Omelia 24 marzo 2024, domenica palme-passione

24-03-2024

Omelia 24 marzo 2024, domenica palme-passione

Carissimi battezzati, perché il Battesimo è il principio: “Osanna, benedetto colui che viene nel nome del Signore, benedetto il Regno che viene”. E’ Cristo che viene. Il nome del Signore è pace, salvezza, amore, perdono. Il regno di Dio che è venuto, viene e verrà non è il regno della violenza umana, della guerra, del terrorismo, dell’odio, ma è il regno di Cristo crocifisso e risorto, il regno nuovo che la Chiesa è chiamata ad inaugurare e a continuare in attesa dei cieli nuovi e della terra nuova. Agitando oggi i rami della pace, salutiamo il vero Re che si sacrifica per il suo popolo, non come i tiranni e i signori prepotenti che pensano di uccidere, invadere, sfruttare, bombardare, distruggere. Diciamolo francamente: inizia ancora una volta una Settimana Santa dei cristiani, insanguinata del sangue di Cristo nelle vittime innocenti che vengono crocifisse in ogni parte del mondo.  Ecco perché ancor di più non c’è tempo di clima festaiolo, superficiale e distratto. Il mistero pasquale di Cristo non ammette per i credenti in lui il disinteresse verso i poveri che gridano il loro dolore in ogni angolo della terra: il Signore ascolta il grido dei poveri e ne chiede conto ai prepotenti e ai distratti, anche a noi.

Nella processione delle palme abbiamo pregato con il salmo 23: “Chi salirà il monte del Signore? chi starà nel suo luogo santo? Chi ha mani innocenti e cuore puro, chi non pronunzia menzogna, chi non giura a danno del suo prossimo, … sollevate porte i vostri frontali, alzatevi porte antiche, ed entri il re della gloria”. Entri Cristo nostro Dio, la sua gloria è il suo amore invincibile, che trionfa sul peccato e sulla morte. Entri il Signore vero e santo nella nostra vita. Solleviamo i frontali delle nostre porte chiuse a Dio e al prossimo, alziamo le nostre porte antiche a causa dell’abitudine e antiquate per nostre personali convinzioni che non riflettono il Vangelo e non mostrano la testimonianza cristiana. La pace nel mondo dipende anche da noi, dalle nostre scelte quotidiane, dal nostro comportamento spesso sbagliato, dalle nostre parole fuori posto, dai nostri pensieri sconvolti e sconvolgenti.

Nella prima lettura il profeta Isaia dice che al futuro Messia il Signore ha dato una lingua perché sappia indirizzare una parola allo sfiduciato. Sì, invochiamo Gesù Cristo che ci apra il cuore alla sua parola, che vinca la nostra sfiducia che stringe in una morsa l’animo di molte persone e di molti fedeli, che solo in lui confidano. La sfiducia sembra aver preso luogo dappertutto, nelle nazioni e negli stati, nella società e nelle famiglie, perfino nella stessa Chiesa. C’è però la speranza, ossia l’ascolto, l’orecchio attento del discepolo nei confronti della parola divina, per avere la forza di non opporre resistenza alla volontà di Dio, di non tirarsi indietro di fronte al dovere umano e alla fede operosa nella carità. C’è un prezzo: il prezzo pagato da Cristo. Il suo dorso ai flagellatori, le sue guance a coloro che gli strappavano la barba, il suo volto agli insulti e agli sputi. Il prezzo pagato dal Redentore che diventa la via per i suoi discepoli, la via della croce. Dice il profeta Isaia del futuro Messia e dei suoi seguaci: Il Signore Dio li assiste, non restano svergognati, la loro faccia è resa dura e resistente agli oltraggi, sanno che non resteranno confusi.

Miei carissimi, il nostro cammino è quello di Cristo, il nostro sinodo è con lui, la nostra Settimana Santa è sulle sue orme: sappiamo di non restare confusi e delusi. Dice S. Paolo nell’odierna seconda lettura che il Figlio di Dio svuotò sé stesso diventando figlio dell’uomo e si umiliò fino alla morte di croce, ma esaltato da Dio a vita immortale, nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi e ogni lingua proclami che Gesù è il Signore, a gloria di Dio Padre. Ma vogliamo deciderci una buona volta a proclamare veramente che Gesù è il Signore della nostra vita? vogliamo piegare veramente le nostre ginocchia, spesso vacillanti, davanti alla sua signoria? Vogliamo smettere di avere il cuore egoista, di fomentare il conflitto sociale, di essere lontani dalla pratica della fede, di boicottare la giustizia e la carità verso i bisognosi di ogni genere, vicini e lontani, conosciuti e sconosciuti? Vogliamo piegare le ginocchia davanti alla maestà di Gesù Cristo, farci amare e salvare da lui e amarlo per sua grazia con tutto il nostro essere? Vogliamo deciderci a vivere con impegno il nostro battesimo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo? Vogliamo vivere la conformità a Cristo con la Confermazione della pienezza dello Spirito Santo, nella Cresima? La domenica vogliamo vivere l’Eucaristia attorno all’altare insieme ai nostri sacerdoti e padri spirituali? Vogliamo pentirci sinceramente nel sacramento della Penitenza confessando i nostri peccati e convertendoci totalmente al Cristo, abbandonando i nostri vizi e le nostre vanità? Sono le domande di un vescovo, che pone a se stesso e a voi tutti, ministri ordinati e fedeli laici. Vorrei aggiungere: il catechismo e la catechesi vogliamo svolgerle con serietà, si o no? Mi riferisco alle famiglie, quelle cattoliche in particolare, se ve ne sono rimaste: vogliono far proclamare ai loro figli, insieme ai catechisti e ai sacerdoti che Gesù è il Signore, oppure no? Una domanda.

Nell’ascolto della passione di Gesù secondo l’evangelista Marco restiamo sempre attoniti, diremmo anche sgomenti. Ma non è una favola tragica: è l’amore di Cristo per noi. Lui ci esorta, come nel Getsemani: “Restate con me, vegliate e pregate”. Dovremmo restare sempre con lui, vegliare e pregare in questo tempo di tenebre che sembrano oscurare la luce del bene e della stessa fede.

Per descrivere la situazione in cui siamo caduti noi cristiani, purtroppo la maggioranza, vorrei riprendere solo l’episodio dell’apostolo Pietro nel cortile del sommo sacerdote, mentre Gesù, che aveva rivelato di essere il Figlio di Dio Benedetto, veniva condannato a morte, sputato, bendato, percosso, schiaffeggiato. Pietro, il capo degli apostoli, la Roccia, se ne stava nel cortile vicino al fuoco, voleva seguirlo di nascosto, ma i servi e alcuni della folla lo riconoscono e gli dicono per accusarlo: “Anche tu eri con il Nazareno, con Gesù. Costui è uno di loro. È vero, è uno di loro”. Pietro impaurito, lui così coraggioso, teme servi e popolani, e diventa anche lui traditore: “Non so e non capisco che cosa dici. Non conosco quest’uomo di cui parlate”, imprecava e giurava. Sì, molti di noi, sia chi frequenta e peggio ancora chi non frequenta, siamo in questa condizione: di fronte a una mentalità atea e indifferente e un chiaro tentativo di rinnegare Cristo e di chiedere ai suoi se sono con lui e se credono in lui, molti di noi rinnegano e tradiscono. Al massimo ci fermiamo a una devozione passeggera, che sta scomparendo anche quella, ma quasi mai ad una convinzione sicura e ad una testimonianza esplicita.

Pietro si accasciò in un angolo solitario e pianse amaramente: lo aveva tradito, lo aveva abbandonato, lo aveva rinnegato, non si era affidato. Il buio entrò ancora di più nel suo cuore, si nascose ancora di più in quel buio, pianse amaramente. Aveva tradito il fuoco dell’amore di Cristo che andava a morte per tutti noi: il piccolo fuoco del cortile non lo riscaldava più, anzi il freddo di quella notte gli agghiacciò il cuore e pianse nel rimorso.

Piangiamo anche noi, fratelli e sorelle, l’abbandono della fede celebrata e vissuta, l’abbandono evidente del Cristo, nostra luce e salvezza: per andare dietro a chi? A che cosa? Al freddo, al niente.