Commemorazione Serva di Dio Maria Marchetta

16-02-2017

Carissimi fratelli e sorelle, reverendissimo amministratore diocesano mons. Nicola Urgo, revdo parroco don Carmine Rotunno e cari sacerdoti concelebranti, cari amici della serva di Dio Maria Marchetta, mi sembra quasi di essere come Giovanni Battista a far da precursore alla felicissima ordinazione episcopale di Sua Eccellenza mons. Giovanni Intini, vescovo eletto di Tricarico. Lo saluto con affetto fraterno e invito questa sera a continuare la preghiera accorata per lui e per la sua missione in questa cara Diocesi e nella Chiesa di Basilicata. Nello stesso tempo saluto il mio caro vescovo Sua Eccellenza mons. Vincenzo Orofino, che per ben dodici anni ha servito questa Diocesi con gioia e dedizione. Miei carissimi, ricordiamo qui riuniti nella liturgia eucaristica la serva di Dio Maria Marchetta nella data anniversaria della sua nascita a Grassano il 16 febbraio 1939. Sono qui a presiedere per tanti motivi particolari, tra i quali il più importante è quello di aver presieduto di recente, su incarico di mons. Orofino, il tribunale per il supplemento di indagine canonica sulle virtù eroiche di Maria. Ringrazio sentitamente per l’invito: questa occasione mi è propizia per visitare la tomba della serva di Dio e fermarmi in preghiera alla SS. Trinità per la sua beatificazione e canonizzazione. Di Maria Marchetta conoscevo già la figura altamente significativa nel panorama lucano dei cristiani laici insigni e morti in concetto di santità, ma l’indagine suppletiva mi ha aperto maggiormente l’orizzonte su questa nostra sorella, su questa nostra figlia, su questa nostra amica. Le letture odierne del lezionario biblico: nella prima il libro della Genesi ci presenta la misericordia di Dio verso l’umanità, che, dopo la purificazione del diluvio, figura del battesimo, riprende il suo cammino. Dio raccomanda di rispettare la vita umana, rappresentata nell’Antico Testamento dal sangue. “Del sangue vostro, ossia della vita, io domanderò conto; ne domanderò conto ad ogni essere vivente e domanderò conto della vita dell’uomo all’uomo, ognuno di suo fratello”. Alla fine del diluvio il Signore stabilisce di nuovo l’alleanza con l’umanità, ponendo nel cielo, ormai placato, il segno dell’arcobaleno, segno di pace e di vita. Invochiamo, insieme alla nostra sorella Maria, la pace per questo mondo insanguinato dal dolore degli innocenti, vittime di guerre, fanatismi, terrorismi. Invochiamo la pace del Signore che genera la vera vita e la vera gioia. Impegniamoci a rispettare la vita umana, la vita dei sofferenti, dei piccoli, degli emarginati, come ci ha insegnato sorella Maria, dal suo letto di dolore, da cui nasceva solo il sorriso e la fiducia in Dio. Celebriamo la S. Messa per i cristiani laici: ci attendiamo ancor di più, e da loro proprio, in questo tempo di egoismo e di violenza, il dono battesimale della concordia, del perdono, della misericordia. E questo nelle famiglie, lacerate dalle separazioni, dai divorzi, perfino dalla eliminazione fisica del coniuge e dei figli; e questo nei vari ambiti della società dove il battezzato laico è chiamato a testimoniare anche con sacrificio la fede e la speranza cristiana; nel campo della accoglienza e della solidarietà cristiana dove il fedele laico è chiamato a donare tutto se stesso nel servizio agli altri, specie i poveri e i bisognosi; nella Chiesa stessa dove ogni battezzato è chiamato all’ascolto della parola di Dio e alla crescita nella grazia dei sacramenti e nella continua realizzazione della vocazione universale alla santità; nella testimonianza etica seguendo con amore i dieci comandamenti di Dio, portati a compimento dall’esempio e dalla parola di Cristo, nonché nel suo stesso santo corpo e nella sua vita. La valorizzazione dei fedeli laici nella Chiesa del Concilio Vaticano II non è stata per giocare la ribasso, ma per volare ancora più in alto nella virtù e nella fede cristiana cattolica. I cristiani laici sono chiamati, in questi tempi di crisi, a dare esempio e sostegno anche alla vocazione dei cristiani chierici, nell’ambito civile e socio-culturale, matrimoniale e familiare, nell’ambito della testimonianza della carità e dell’accoglienza. La serva di Dio ci ricorda la presenza di Cristo nei fratelli e nelle sorelle sofferenti e disagiati, ci ricorda il Giubileo della Misericordia, le opere di misericordia corporale e spirituali per amare e servire Cristo nei fratelli bisognosi. Maria in effetti non chiedeva nulla per sé, ma invitava coloro che la visitavano a pensare agli altri. Diremmo di più: Maria donava agli altri quel coraggio e quella fede per affrontare le prove della vita e alleviare quelle degli altri. Infatti non riusciva ad essere triste, come giustamente a titolato la biografia il postulatore e amico p. Michele Celiberti. Io stesso ne ho sperimentato lo sprone ad essere forte indagando sulla virtù cardinale della fortezza in questa giovane donna. Pensavo che lei avesse vissuto quei lunghi quattordici anni, con il corpo paralizzato dalla paraplegia flaccida, adagiata nel letto almeno supina: posizione questa più sopportabile fisicamente. Quando mi sono accorto che invece ha dovuto vivere quel calvario prona sul letto, cioè sempre a pancia in giù e senza mai un sollievo, potendo appena muoversi sul torace e sul collo, e sempre sorridendo: sono rimasto colpito da questo lunghissimo martirio di una posizione anatomica innaturale e irreale per una ragazza che avrebbe dovuto aprirsi alla gioventù, piena di vitalità e slancio. Ho pensato che il Signore suscita queste anime e ne offre a noi la luce per avere monito ed esempio ad amare la vita e a portarla avanti con gioia coraggiosa. Nel Vangelo odierno, secondo s. Marco, Gesù pone la domanda ai suoi apostoli: “Che dice la gente che io sia?”, riferiscono risposte inadeguate o comunque non totalmente esaurienti. Poi il Signore domanda: “Ma voi chi dite che io sia?”. Il capo degli Apostoli risponde sicuro: “Tu sei il Cristo!”. La domanda Gesù l’ha posta anche alla nostra cara Maria Marchetta, da quando adolescente comprese la sua vocazione della gioia nel dolore. Questa nostra giovane di Grassano rispose alla stessa maniera: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente! Il Cristo della mia vita che dono a te per l’unità dei tuoi discepoli”. E noi come rispondiamo? Ci affidiamo totalmente a Cristo facendone il vero re della nostra vita, in ogni circostanza, triste o lieta che sia? Nelle famiglie, nelle relazioni sociali, nell’ambiente parrocchiale, nella tribolazione? In effetti il discepolo autentico di Cristo si vede nella prova, se lo segue rinnegando se stesso e prendendo la propria croce ogni giorno, portandola dietro di lui. Gesu lo dice nel vangelo, annunciando la sua Pasqua ai discepoli: “Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto ed essere rifiutato…venire ucciso e, dopo tre giorni risuscitare”. Maria Marchetta ha abbracciato la Pasqua di Cristo, ha accolto la passione del Signore nella sua anima e nella sua carne, con quel corpo quasi sparito e invisibile, per tanti anni nascosto nella stanza camera, a pian terreno, come in un sepolcro in attesa della risurrezione: una morte e una risurrezione che si verificavano ogni giorno, e ne erano testimoni coloro che numerosi la visitavano per ricevere conforto e speranza. Spesso non vogliamo la croce, cerchiamo di evitarla, cerchiamo di scaricarla su altri: è l’atteggiamento dell’apostolo Pietro che intuendo l’esito dell’annuncio di Gesù, ha paura, si mette avanti al Signore, rimproverandolo e scongiurandolo di non pensare alla morte e alla sofferenza, ma di preparare solo la gloria e la vittoria. Gesù comanda all’apostolo di ritornare al suo posto, cioè dietro di lui, nella sequela, di non opporsi alla Pasqua del Cristo, anzi di accettarla nella sua vita, come discepolo e non come padrone. Occorre pensare secondo Dio e non secondo gli uomini. Gli uomini cercano la potenza, Dio pensa l’umiltà. La potenza umana sfocia nella ingiustizia e nell’odio, l’umiltà genera la pace e l’amore. Maria Marchetta, accogliendo la croce di Cristo nella sua giovinezza, ha pensato secondo Dio e non secondo gli uomini. Mi sovviene di quell’episodio esilarante, quando le amiche vollero esaudire il desiderio di Maria di potersi recare in chiesa per far visita a Gesù nel Sacramento. Fu una decisione avventurosa e pericolosa di quel gruppo di giovani: presero l’amica Maria di peso e, adagiatola su un tavolato a mò di barella, inerpicandosi a fatica per le scalinate, la portarono qui in chiesa, in orario pomeridiano, per non essere visti da nessuna. Maria rimase sola con il suo Signore per parecchio tempo e poi di nuovo, con quell’audace stratagemma di ragazzi forse incoscienti, la riportarono in casa sana e salva. Probabilmente, durante la sua lunga malattia, fu l’unica azzardata uscita di Maria verso la sua chiesa, frequentata da bambina. Mi fermo qui. Ammiro la cittadina di Grassano che custodisce il ricordo e la tomba di questo tesoro di ragazza cristiana. Siatene fieri, imitatela nelle virtù teologali di fede, speranza e carità. Proponetela ai ragazzi e ai giovani, ai sofferenti e ai provati della vita, alle famiglie e agli sposi, perché con la grazia di Cristo si può vivere l’ evangelii gaudium e l’ amoris laetitia anche inchiodati su un letto per quattordici anni, e sempre con il sorriso sul volto luminoso. Sorella Maria, figlia nostra, amica nostra, prega per noi. Lode a Cristo, via, verità e vita.