dobbiamo ringraziare il Signore provvidente che permette la malattia e subito prepara il rimedio.
La mirra di tanti morti e di tanti sofferenti, molti dei quali nostri cari anziani che stanno pagando al nostro posto; la mirra di tanti medici e infermieri che offrono il loro sacrificio per curare e lenire i terribili disagi dei colpiti dal contagio; la mirra dei lavoratori che vedono crollare le speranze per il sostentamento familiare; la mirra di giovani e ragazzi che vedono sfumare amicizie, studi, progetti e futuro; la mirra della Chiesa che si vede ancor di più dibattere nelle difficoltà pastorali e di servizio ai fedeli, pur nella splendida testimonianza di abnegazione e carità verso i bisognosi che bussano alla sua porta; la mirra delle autorità civili, che, di qualsiasi colore politico, si affannano a fronteggiare la pandemia così invasiva e progressiva; la mirra del nostro cuore disorientato, preoccupato, spesso impaurito, ma ancora incapace di un sincero ritorno fiducioso all’amore di Dio, che vince sempre.
Ma ci sono anche gli altri doni, cari fratelli e sorelle. Forza e coraggio in tutta l’Arcidiocesi, in Regione e nel mondo. Non solo la mirra, ma il nostro dolore diventi incenso di preghiera e di fede verso il Signore che ha posto la sua tenda in mezzo a noi, diventi oro di offerta e di obbedienza al vero Re che ha il regno che non avrà mai fine, diventi oro di carità e di fraternità, di perdono e di servizio, diventi oro di condivisione e di solidarietà. I magi tornarono per un’altra via, c’è un’altra via per ritornare, non quella di Erode, ma quella di Cristo. Una voce si eleva da Betlemme: fratelli tutti!
Papa Francesco ha chiesto l’aiuto di S. Giuseppe per la pandemia, anche noi ci uniamo a lui in questo Natale-Epifania del Signore, verso la sua Pasqua sicura: “Salve, custode del redentore, e sposo della Vergine Maria. A te Dio affidò il suo Figlio; in te Maria ripose la sua fiducia; con te Cristo diventò uomo. O Beato Giuseppe, mostrati padre anche per noi, e guidaci nel cammino della vita. Ottienici grazia, misericordia e coraggio, e difendici da ogni male. Amen”.