Seminario interregionale Campano

03-11-2016

Omelia, Seminario Interregionale Campano, Napoli, 3 nov. 2016

Eminenza Rev.ma Signor Cardinale Paolo Romeo, arcivescovo emerito di Palermo, già Nunzio apostolico per l’Italia, cari fratelli seminaristi, carissimo rettore padre Francesco Beneduce, amico ritrovato dopo tanto tempo, saluto inoltre con stima gli animatori sacerdoti, i miei cari maestri gesuiti di una volta, i professori e superiori, offro suffragi per coloro che sono passati all’eternità. Un saluto all’attuale Preside della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale prof. padre Domenico Marafioti. Un saluto all’arcivescovo di Napoli cardinale Crescenzio Sepe e ai suoi vescovi ausiliari, ho informato la segreteria del Cardinale circa la presidenza eucaristica stasera qui con voi. Un pensiero fraterno ai cari sacerdoti concelebranti.

Un sentimento commosso di gratitudine e di gioia esprime il mio cuore. Ho accettato subito di essere con voi, non solo per l’onore che nella vostra bontà volete offrirmi in quanto ex alunno del Seminario Interregionale Campano, ma anche per un debito gioioso di gratitudine e di affetto immutato per la Compagnia di Gesù, che mi ha insegnato a pregare e amare, a coniugare sempre fides et ratio, scienza e fede, le due ali per volare verso la Verità.

Arrivai nell’autunno 1979 sul colle di Posillipo, con la solita valigia rigonfia e pesante: quel tutto sufficiente per l’anno e le stagioni, nel clima mite del suggestivo paesaggio del golfo di Napoli. Iniziai il cammino del quinquennio filosofico-teologico, che mi condusse al diaconato e al presbiterato: grazie, padri gesuiti e sacerdoti diocesani, per quel pellegrinaggio di misericordia che abbiamo percorso insieme, padre Enrico Cattaneo, padre Antonio Barruffo, grazie. Il Signore vi colmi di benedizione, per intercessione dell’amato fondatore S. Ignazio di Lojola. Siamo qui però non per me, o per motivi di preziosi ricordi, ma per ascoltare il Maestro e incontrarlo nell’Eucaristia e toccare le sue ferite e dirgli ancora “Mio Signore e mio Dio”.

Stasera ci suggerisce lo Spirito Santo tramite la lettera paolina ai Filippesi: “I veri circoncisi siamo noi, che celebriamo il culto mossi dallo Spirito di Dio, e ci vantiamo in Cristo Gesù senza porre fiducia nella carne”. Bellissimo! Siamo battezzati e crismati in Cristo morto e risorto, nel dono della fede, della speranza e della carità, non abbiamo bisogno di segni nella carne, perché siamo segnati dalla carne ferita di Cristo, dalla sua passione d’amore, dalla sua croce di salvezza: l’importante è essere nuove creature in Cristo. E’ il senso autentico di questa celebrazione eucaristica comunitaria del Seminario, siamo nuovi, siamo veri, siamo santi, perché Cristo è la novità, la verità, la pienezza della santità e della divinità. Celebriamo un culto mossi dallo Spirito di Dio: l’offerta della nostra vita ed esistenza, il sacrificio della nostra volontà e dei nostri progetti, il dono della giovinezza e dei nostri ideali, il presente e il futuro, la vocazione e l’impegno per custodirla e arricchirla sempre di più con l’ora et labora, lo studio, la cultura, l’ascolto, l’obbedienza, la gioia, il dolore.

Mossi dallo Spirito di Dio, celebriamo la loghikè latrèia, il culto spirituale, l’offerta di noi stessi nel Logos divino, in Cristo Verbo del Padre tramite lo Spirito Paraclito. Mossi, cioè spinti, sospinti, condotti, a volte anche trascinati, perché spesso c’è qualcosa in noi di pigro, indolente, accidioso, resistente, fuggiasco, di fronte all’amore di Dio, alla sua luce, alla sua pace. C’è, a volte, qualcosa di buio dentro di noi che ostacola l’avanzare della luce, ci vuole lo Spirito divino per diradare le tenebre: “Io sono la luce del mondo, chi segue me non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12). Preghiamo stasera perché ci sia donato quel vanto di cui parla san Paolo, il vanto nella forza e nella grazia di Cristo, la totale fiducia in lui: chi perde la vita a causa sua la guadagna per la vita eterna. “Senza porre la fiducia nella carne”, afferma l’Apostolo. Senza pensare di farcela da soli, con la nostra umanità e la sua capacità. Si, è vero, abbiamo tanti carismi, tante possibilità, tante potenzialità, ma da soli non servono a niente: potrebbe essere solo superbia. Siamo segnati anche dalla fragilità che ci portiamo dal primo peccato. Come possiamo pensare che la carne e tutta la sua apparente potenza possa salvarci? Nella nostra vocazione comprendiamo man mano che dobbiamo ridimensionare la fiducia nella nostra carne, per acquisire sempre di più la mozione dello Spirito e la fiducia nella Carne di Cristo.

Ci si chiede di abbandonarci a Cristo casto, povero e obbediente, di non affidarci esclusivamente alla nostra corporeità, affettività, ma di consacrare la corporeità e l’affettività in un dono più grande, “offrite i vostri corpi in sacrificio spirituale santo e gradito a Dio”, ecco il celibato e la consacrazione per il Regno, perché possiamo vivere una sponsalità più grande e più generosa. Di non affidarci totalmente alla ricchezza mondana, ai soldi e alle sostanze terrene, per vivere poveri e liberi, per essere disponibili per tutti, ricchi di Cristo a servizio di tutti. Di non affidarci ai padroni e al Principe di questo mondo, di non inginocchiarci di fronte agli idoli che ogni giorno vengono eretti su ogni altura, ma di amare solo Cristo, perché servire Cristo è regnare, governando nell’obbedienza alla sua parola noi stessi e offrendo misericordia e carità a tutti.

Mormoravano dicendo: “Costui accoglie i peccatori e mangia con loro”; proprio questo ci ha convinto, il Volto di misericordia ha accolto noi peccatori, perché tali eravamo, e si è fermato a casa nostra, a mangiare con noi, a fare eucaristia con noi, a guarirci le ferite dell’anima e del corpo, a fare giubileo della misericordia con noi. Questo ci ha affascinato. Ci ha detto: “Questo è il mio Corpo, questo è il mio Sangue per voi”, per te. Allora noi ci siamo sentiti come una pecorella testarda e capricciosa che, allontanatasi dal gregge, e colta dal tramonto e dal buio, non ha saputo ritrovare la strada del ritorno, impigliata tra spine e cespugli sull’orlo di precipizi e preda di lupi. Finalmente, nel terrore della notte, è apparso lui, che piangente e gemente, ci cercava dappertutto. Noi non sapevamo che dire, se non piangendo pure noi di pentimento e di gioia insieme. La mano forte e sicura del buon Pastore ci ha liberato dalla morsa delle spine e dalle grinfie dei lupi, ci ha caricato ben fermi sulle sue spalle e ci ha condotto al caldo dell’ovile. Questa è la nostra vocazione. Ci siamo sentiti come una monetina insignificante, smarrita e bloccata nelle fessure profonde di un pavimento. La padrona non ha voluto rinunciare a questo piccolo centesimo di rame che siamo noi, e si è messa a sbirciare ovunque nella casa, a spazzare in ogni angolo, a guardare, con la luce fioca della lampada ,nell’oscurità per ritrovare questa piccola monetina della mia anima. Finché non la vede, tutta sola e insignificante tra la polvere di una fessura, la raccoglie con stupore e soddisfazione per riporla nello scrigno insieme alle monete d’oro. Questa è la vocazione, la missione, il ministero, il sacerdozio. E’ gioia, è festa dice Gesù nel vangelo odierno, il pastore delle cento pecore, il padrone di tutte le monete: “ Rallegratevi con me perché ho trovato questo giovane per mandarlo fino agli estremi confine della terra, nella mia Chiesa e per la mia Chiesa, per i miei poveri e con i miei poveri”.

Cari fratelli giovani dell’indimenticabile Seminario di Posillipo, il grano già biondeggia, la messe è molta, il secolo è impegnativo, voi siete gli operai evangelici del secolo ventunesimo, arriverete a lambire il secolo venturo, preparatevi bene. Non sappiamo con sicurezza ciò che vi attende, una cosa è certa: il Pastore vi dice, ci dice: “ Io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dei secoli”. Pregate per me. Grazie.