Un cieco, un morto, il Regno
Carissimi, siamo nel vivo della Quaresima, ormai alle porte della Settimana Santa, con tutto ciò che il Signore ci permette di vivere in questo periodo doloroso per tutta l’umanità a causa della pandemia da virus. Ma c’è un altro virus, che in latino significa veleno, che dilaga fin dall’origine nei cuori umani: il peccato, che ci allontana da Dio, distrugge l’anima e separa dai fratelli. Questo virus dobbiamo combattere e non da soli. “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio”, ci ha detto papa Francesco, all’inizio del cammino quaresimale, citando l’apostolo Paolo.
Le tre tentazioni del deserto che il Diavolo propina persino a Gesù, il piacere, il potere e il possedere, sono pronte sempre per ognuno di noi: la tentazione è l’invito alla lotta, non è peccato. Peccato diventa quando noi vi rispondiamo con la curiosità, la leggerezza, il fascino, l’azione. In fondo come all’origine ci fidiamo di noi stessi e non di Dio. Il virus fisico ci sta mettendo davanti, almeno nella società opulenta, il nostro individualismo idolatrato, le nostre libertà cosiddette individuali, gelosi della nostra libertà intesa come libertinaggio. Adesso Dio ci sta facendo fare l’esperienza di cosa significa veramente l’individuo esaltato all’eccesso: un isolamento, senza dialogo e senza incontro. La clausura forzata entro le nostre mura domestiche ci sta insegnando che senza la comunione con Dio e con gli altri anche il nostro io è isolato e privato, cioè privato di tutti. Ecco perché la comunità dei cristiani si chiama Ecclesia, Chiesa, cioè comunità radunata da Dio, che è comunione del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Ci stiamo accorgendo che l’individuo potrebbe possedere anche tutto, ma senza la sua famiglia e la famiglia umana, non gli servirebbe a niente. L’adorazione del proprio io, delle proprie passioni, dei desideri più sfrenati, è un delirio di onnipotenza che non può riguardarci. Il Vangelo ci dice che il diavolo condusse Gesù su un alto monte e gli mostrò tutti i regni della terra. Gli disse, il bugiardo, che tutto questo era suo, e se Gesù si fosse prostrato a lui e lo avesse adorato, tutti i regni della terra sarebbero stati suoi. Che spudorato! Gesù aveva già tutto nella sua mano e nel suo cuore, ma non con la violenza e il dominio dell’io sugli altri, ma con l’amore della croce, con il cuore mite e umile, con la sua fedeltà al Padre. Anche noi, se non siamo vigilanti, siamo portati, quasi senza accorgercene, sul monte alto del nostro io, pensiamo di avere tutto e tutti, vediamo i regni e le persone sotto di noi, sperimentiamo la vertigine del possesso e dell’avere, quel poco o molto che sia. Solo un’illusione! A discapito dell’essere e dell’amare. Non ci accorgiamo di essere invece ciechi e morti, di non sapere o non voler sapere, che non abbiamo niente, e che come nudi siamo usciti, cosi ritorneremo.
Quest’anno le domeniche di Quaresima seguono l’antico ciclo delle letture per i catecumeni. Il cieco nato, Gesù lo incontra a Gerusalemme: è nato così. Cioè noi nasciamo così, creature amate da Dio, ma già avverse a lui, nella carne e nell’anima. Lo cerchiamo, lo vogliamo, ma poi lo tradiamo e lo rifiutiamo. E’ una grande sofferenza: “Dall’ira del giudizio, liberaci o Padre buono, non togliere ai tuoi figli il segno della tua gloria”, cantano gli inni di Quaresima. L’ira di Dio è la nostra durezza e freddezza nei suoi confronti, poiché lui, che è Amore e vuole amarci, trova ostacolo e rifiuto da parte nostra. La sua ira è l’amore non corrisposto, la sua ira è vedere le sue creature scegliere il male e il Maligno. L’avidità ci rende ciechi, ci immerge nel buio di un sepolcro, il peccato è germe di morte: solo una nuova creazione quale la redenzione operata da Cristo ci può salvare. Il gesto del Signore, con la terra impastata e spalmata sugli occhi del cieco, indica la nuova creazione. Il lavacro alla piscina di Sìloe, comandato da Gesù, indica la vita nuova con la fede donata nel battesimo. Ora il cieco lo vede e crede. Cristo è la luce del mondo che dona la fede e la salvezza.
Gesù è luce, Gesù è vita. Noi abbiamo sete, noi siamo nel buio, noi siamo esposti alla malattia e alla morte. Lazzaro, l’amico: da quattro giorni era nel sepolcro, dopo la sofferenza, la prova, la lontananza di Gesù, la preghiera delle sorelle, la morte, la sepoltura. Sembrava tutto finito: all’esperienza umana la morte è la fine, il disfacimento del corpo è la prova che l’uomo è finito, questa è la convinzione comune. Eppure l’uomo, fin dagli albori, sente in sé qualcosa di immortale, la sua anima, ma non sa come uscire dalla terra dove è ritornato. Finché un uomo di Nazareth, un amico fedele, si avvicina alla sua tomba e comanda di uscire dal buio, dal chiuso, dal freddo, dalla solitudine, dalla morte. “Lazzaro esci fuori! Il morto uscì”.
Ho letto tanti libri di scienze, filosofie e religioni: in essi nessuno ha avuto il coraggio di scrivere queste poche parole. Nei piccoli libretti dei cristiani, chiamati vangeli, c’è scritto, che la mano gentile di Cristo restituiva la vita: a un fanciullo a Nain, a una ragazza in casa del padre Giairo, a Betania all’amico discepolo, agli umili e ai semplici delle beatitudini. Ma era solo il segno che lui è la risurrezione e la vita e chi crede in lui, anche se muore, vivrà. Vivrà per sempre, oltre la morte fisica, che è solo un passaggio obbligato. Basta crederci, come le sorelle di Lazzaro.
Questo è il regno di Cristo, non come quello che il Bugiardo gli aveva mostrato dal monte della superbia e della violenza. Se per regni della terra intendiamo quelli dell’ingiustizia, della guerra, dell’odio, delle ricchezze smodate e grondanti il sangue dei poveri e degli innocenti, veramente il Diavolo è principe di questo mondo, ma per poco. Se invece intendiamo il regno di luce e di vita, il regno della croce e della risurrezione, della prova e della gloria, allora il Diavolo è sconfitto, e tutto il bene appartiene a Cristo re. Dal legno della croce regna il Signore e servire Cristo è regnare. Dall’alto di quel monte Satana voleva fare sempre il solito giochetto: la brama dell’avere. “Solo Dio devi adorare, solo a lui ti prostrerai”, gli si oppone Gesù. Anche adesso nel pieno della pandemia sembra che la preoccupazione dominante, oltre a quella giustissima della cura e del soccorso, sia quella economica, pure necessaria. Ma se riduciamo questa prova planetaria solo alla preoccupazione della salute terrena (le pietre che devono diventare pane) e al benessere economico (i regni di questa terra), non abbiamo compreso nulla di questo segnale mondiale. L’uomo vale per ciò che è, non per quello che ha. E l’uomo è persona, formato di anima e corpo, ed è qui in un pellegrinaggio verso la luce vera e la vita eterna, che è Dio che l’creato e che in Cristo l’ha redento.
Il vero possesso è il regno di quelli che seguono Gesù nel deserto con la penitenza e la conversione, è il regno di quelli che lo adorano nella sua trasfigurazione e lo ascoltano, è il regno di coloro che lasciano la brocca vuota al pozzo perché si sono dissetati di lui, è il regno di coloro che hanno accolto le sue mani sui loro occhi spenti e si sono lavati nella sua morte e risurrezione, è il regno di coloro che dall’oscurità del sepolcro, con la fede, ne sono usciti chiamati dalla sua voce divina. E’ il regno della Pasqua.
C’è quindi un regno che attende ognuno di noi, a volte nel buio ed esposti a malattia e morte fisica, un regno che ci ha conquistato Gesù a prezzo del suo sangue, un regno di cui dobbiamo essere parte già in questo cammino nell’amore di Dio e del prossimo, per esserne cittadini poi nell’eternità. C’è una città che ci attende, già abitata e pregustata in anticipo qui nella Chiesa dei battezzati con l’ascolto della Parola e il dono dei Sacramenti.
Se ancora siamo rimasti, o rimarremo, sul monte della tentazione dei regni terreni, prostrandoci al Diavolo e al peccato, noi ancora non avremo capito niente, nonostante il virus che serpeggia in questi giorni. Se invece scegliamo il monte del Golgota e il giardino della Risurrezione, anche nel tempo di una solita grave epidemia, avremo compreso tutto.
Grazie.
+Francesco