Omelia, Seminario Maggiore, Potenza, con i seminaristi e i presbiteri dell’ultimo decennio di ordinazione

18-04-2018

 

Omelia, Seminario Maggiore, Potenza, con i seminaristi e i presbiteri dell’ultimo decennio di ordinazione.

Miei cari giovani della comunità del Seminario e dell’anno propedeutico, cari don Filippo, don Angelo, don Leonardo, don Cesare, superiori ed educatori, cari fratelli sacerdoti dell’ultimo decennio di ordinazione e chi tra voi festeggia il decimo anno di sacerdozio: buona Pasqua, il Signore è veramente risorto, alleluia! Un saluto inoltre ai seminaristi che riceveranno tra giorni i ministeri di lettore e di accolito. Si avvicina la IV domenica di Pasqua, detta del buon Pastore. Ci prepariamo alla 55° giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, occasione tradizionale di festa per il nostro Seminario. Siamo qui per annunciarci ancora una volta il kerigma, per riscaldarci al fuoco nuovo della Pasqua, per essere illuminati dal cero pasquale segno del Risorto, per dissetarci alla fonte salutare del nostro battesimo, per cantare ancora l’ exultet della vittoria di Cristo sulle tenebre e la morte.

Le letture bibliche di questo mercoledì della III settimana del tempo pasquale: negli Atti degli Apostoli abbiamo appreso che dopo il martirio del diacono Stefano una persecuzione violenta si scatena contro la Chiesa, i discepoli si disperdono fuori Gerusalemme, dove restano solo gli Apostoli, Saulo infuria contro Cristo e la sua comunità, uomini e donne di fede cristiana vengono incarcerati. Una situazione molto difficile, sembra tutto finire un’altra volta.

Cari giovani sacerdoti, nei vostri primi anni di ministero avete già assaporato questa amara esperienza. Gli entusiasmi, i successi, le speranze, i sacrifici, le molteplici iniziative, a volte sono sembrate sparire nel nulla, poi son venuti anche le avversioni, le incomprensioni, gli equivoci, gli errori. La situazione della Chiesa di Gerusalemme all’indomani della lapidazione del Protomartire si mette in parallelo con certe esperienze e momenti che abbiamo sperimentato e avete sperimentato già. Però il brano biblico degli Atti ci vuole indicare un altro aspetto, che nella nostra vita sacerdotale e ministeriale stentiamo a considerare. “Quelli però che erano dispersi andarono di luogo in luogo, annunciando la parola”, cioè la persecuzione e la fuga dolorosa per la Galilea e la Samaria diventano l’occasione per una nuova nascita della comunità, il Vangelo con grande frutto si diffonde altrove, il diacono Filippo predica il Cristo, compie i segni di Cristo sugli indemoniati e gli ammalati, e le folle accolgono con grande gioia le sue parole.

Non bisogna scoraggiarsi. Dal momento di crisi e di discernimento può nascere una nuova possibilità, un’altra opportunità per diffondere la parola del Signore e con più efficacia. E’ la presenza del Risorto che opera, è il dono dello Spirito Santo che guida la Chiesa, è la volontà di Dio Padre che comunica forza e potenza.

Le letture evangeliche di questi giorni ci stanno continuando la catechesi pasquale sul sacramento del battesimo e dell’eucaristia. Abbiamo ascoltato dal capitolo 6° del vangelo di S. Giovanni l’annuncio di Cristo, pane vivo disceso dal cielo, pane vero di Dio, che da la vita al mondo. Cristo sazia e disseta definitivamente. E’ il motivo di questa celebrazione: non siamo qui per caso, siamo venuti qui per non avere più fame, crediamo in Lui per non avere più sete, noi siamo stati dati a Lui dal Padre nel battesimo e nella fede e Lui non ci caccerà fuori. La volontà di Colui che lo ha mandato è che non perda nessuno e lo risusciti nell’ultimo giorno. C’è nel Vangelo di oggi un verso che ci suggerisce in Cristo la missione del sacerdote: “Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato”. Siamo stati ordinati diaconi , presbiteri e vescovi per fare la volontà di colui che ci mandato. Forse a volte l’insuccesso è stato causato proprio dalla tentazione di fare la nostra volontà sia nel campo della spiritualità, sia nel campo pastorale. La voglia di far da soli, di avere successo mondano, di conquistare il consenso e l’ammirazione, l’ambizione di salire di grado, la doppia vita nella distinzione tra vita pubblica del prete e vita privata, la rincorsa ossessiva di uno status symbol nei mezzi e nei soldi, nel lusso e nel benessere. Il nostro status symbol è la croce di Cristo risorto.

Noi siamo stati chiamati per essere segno di contraddizione, per essere mandati ovunque, di eseguire come Cristo la volontà del Padre. Per dare la possibilità al mondo di vedere il Figlio e credere in Lui onde avere la vita eterna e la risurrezione nell’ultimo giorno. Noi, nel battesimo, cresima e ordine siamo quelli del kerigma perenne: Gesù è risorto e vivo, è il Signore, solo in lui vi è salvezza.

Anche noi siamo chiamati dal buon Pastore risorto a toccare le sue ferite delle mani e dei piedi perché non è un fantasma, una fantasia. Si confessiamolo sinceramente, certe volte anche per noi Cristo diventa un fantasma quando il ministero diventa mestiere, quando la Messa diventa abitudine, quando il cuore inaridisce, la preghiera si fa rara, il servizio agli altri si muta in potere. A volte lo presentiamo come un fantasma, quando lo riduciamo a un esempio mieloso di bontà ideale, a slogan artefatti, a invenzioni soggettive e gratuite, a parole vuote, senza corpo e sangue, senza passione e risurrezione. E non sono solo i preti vecchi ad essere stanchi e legati a forme e abitudini del passato, ma purtroppo anche alcuni neopresbiteri o di primo ministero già a pochi anni dall’ordinazione spesso perdono quella grinta sacerdotale, spirituale, missionaria, culturale, che ti rende sempre pronto a partire con Lui e per Lui nell’avventura affascinante della sequela.

Dobbiamo toccare la ferita del cuore di Cristo, il suo fianco da cui è nata la Chiesa sua sposa, dobbiamo cadere in ginocchia davanti a Lui divina misericordia per esclamare ormai vinti e convinti: “Mio Signore e mio Dio!”. La nostra vocazione e missione sacerdotale è tutta lì: toccare noi per primi la ferita del Cuore divino e mandati per farla toccare agli altri, l’esperienza del Risorto. Come? Nell’annuncio della Parola, nella liturgia e i sacramenti, nella comunione eucaristica, nella riconciliazione e nel perdono, nella carità e nella pace, nella preghiera e nel dono di sé, nella povertà, castità e obbedienza. “Mio Signore e mio Dio!”.

     “Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio”: il brano di Isaia letto da Gesù nella sinagoga di Nazaret e rivolto a se stesso con la parola “Oggi è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”. Papa Francesco ha voluto questo passo per la prossima giornata annuale di preghiera per le vocazioni. Il brano evangelico gli ha suggerito i tre verbi Ascoltare, Discernere e Vivere la chiamata del Signore. Ne stiamo parlando negli incontri vocazionali con i giovani e adolescenti dell’arcidiocesi di Acerenza: in una società che propone loro il frastuono e lo stordimento, l’indecisione e la distrazione, il vivere a caso senza origine e senza finalità, la comunità del Seminario si caratterizza esattamente come tempo preziosissimo di ascolto, discernimento e vita. Ma anche l’identità e la missione sacerdotale è sempre tempo di ascolto, discernimento e vita, sia dei neopresbiteri, sia di tutti i ministri ordinati a qualsiasi età o condizione. E’ l’oggi che dichiara Gesù a Nazaret. Vi auguro con tutto il cuore l’oggi di Cristo risorto Pastore buono, grande e vero.