Omelia V domenica di Quaresima 2020, teletrasmessa da TRM.

29-03-2020

Omelia. V domenica di Quaresima 2020, teletrasmessa da TRM.

Carissimi fratelli e sorelle, cari telespettatori della cittadina e dell’arcidiocesi di Acerenza, della Basilicata, della Puglia e delle Regioni limitrofe che seguono le trasmissioni dell’ottima Tele Radio Mezzogiorno, che ringrazio per questa possibilità che permette di raggiungere molti fedeli con la S. Messa, in questo periodo difficile e doloroso per le nostre comunità e per l’intera Nazione, a causa dell’epidemia in corso. Concelebrano con me il vicario generale e parroco della cattedrale mons. Domenico Baccelliere, il vicario giudiziale e presidente del capitolo cattedrale mons. Antonio Cardillo, il direttore dell’Ufficio diocesano per le comunicazioni sociali Don Domenico Beneventi. Il servizio è svolto dal diacono prof. Antonio Di Bari. All’organo e al canto liturgico il collaboratore parrocchiale Francesco Salandra. Operatore TRM Canio Scattone. Li ringrazio.

Domenica V di Quaresima. Noi cristiani stiamo seguendo questo cammino austero di preghiera, penitenza e carità in preparazione alla Pasqua del Signore. Un cammino che quest’anno è diventato ancora più coinvolgente e, potremmo dire, drammatico. L’inno specifico di questo tempo liturgico riporta un passo particolare: “Accogli, o Dio pietoso, le preghiere e le lacrime che il tuo popolo effonde in questo tempo santo”. Sì, ci sono tante lacrime sui nostri volti, ma sulle nostre labbra ci devono essere tante preghiere. È Quaresima, tempo santo. Tempo di Dio, che, negli avvenimenti lieti e tristi della vita, ci parla e ci comunica la sua volontà, sempre improntata all’amore e alla sua provvidenza che governa il mondo intero verso il bene e la salvezza. “Questa è la forza di Dio: volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte. Egli porta il sereno nelle nostre tempeste, perché con Dio la vita non muore mai”, ci ha detto Papa Francesco venerdì scorso nella meditazione in piazza S. Pietro, non vuota, ma piena della presenza reale di Gesù Eucaristico.

In questa antica e solenne cattedrale di Acerenza risuona la parola di Dio prevista per questa domenica, ciclo A del lezionario liturgico. Sono le antiche letture che preparavano i catecumeni al battesimo che avrebbero ricevuto durante la veglia pasquale: Cristo acqua viva al pozzo di Sicar, Cristo luce vera per il cieco nato, oggi Cristo vita e risurrezione per l’amico Lazzaro. Ma commentiamo seppur brevemente le letture odierne: non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. Infatti, se per le restrizioni a ricevere l’Eucaristia siamo impediti ad accedere alla comunione nelle celebrazioni comunitarie, la parola del Signore invece può viaggiare sulle onde dell’etere e raggiungere ancor di più un gran numero di persone, che almeno alla sua luce possano essere illuminati.

Nella prima lettura di questa Domenica risuona la voce del profeta Ezechiele. In un momento di dolore, sconforto, esilio, isolamento, persecuzione del popolo di Israele, il profeta annuncia la salvezza operata da Dio. Aprirà i loro sepolcri e usciranno dalle tombe, farà entrare in loro il suo spirito e rivivranno, per ritornare e riposare nella loro terra: “Io sono il Signore, l’ho detto e lo farò” (Ez 37,14), pronuncia solennemente il Dio della liberazione. In effetti ben presto il popolo esiliato e privato della libertà poté ritornare alla patria e alla vita consueta, ricostruire il tempio e riprendere il culto gradito a Dio unico e vero. Ma la profezia antica preparava un’altra liberazione e un altro ritorno alla terra vera, alla dimora eterna: ciò che era solo ritenuta parola di verità collettiva e per la vita terrena, doveva diventare una parola potente che apriva la porta del cielo.

Nel Vangelo infatti abbiamo l’episodio famoso della malattia di Lazzaro e della sua morte. Le sorelle mandano in fretta un messaggio a Gesù per rientrare dalla Galilea a Betania, per stare accanto all’amico gravemente ammalato e guarirlo. Gesù attende la morte dell’amico e poi parte con i suoi discepoli. Betania è poco distante da Gerusalemme, Gesù sa che quel viaggio di ritorno in Giudea sarà l’ultimo della sua vita terrena, da Gerusalemme partirà l’ordine di cattura e la sua condanna a morte. Per questo afferma che la malattia e la morte dell’amico sarà per la gloria di Dio.

Commoventi e importanti per noi le preghiere di Marta e Maria, sorelle di Lazzaro ormai morto: “Signore se tu fossi stato qui!… Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà” (Gv 11,21-22). E anche la preghiera sincera di questi giorni nel cuore di molti: “Signore vieni, coloro che tu ami sono ammalati!” (cfr Gv 11,3). Lo sguardo di Cristo si posa su di noi, su quanti in Italia e nel mondo sono colpiti dall’epidemia e da tante altre sofferenze, antiche e nuove, sia per il corpo che per lo spirito. “Tuo fratello risorgerà” (Gv 11,23), assicura Gesù a Marta. “So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno” (Gv 11,24), risponde la discepola. Gesù invece rivela: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?” (Gv 11,25-26). Gesù vuole dire: “Adesso! Perché ci sono io”.

Una domanda cruciale che Gesù Cristo pone a tutti e sempre, a noi suoi discepoli in particolare. Credi tu che anche in questa epidemia io sono la risurrezione e la vita? Di fronte ai morti per il contagio, ai ricoverati, ai medici, gli infermieri, ai sacerdoti, agli assistenti dei malati e degli anziani, che stanno sacrificando la loro salute e la loro vita, credi tu che io sono la risurrezione? Di fronte alle scelte difficili dei governanti, al crollo dell’economia e l’aumento delle povertà e dei disagi delle famiglie, credi tu che io sono la vita vera e piena? Noi siamo chiamati a rispondere a Gesù come le sorelle di Betania: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo” (Gv 11,27). Colui che viene e resta nel mondo, viene per la croce e resta nel mondo da risorto, cioè da vivente e sorgente di vita.

Gesù non è il Dio distaccato e impassibile come nelle religioni e nei miti dei popoli, quasi che scendendo in mezzo a noi possa turbarsi la sua felicità lontana. Il Figlio di Dio, recandosi al sepolcro dell’amico, si commuove, piange, piange per noi, come farà sulla croce con forti grida e lacrime: la sofferenza umana, la malattia e la morte dell’uomo, conseguenza tragica del peccato originale e di ogni peccato, commuovono il Signore che ci ama e vuole la nostra vita piena e per sempre.

Continuiamo ad ascoltare il messaggio evangelico. Tutti vanno con lui alla tomba di Lazzaro, pensano solo che sia una visita di conforto e di condoglianza. No, Gesù è Dio che dà la vita e fa uscire dai sepolcri, come nell’antica profezia di Ezechiele, ma non solo in modo morale, sociale ed esistenziale, egli dona la vita vera ed eterna a tutto l’uomo, anima e corpo. Era proibito aprire le tombe, lui Figlio di Dio lo comanda; non si potevano toccare i cadaveri in putrefazione, lui Figlio di Dio comanda di togliere il masso dall’entrata del sepolcro e al morto comanda di uscire fuori. Avviene. Accade. “Io sono il Signore, l’ho detto e lo farò!”. Tutti sono attoniti: da Adamo ed Eva non si era mai visto un morto che riacquistasse la vita. “Io son la risurrezione e la vita”, Gesù l’ha detto e l’ha fatto! Lazzaro viene restituito alla sua famiglia, agli amici, alla comunità di Gesù. Certo, dopo alcuni anni morirà ancora fisicamente, ma che importa più!  Marta, Maria e Lazzaro di Betania, i discepoli di Gesù, tutta quella folla che porterà la notizia a Gerusalemme, tutti sanno che ormai la morte è vinta da Gesù di Nazareth. Se lo ricorderanno, nonostante lo scandalo della croce e gli avversari che diranno “ha salvato gli altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio!” (Lc 23,35), si ricorderanno che a Betania ci fu il segno e dopo tre giorni a Gerusalemme la realtà: Gesù risorge ed esce dalla tomba per la potenza del Padre, ma per non morire più e donare a chi crede in lui la stessa vita eterna, oltre la morte fisica.

Cari fratelli e sorelle, lo riporta in questa domenica l’apostolo Paolo nella lettera ai cristiani di Roma: chi si lascia dominare dal proprio io, cioè nel rifiuto di Dio e del suo Figlio morto e risorto, non piace e non appartiene a Dio. Con il battesimo, innestato in Cristo morto e risorto, in lui vita e risurrezione, il cristiano è sotto la signoria dello Spirito Santo che lo abita. Cristo vivo è nella vita dei battezzati, dei veri credenti in lui, che quindi non temono la morte fisica, poiché se lo Spirito di Dio abita in loro, come Dio ha risuscitato Gesù dai morti, così risusciterà anche i loro corpi mortali. Cristo vita e risurrezione guidi con la sua mano potente i tantissimi tra scienziati, medici e operatori sanitari, professionisti e lavoratori per i servizi essenziali e di sicurezza, sacerdoti e suore che con ogni mezzo plausibile si rendono vicino ai fedeli, famiglie che si stringono con affetto ai propri cari, milioni di credenti che invocano la misericordia del Padre sia per questa vita, che per vita del mondo che verrà.

Cari fratelli e sorelle telespettatori, preghiamo insieme a papa Francesco, alla Chiesa che è in Italia e nelle nostre diocesi e regioni del Sud. Dalla cattedrale di Acerenza, dove si venera la memoria dei martiri Canio vescovo e Mariano e Laviero diaconi, da questa basilica mariana della Madonna Assunta, vi giunga la parola di coraggio e di fede: la Quaresima sfocia nella Pasqua e nella Pentecoste, il Venerdì santo prepara e si illumina dell’alba della risurrezione di Gesù.