OMELIA SOLENNITÀ ASCENSIONE

24-05-2020

Omelia, 24 maggio 2020, Ascensione

Carissimi fratelli e sorelle, cari sacerdoti e canonici del capitolo cattedrale, ritrovati con gioia alle celebrazioni comunitarie dopo le dolorose restrizioni liturgiche a causa dell’epidemia che ci ha colpito duramente, restrizioni che con attenzione dobbiamo seguire ancora, seppur mitigate. Cristo risorto, asceso al cielo, cioè alla destra del Padre, ci conceda grazia per la salvezza dell’anima e la sanità del corpo. Cristo risorto e glorioso accolga nel suo regno i nostri fratelli defunti a causa del morbo, coloro che dei nostri defunti, per le limitazioni precauzionali, non hanno potuto ricevere ancora il suffragio della S. Messa, le famiglie prostrate nella sofferenza del commiato dai propri cari senza poter manifestare adeguatamente gli affetti e tutte le preghiere liturgiche che la Santa Chiesa offre con commozione nelle esequie rituali.

  1. Luca, discepolo dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, nel brano degli Atti, ci assicura ancora una volta il kérigma fondamentale della nostra fede: “Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio” (Atti 1,3). C’è all’origine questa certezza: Cristo crocifisso, morto e sepolto, è risuscitato e ha affidato ai testimoni, agli Apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo, l’annuncio di questa gioia. Quegli Apostoli che, dopo l’Ascensione di Cristo, a Pentecoste saranno battezzati nello Spirito Santo, che scenderà su di loro e riceveranno la sua forza per essere testimoni fino agli estremi confini della terra. In questa domenica solenne, in cui la Chiesa che è in Italia festeggia Cristo asceso al cielo, come non pensare, alla vigilia della sua festa, al nostro caro patrono S. Canio. Il dono dello Spirito Santo, frutto della passione e risurrezione del Figlio di Dio, continua nella Chiesa nei secoli dei secoli. Il cristiano di Julia Cartago nell’Africa romana, diventato vescovo di quella città, guidato dallo Spirito di verità e di carità, testimoniò la risurrezione di Gesù con l’annuncio della parola di Dio e la celebrazione dei Sacramenti, nella carità verso il prossimo, senza temere la persecuzione dell’imperatore Diocleziano, particolarmente feroce proprio nella vicina e florida Africa. S. Canio è un “teofilo”, come S. Luca chiama ogni cristiano nel Prologo degli Atti degli Apostoli, un “amante di Dio”, quel Dio amore rivelato da Gesù, quel Dio SS. Trinità che tutti, in qualità di teofili, dobbiamo cercare, servire, adorare, amare.

Mentre Gesù era elevato al cielo e assunto nella nube divina, gli Apostoli e i discepoli ebbero il messaggio degli angeli che li invitava alla missione e all’attesa della sua venuta: “Gesù verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo” (Atti 1,11). Certo, siamo in attesa fervida della Parusia del Signore, della sua venuta nella gloria per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine. Eppure sappiamo che questa venuta definitiva del Cristo si prepara e si realizza già misteriosamente, ma anche distintamente, nel tempo della Chiesa: Lui è venuto, viene e verrà. L’incarnazione, la sua presenza e la sua glorificazione continua nella sua Chiesa fino al giorno del compimento: c’è la sua Parola, ci sono i suoi Sacramenti, i suoi comandamenti, la sua grazia, con la potenza del suo Santo Spirito. Era questa fede che dava coraggio e audacia ai martiri, avevano l’esperienza viva della potenza di Cristo risorto vivendo nello Spirito Santo e nella Chiesa, vivendo nello Spirito e nella Sposa, come ci suggerisce il libro dell’Apocalisse in quella struggente invocazione finale. Lo Spirito e la Sposa dicono: “Vieni, Signore Gesù” (cfr Apoc 22,17.20). Perseguitato e torturato a Cartagine, condannato a morte, S. Canio viene costretto con altri cristiani ad allontanarsi dalla patria e spinto in mare su di un naviglio sconnesso per trovare la morte per annegamento. Ma questo non accade, la potenza divina gli fa attraversare il Mediterraneo e il santo vescovo con gli altri compagni cristiani approda sulle coste della Campania, si stabilisce in quella regione, ad Atella e lì continua la sua vita di fede, speranza e carità, nella missione di vescovo e di anacoreta. I martiri non erano eroi solitari, erano membri della Chiesa viva e attiva, pronti a versare anche il sangue per la gloria di Cristo: sapevano che era risorto, che era vivo e che, ascendendo al cielo, aveva preparato un posto per loro.

Ci dice S. Paolo, nel brano della lettera agli Efesini che abbiamo proclamato, nei riguardi di Cristo, che il Padre “tutto ha messo sotto i suoi piedi e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose: essa è il corpo di lui, la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose” (Ef 1,22-23). I santi martiri, chierici o laici, sapevano bene di far parte di questo corpo di Cristo vittorioso che è la Chiesa. Sappiamo che i pagani e i prefetti quando assistevano al martirio dei cristiani erano stupiti e attoniti di fronte alla loro costanza fra i tormenti e la morte più crudele, li vedevano uniti, in comunione: mentre alcuni venivano suppliziati, altri pregavano per loro e con loro, conservavano il loro sangue e i resti dei loro corpi con grande venerazione. I cristiani erano forti di una forza sconosciuta ai loro persecutori, avevano, come dice S. Paolo, dal Dio del Signore Gesù Cristo, dal Padre della gloria, lo spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui, avevano gli occhi del cuore illuminati da Dio per comprendere a quale speranza li aveva chiamati, quale tesoro di gloria racchiudeva la sua eredita fra i santi, quale straordinaria grandezza della sua potenza verso di loro credenti secondo l’efficacia della sua forza e del suo vigore. Sono parole della S. Scrittura: questa è l’esperienza concreta di S. Canio, nostro celeste protettore. Non si può comprendere la vita dei santi e dei martiri se non alla luce della parola di Dio e secondo la grazia donata nei Sacramenti, se non a partire dalla considerazione che si sentivano membri del corpo di Cristo, cioè la Chiesa e in essa, da battezzati e cresimati, prendevano forza dal cibo di vita eterna, il Corpo eucaristico del Signore.

Come si apprende dalla Scrittura, Gesù Risorto invita i discepoli a ritornare in Galilea per restare con lui quaranta giorni. Comprendiamo il significato profondo di questo numero quaranta alla luce della rivelazione biblica: un tempo completo e un tempo compiuto. Poi devono partire per dire a tutto il mondo che hanno toccato al Vita, perché la Vita si è fatta visibile (cfr 1 Gv 1,1-2). Afferma il vangelo di Matteo che abbiamo ascoltato: lo videro e si prostrarono, lì sul monte indicato da lui.  L’episodio ci fa ricordare l’incontro di Mosè con Dio sul monte Sinai, alla presenza del Dio unico salvatore, alla presenza di “Colui che è”, davanti al quale ci si toglie i calzari e ci si prostra in adorazione. C’è anche il dubbio, l’esitazione, l’incomprensione di fronte a tanta gloria e imperscrutabile mistero: sul nuovo monte il Dio del Sinai è Gesù di Nazareth, vivente per sempre dopo la morte. Sono bloccati dal limite umano: Gesù si avvicina. L’iniziativa è sempre di Dio. Il Risorto si presenta nella sua realtà umana e divina, ha il potere in cielo e in terra: il Padre lo ha fatto Signore. “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli,” è il suo potere di inviato del Padre e di annunciatore del vangelo del Regno, che viene conferito alla Chiesa, “battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”, è il suo poter di santificatore e redentore che viene conferito alla Chiesa, “insegnando loro ad osservare tutto ciò che io vi ho comandato”, è il suo potere di re del mondo obbediente al Padre che viene conferito alla Chiesa. Sono i tre poteri di insegnare, santificare e di guidare che Cristo, ascendendo al cielo, Lui il buon Pastore, consegna alla sua Chiesa, il suo gregge. Alla resistenza dei discepoli di fronte a questa missione immane, rincuora la parola del Risorto che dona lo Spirito: “Ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (cfr Mt 28,16-20).

Cari fratelli e sorelle, il nostro S. Canio, annunciò la parola di Dio, celebrò i Sacramenti nella liturgia e resse e guidò la Chiesa, sapendo che ciò non era per le sue capacità, ma perché Gesù risorto è con noi sempre, tramite il dono del Paraclito, lo Spirito consolatore. Per questo testimoniò in Africa, in Campania e poi, tramite anche le sue prodigiose reliquie, cioè i resti mortali del suo corpo e il bastone pastorale, anche nella Lucania, nella sua Acerenza e Arcidiocesi che lo elesse suo patrono. Siamo commossi che per la prima volta in questi secoli possiamo vedere e venerare un frammento del suo sacro corpo. Lo sappiamo, durante la traslazione da Atella, oggi Sant’Arpino, alla volta di Acerenza, nel 799, Calitri non fece procedere il passaggio del sacro deposito senza trattenerne un frammento osseo, e mentre, per i tempi calamitosi e violenti qui in Acerenza il corpo del vescovo martire fu sepolto e nascosto, tanto che ancora oggi non siamo in grado di conoscerne il luogo, a Calitri invece hanno conservato l’unica reliquia esterna alla sepoltura, di cui noi abbiamo notizia. Per interessamento del nostro parroco don Domenico, e su mio devoto desiderio, su autorizzazione del caro amico e vescovo di S. Angelo dei Lombardi mons. Pasquale Cascio e impegno del parroco di Calitri, abbiamo almeno questa grazia di venerare, seppure per il solo giorno vigilare della sua festa, questa reliquia preziosa del vescovo Canio, martire di Cristo. Un segno eloquente di protezione, di consolazione, di intercessione del Santo presso il Cristo risorto asceso al cielo, in questo tempo di grave difficoltà per le persone, specie i sofferenti e i poveri, le famiglie, la Chiesa, la Regione, la Nazione, la società, il mondo. Dopo la celebrazione, con le cautele concordate con le autorità civili e di sicurezza, porteremo in breve peregrinatio la venerata statua del nostro patrono e la preziosa reliquia per la nostra cittadina e in mezzo alle nostre famiglie, perché in questo tempo di tristezza e di silenzio, risuoni il messaggio di fede e di speranza: Gesù è risorto, è asceso al cielo. Alleluia. Vieni Spirito Santo e rinnova la faccia della terra. Alleluia.

E ora il nostro sguardo si rivolge alla Santa Vergine Maria a cui questo mese di maggio è da tempo dedicato, a lei Regina dei martiri e dei confessori della fede, a lei Madre della Chiesa e Ausiliatrice dei cristiani, a lei Regina del S. Rosario, a lei Benedetta fra tutte le donne, perché ci doni sempre il frutto del suo seno, Gesù. O Madre Maria, salute degli infermi, o S. Canio nostro patrono, voi tutti Santi taumaturghi e medici, implorate dal Signore Dio clemenza e misericordia per questa nostra umanità fragile e sempre esposta a mille insidie, peccati e malattie: senza di lui non possiamo far nulla. Chiedete a Dio per noi aumento di fede. Diteci ancora, con la vostra dolce amicizia, che non dobbiamo avere paura, che lui, il Risorto, non ci lascia orfani ed è sempre con noi, tutti i giorni, fino alla fine del mondo (cfr Mt 28,20).