Omelia, Seminario Maggiore, Immacolata, 2020

08-12-2020

Omelia, Seminario Maggiore, Immacolata, 8.XII.2020

Miei cari giovani del Seminario, giovani in ricerca vocazionale, cioè alla ricerca di Dio e del suo Cristo sommo ed eterno sacerdote; cari formatori e animatori che avete il compito di guidare questi giovani verso la scelta del sì a Dio, in una vita di totale abbandono a lui e di obbedienza alla sua volontà, anche nel discernimento se la voce di Cristo è vera oppure è una loro voce di pensieri umani, di impressioni emotivi e di progetti sbagliati. Vi ringrazio don Angelo, don Antonio, don Cesare, don Nicola, per questo vostro servizio delicato e certo impegnativo per guidare il discernimento di questi giovani uomini verso la scelta matura. Saluto con affetto l’Arcivescovo Metropolita e gli altri fratelli Vescovi delle Diocesi lucane.

È il tempo dell’Avvento, è la solennità di Maria SS. Immacolata. La Parola di Dio ci illumina abbondantemente in questo cammino comunitario e personale: non potrebbe essere altrimenti. Nelle Scritture accade sempre così: Dio inizia, infonde coraggio, corregge le vie, tollera gli errori, accoglie il pentimento, raddrizza la strada e porta a compimento.  Nel Vangelo odierno della vocazione di Maria di Nazareth siamo consolati. Noi ci troviamo di fronte a una persona che viene colta nella sua giovinezza con un cuore puro e mite: beati i puri di cuore perché vedranno Dio, beati i miti perché erediteranno la terra, dirà in seguito il Figlio della Vergine.

La parola di Dio si rivolge a una vergine di Nazaret di nome Maria, promessa sposa di un uomo della discendenza davidica di nome Giuseppe. Due giovani che sono chiamati, che ricevono la vocazione del Signore che prende sempre l’iniziativa: nessuno si chiama da se stesso, un altro ti interpella e ti propone la strada per la tua felicità, una strada impegnativa e, in molti momenti, dura. Cari giovani, pensiamo insieme a quel momento in cui poco tempo fa o molti anni fa abbiamo sentito la voce del messaggero di Dio: circostanze, persone, voci interiori della coscienza, guide che il Signore ci ha messo accanto. In un ambiente a noi caro tra la famiglia e il paese, famoso e conosciuto o forse modesto e poco noto, come il villaggio di Nazareth. Dio ci conosceva, è venuto a cercarci, sapeva da sempre il nostro nome, penetrava nei nostri pensieri, amava il nostro cuore.

La vocazione è un messaggio di gioia: rallegrati, gioisci, chàire! Nei profeti il saluto della gioia è offerto alla figlia di Sion, cioè a Gerusalemme e a tutto Israele, qui è rivolto a una vergine, come persona culminante del cammino di attesa e di avvento di Dio. Infatti viene chiamata Kecharitomène “Piena di grazia”. Fiumi di parole e libri su libri sono stati scritti su questo termine inusuale: possiamo dire con tranquillità “Piena totalmente della predilezione di Dio”, in quanto il Signore è con lei, Yahwèh è con lei, L’Emmanuele, il Dio-con-noi del popolo di Israele è con una creatura singola e la colma con abbondanza del suo amore, della sua grazia. Un saluto sorprendente che la stessa vergine Maria nella sua abissale umiltà non comprende nella sua portata gloriosa e ne prova timore, tipico atteggiamento della creatura di fronte alla manifestazione della gloria di Dio, tremendo e affascinante, ma di più si tratta del santo timore di Dio, suo dono. Tanto che il messaggero celeste, “Fortezza di Dio”, deve rincuorarla ed esortarla a non avere paura perché lei ha trovato grazia presso Dio.

Sullo sfondo c’è il giardino di Eden, dove l’uomo e la donna, Adamo ed Eva, hanno rifiutato la grazia del Signore, sollevando la mano superba verso la sapienza e la vita di Dio, a profanarla e a impossessarsene, istigati dal Serpente antico, il Drago rosso. A quell’uomo e a quella donna del principio di condanna adesso Dio propone il principio di salvezza con una donna vergine, piena di grazia, e da lei l’uomo nuovo, pieno di grazia e di verità.  Tanti millenni prima l’aveva promesso, mentre i due si allontanavano dal suo volto di amore. L’aveva stabilito come termine fisso di eterno consiglio che l’inimicizia tra il serpente e la donna sarebbe continuata fino a che la sua discendenza non gli avrebbe schiacciato il capo. Ma ci voleva una Donna nuova, ci voleva l’avvento di un Uomo nuovo.

Ma se Maria fosse stata solo figlia di Eva, compreso il peccato originale e quindi impigliata nei suoi peccati attuali, che Donna nuova, piena di grazia e di gioia, sarebbe stata? Che Discendenza dalla sua carne e dalla sua anima avrebbe potuto partorire per distruggere il potere di Satana? Che novità sarebbe stata se non ci fosse stata una creatura senza la superbia degli antichi progenitori? E questo non per virtù propria e particolarissima, ma solo per grazia immeritata e creata da Dio. Ma come poteva essere così una creatura della discendenza umana se tutta sotto il giogo del peccato?  Solo la Chiesa poteva dichiarare con certezza la condizione della Kecharitomène, la cui Discendenza, suo Figlio anche Figlio di Dio, avrebbe schiacciato la testa al serpente antico: per quel merito infinito del sangue del Figlio sulla croce fu salva anche la Madre in previsione, come aveva annunciato Dio creatore dall’eternità. Dalla Genesi e dal Vangelo con gioia ci abbiamo creduto per secoli, pur con molteplici esitazioni e distinguo di sottili teologi e perfino di santi: la Chiesa con la dichiarazione dogmatica ci ha confermato.

Ma ritorniamo a Nazareth. L’arcangelo rivela la vocazione di Dio alla vergine, che da vergine dovrà concepire un Figlio, lo dovrà partorire e chiamare Gesù, Yehoshùa, IHWH salva, il Signore è il salvatore. Nel nome vi era la sua identità. Ancora le rivela l’angelo: “Sarà grande perché Figlio dell’altissimo, siederà sul trono di Davide suo padre e regnerà per sempre su Israele e il suo regno non avrà fine”. E’ Figlio di Dio, figlio di Davide, antesignano del Messia, ma Cristo è re per sempre, come aveva promesso.

La vergine Maria, Immacolata, nella sua umiltà e nella sua fiducia, chiede al messaggero divino sul come potrà avvenire questo nella sua verginità, poiché non conosce uomo. Un’espressione che mi ha fatto pensare e leggere per anni commenti e studi. Non credo a una interpretazione minimalista. S. Luca, e con lui la prima Chiesa, poteva dirci diversamente, almeno con questa risposta di Maria, logica ed esistenziale: “Certo, inviato di Dio, adesso sono nella verginità, ma tra pochi mesi sposerò Giuseppe e quindi avrò il figlio di cui tu dici?”. Perché quella risposta riportata nel Vangelo con un verbo al presente continuativo, con un tono di una decisione. Matteo ci dice che prima di andare a vivere insieme Maria si trovò incinta per opera dello Spirito Santo: si esclude quindi nei Vangeli ogni sorta di concorso d’uomo. Una vocazione inimmaginabile per una creatura e una fanciulla. Due giovani prossimi al matrimonio, secondo le usanze e i diritti ebraici, avvolti dal mistero di Dio per una vocazione unica nella storia umana. Maria: vergine e madre insieme, divina maternità e perpetua verginità, come il roveto ardente del Sinai che bruciava e non si consumava. E Giuseppe, il giusto, vicino e custode di questo roveto fiammeggiante da cui si udiva la voce di Dio. Due giovani, già pronti, uno giusto e l’altra piena di grazia, dopo la richiesta di una parola di fiducia, rispondono di sì senza tornare indietro.

Il messaggero di Dio, che prima ha svelato l’identità del Bambino che nascerà da lei, adesso specifica di più l’identità della Vergine Madre. Lo Spirito Santo scenderà su di lei, la potenza dell’Altissimo la coprirà con la sua ombra. Come sul Sinai, come era sulla tenda del convegno, come la colonna di fuoco e nube dell’Esodo, come la fiamma sull’Arca e sul Tempio. Perché lei immacolata avrà nel suo grembo, nel suo cuore, nella sua vita il santo Figlio di Dio. E le dà un segno. La cugina Elisabetta sterile avrà un figlio con Zaccaria, anziani coniugi. Lei sterile per la verginità avrà un Figlio dalla potenza divina perché non conosce uomo. La vocazione è essere rapiti nella luce divina in una missione che è opera di Dio e non nostra: la Chiesa vergine immacolata, perché lavata dal sangue di Cristo e composta dalla famiglia dei battezzati, salvati dal peccato, genererà sempre nuovi figli a Dio e la Vergine Madre di Nazareth è il membro più eccelso e la figura più compiuta di questo Corpo il cui capo è Cristo.

Essere cristiani, essere ministri di Cristo, significa essere coinvolti in questa continua generazione verginale perché tutto il mondo sappia che è opera di Dio e noi solo strumenti, spesso inadeguati. Al mondo che si meraviglia della Chiesa tutta immacolata, fatta anche di secolari e gravi sozzure di suoi singoli figli, il Vangelo annuncia che ogni parola di Dio non è impossibile. Alla nostra permanente domanda del “Pòs èstai tòuto”, “come avverrà questo?”, cioè di generare nella verginità, c’è sempre la risposta della “dynamis”, la potenza efficace della parola di Dio. Allora anche a noi compete la risposta con la Vergine immacolata di Nazareth: “Ecco i servi del Signore, avvenga per noi secondo la tua parola”, e saremo pieni di grazia per tutta l’eternità, pieni di Dio. Rallegratevi!