Carissimi fratelli e sorelle che partecipate al sacrificio eucaristico e vi nutrite, ci nutriamo, del Corpo e del Sangue di Cristo, nella Pasqua vero Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo.
Cari sacerdoti concelebranti, che con anima convertita e le mani profumate di crisma, consacrate per opera dello Spirito Santo, il pane e il vino che diventa sull’altare il Corpo e il Sangue del Salvatore, inizia il Triduo Santo, culmine del tempo quaresimale e pasquale, centro dell’anno liturgico e apice della vita spirituale di ogni fedele cattolico.
Riprendo ancora l’inno antico Vexilla regis, che, con la luce delle Scritture, mi ispira in questa Settimana Santa. “Salve ara, salve victima, de passionis gloria, qua vita morte pertulit et morte vita reddidit”.Ti salutiamo o altare della croce, ti salutiamo o Cristo vittima, gloriosa è la tua passione, con cui la vita porta la morte e la morte rende la vita.
Sì, è proprio così.
Dal libro dell’Esodo abbiamo appreso che fu la morte dell’agnello senza difetto che portò la vita di salvezza al popolo di Israele nel momento del passaggio dell’angelo sterminatore per il popolo egizio. Immolato al tramonto, viene mangiato in sacrificio di comunione dalle famiglie, con a capo il padre di famiglia, e con il suo sangue vengono segnate le porte delle case del popolo di Dio per essere salvato. E lo sterminio “passò oltre”, in ebraico pesah, pasqua. E i segnati dal sangue sugli stipiti e i comunicati a quella carne, passata al fuoco, ebbero salva la vita. Dio comandò questo come rito perenne, di generazione in generazione, che sarà celebrato al tempio, la dimora della gloria.
Sappiamo che il popolo eletto ebbe più volte la distruzione del tempio e più volte il sacrifico dell’agnello pasquale fu interrotto, e nelle varie persecuzioni e dolorosi esili fu senza tempio, ebbe solo la riunione del sabato e venerazione della Legge di Mosè, in attesa di ripristinare il tempio e i sacrifici di pasqua esodale. Ma tutto ciò era solo una preparazione per un altro Agnello vero e definitivo, Gesù Cristo, senza difetto e senza macchia, il Figlio di Dio, che nella sua carne, ossia il vero tempio, realizzerà il sacrificio perenne, la Pasqua eterna, offrendo sulla croce il suo corpo e il suo sangue, annunciato già nella Cena dell’ultima sera.
Nella lettura odierna della prima lettera ai Corinzi, S. Paolo afferma che lui stesso ha ricevuto dal Signore il nuovo rito perenne dell’Eucaristia che trasmette alla comunità: nella notte del tradimento Gesù spezzò il pane azzimo e disse “Questo è il mio Corpo, fate questo in memoria di me”, e nella cena prese il calice del vino e disse: ” Questo calice è la nuova alleanza nel mio Sangue, bevendolo, fate questo in memoria di me”. La parola biblica “memoria” non si riferisce ad una commemorazione simbolica, ma invece a un ri-accadimento sacramentale che ti riporta, ti fa rivivere, ti coinvolge di nuovo, all’evento fondante.
Infatti l’apostolo nel brano della lettera ai primi cristiani che celebravano l’eucaristia, la Messa per intenderci, dice con chiarezza: “Ogni volta che mangiate questo pane e bevete a questo calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga“. Come acclamiamo anche ora nella liturgia, dopo l’invito del sacerdote alla adorazione del mysterium fidei, mistero della fede.
Ecco perché nei luoghi giubilari di confessione dei peccati, di misericordia e di indulgenza, in questo Anno Santo, vi è posto in vista immediata il Crocifisso: perché in quella morte atroce si comprende la potenza di amore di Dio in Cristo, venuto per affrontare e vivere quell’Ora prefissata, punto di arrivo dell’esodo antico e delle parole profetiche, della storia del popolo di Israele.
Le braccia di Cristo, appeso sul legno, si apriranno a tutti i popoli per ce1ebrare da battezzati il rito perenne della nuova alleanza della Pasqua del crocifisso risorto. Ecco perché in questa Settimana Santa ci attira e mi attira l’effige del Crocifisso, in particolare anche l’effige all’abside della cattedrale, in questa espressione drammatica di forti grida e lacrime, mentre perdona e grida: “Padre perdonali perché non sanno quello che fanno”. Ho la sensazione che anche noi tante volte celebrando l’eucaristia tra distrazione e abitudine, pretese e equivoci, non sappiamo quello che facciamo, procurando al Signore ancora ferite sanguinanti. Chiediamo perdono, chiediamo più luce per comprendere la forza di amore del Cenacolo, del Golgota, della tomba vuota, del corpo del Risorto, della nostra testimonianza eucaristica a servizio dei fratelli e delle sorelle che incontriamo ogni giorno per le vie del mondo.
“Fate questo in memoria di me”. Se facciamo la memoria della sua morte e risurrezione nell’eucaristia, celebrata nella comunità radunata con la insostituibile presidenza del sacerdote ministro ordinato, una volta celebrata e mangiata la pasqua del corpo e bevuto il sangue, nella vita quotidiana deve diventare memoria effettiva nell’azione e nel comportamento, nelle scelte e nelle convinzioni, essere eucaristia per gli altri, “Fate questo in memoria di me”. Mi domando e domando, specie a noi che frequentiamo ogni giorno o almeno alla domenica la pasqua eucaristica, ne siamo poi testimoni autentici? Si vede, si percepisce? C’è una vita diversa in noi, una rivoluzione che colpisce chi ci incontra, non ovviamente nella ostentazione, ma nella semplice provocazione che incontrano qualcuno che ha incontrato Gesù Cristo. Una trasparenza che, senza parlare, promana dal corpo e dal sangue del discepolo ormai trasfigurato nel Corpo e nel Sangue del Signore, nelle prove e nelle gioie, in attesa che egli venga.
Gesù spiegò ai discepoli, in quella sera, il senso profondo di quel pane offerto e di quel vino versato, lavando i loro piedi, servizio dello schiavo verso il padrone: lo riporta il vangelo di Giovanni che abbiamo proclamato, come già Gesù aveva annunciato nei discorsi di Cafarnao sul pane disceso dal cielo, che bisognava mangiare la sua carne e bere il suo sangue per avere in noi la vita. Piegandosi davanti agli apostoli, Gesù è corpo spezzato e sangue versato, si fa servo verso tutti noi nutrendoci e lavandoci nel battesimo e nell’eucaristia. “Quello che ho fatto io fate anche voi, fate questo in memoria di me“.
Lava i piedi agli apostoli, offre pane e vino, li fa sacerdoti della nuova alleanza nel suo sangue, li porta a pregare nel Getsemani, anche se stanchi entristi, si fa baciare da Giuda, si awia verso la croce come agnello mite e muto verso il macello, consegna il suo corpo deposto alla madre Maria, al terzo giorno ribalta la pietra del sepolcro e alita il suo Spirito. “Fate questo in memoria di me e alla Messa e alla vita per essere veri cristiani.
E solo Amore, Amore infinito. Afferma papa Francesco nella recente enciclica Dilexit nos: “Questa è anche la tua missione. Ognuno la compie a modo suo, e tu vedrai come potrai essere missionario, missionaria. Gesù lo merita. Se ne avrai il coraggio, Lui ti illuminerà. Ti accompagnerà e ti rafforzerà, e vivrai un’esperienza preziosa che ti farà molto bene. Non importa se riuscirai a vedere i risultati, questo lascialo al Signore che lavora nel segreto dei cuori, ma non smettere di vivere la gioia di cercare di comunicare l’amore di Cristo agli altri” (DN 216).
Mons. Francesco Sirufo