Omelia S. Rocco, 16 agosto 2020, Tolve

16-08-2020

Omelia S. Rocco, 16 agosto 2020, Tolve.

Cari fratelli e sorelle, caro don Francesco Martoccia, amministratore parrocchiale della parrocchia di S. Nicola e prorettore del santuario diocesano di S. Rocco, cari sacerdoti concelebranti, ossia il canonico mons. Venezia, vicario episcopale, il canonico don Nicola Moles, l’officiale della Segreteria di Stato don Samuel Corniola, illustre sindaco senatore avv. Pepe e autorità civili provinciali e regionali, di ordine pubblico e sicurezza cosciale, del campo della cultura e della solidarietà. Stimati collaboratori parrocchiali, sia come consiglieri che come membri di comitati, sia nell’annuncio che nella liturgia, sia nella carità che nell’apostolato. Un saluto al caro lettore accolito Alberto, prossimo diacono, a imitazione della carità di S. Rocco. L’ ordinazione diaconale avrà luogo il 15 settembre prossimo, qui in Tolve, in occasione della festa della S. Croce e della memoria della Vergine Addolorata, a conclusione solenne dei festeggiamenti di S. Rocco.

La mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli” (Is 56, 7), così nella prima lettura del lezionario generale di oggi Domenica, in cui i cristiani si radunano nella casa del Signore, cioè la Chiesa dei battezzati e dei cresimati, dentro o fuori il sacro edificio, si radunano per pregare. Ed è quello che stiamo vivendo adesso, pur nella precauzione sanitaria a causa dell’epidemia virale. Non ci interessa altro che pregare, ascoltare, eseguire.

  1. Rocco di Montpellier, giovane cristiano della seconda metà del 1300, come tanti della sua epoca si mette in cammino, in pellegrinaggio, verso Roma. Non sapevano se avessero fatto ritorno in patria, non sapevano cosa avrebbero trovato lungo il viaggio, non sapevano se fossero morti di stenti in terre sconosciute: una cosa la sapevano, camminavano con Cristo e verso Cristo, questo bastava a sufficienza. Un’epoca, quella del Medioevo, forte, decisa, luminosa, pur fra lotte tra gli uomini, anche di chiesa, calamità naturali e furia di morbi e di contagi. Erano chiamati romei coloro che da ogni parte del mondo cristiano si recavano a Roma, erano operatori di carità, afferma sommariamente la definizione storica e liturgica: ma che facevano in particolare? Troppo poco dire che aiutavano i poveri. Era una vera e propria categoria sociale e religiosa. Vediamo un po’ di comprendere qualcosa.

Dal brano di Isaia, scelto per oggi dal lezionario speciale: il Signore esorta i suoi fedeli a digiunare dall’oppressione e dall’iniquità, a digiunare nel dividere il pane con l’affamato aprendogli il cuore e di vestire chi è nudo, di procurare un tetto al misero, di evitare di giudicare e parlare male dell’altro, di consolare il sofferente e l’afflitto. Il profeta descrive il fedele che opera così come luce che brilla nelle tenebre, come giardino irrigato e sorgente sempre viva. Il Signore sarà sempre pronto alla sua invocazione, sempre a lui vicino con la sua gloria e la sua guida, sarà sazietà nei terreni aridi e vigore per le sue ossa (cfr. Is 58,6-11). Ecco cosa facevano i romei come S. Rocco. Per primo la loro vita era offerta a Dio totalmente e incondizionatamente, questa offerta si esplicava come necessaria conseguenza a servizio del prossimo bisognoso e sofferente che incontravano lungo le strade e le città, anche se in calamità ed epidemie contagiose e letali. D’altronde anche la lettura generale di questa domenica ci offre la parola di Dio e ci esorta: “Osservate il diritto e praticate al giustizia, perché la mia salvezza sta per venire” (Is 56,1). Questi pellegrini romei però non operavano nella carità in modo isolato e autonomo, viaggiando verso Roma e da Roma. Si inserivano in precisi ambiti socio-sanitari, quali confraternite di cura per gli ammalati, ricoveri ospedalieri tenuti da diocesi e monasteri, organismi civili di soccorso. La carità e la solidarietà verso gli altri, che non dispensa dall’impegno personale e segreto, per essere efficaci si gestiscono sempre insieme agli altri unendo forze, intenti e fede.

Non lo facevano solo per umanitarismo, per buonismo, per una vita libertina senza regole e senza vincolo, diremmo oggi “come gli veniva in testa” e “fai da te”, oppure facevano ogni tanto un po’ di bene per tenersi buona la coscienza, senza grandi ideali e convinzione religiosa, senza morale e fede, come purtroppo avviene oggi per tante persone, che si illudono di amare gli altri senza Dio e ben presto si scoraggiano e si perdono. Il Vangelo prescelto per la festa di S. Rocco afferma altro. Bene amare il prossimo, ma se lo fai solo per te o per rivendicare altro, non arrivi mai al motivo principale che dà luce ad ogni azione umanitaria e caritativa. Il motivo si chiama Gesù. Abbiamo ascoltato dal Vangelo secondo l’apostolo Matteo: è Gesù che ha fame e sete nel povero, è Gesù che passa o arriva da straniero ed é bisognoso di vesti e di cibo, è Gesù che soffre nella malattia e nella peste, oppure è impedito nella sua libertà e ha bisogno di essere visitato, aiutato, curato, sostenuto (cfr. Mt 25,31-40). In ogni uomo piagato nel corpo o nello spirito c’è Cristo ancora crocifisso e oltraggiato: allora se ti pieghi su di lui per fasciare le ferite e versare l’olio della consolazione lo fai certo per l’uomo, ma perché ha una dignità incomparabile, in quanto creato da Dio e redento da Cristo che si identifica nell’uomo più scartato. S. Rocco e tutti i romei di ieri e di oggi, quelli che camminano dietro a Cristo nel pellegrinaggio della vita, lo fanno per questo. Ecco perché la persona umana non deve essere abortita prima di nascere, nè uccisa dopo la nascita, fino al passaggio all’eternità; ecco perché l’uomo è sempre il fine, mai il mezzo; ecco perché l’uomo e la donna sono immagine di Dio e hanno una vocazione per l’amore matrimoniale, fedele e indissolubile per la nascita dei figli; ecco perché ogni persona è uomo o donna e non può essere di altro genere. S. Rocco dei romei, insegnaci ancora, indicaci Gesù, l’Uomo perfetto in cui ogni uomo trova al sua identità e la sua libertà.

Servendo i poveri e gli emarginati, i pellegrini, come s. Rocco, diventavano anche una voce che interpellava la coscienza dei ricchi, dei potenti, dei governanti, dei violenti. Ai nuovi ricchi dell’epoca, tra borghesi e nobili, combattenti e clero, i pellegrini di fede e carità, senza manifestazioni di piazza o rivendicazioni rivoluzionarie, con il loro silenzio orante e operoso, continuo e, come nel caso di s. Rocco, anche miracoloso, testimoniavano agli egoisti di quel tempo che stavano sbagliando tutto, che stavano perdendo la loro vita illudendosi di guadagnarla, che si stavano seppellendo da vivi nei loro palazzi e nei loro forzieri, che si stavano preparando l’Inferno con le loro mani, praticando l’odio e la corsa a falsi onori e alle posizioni di vano prestigio. Lo dimostra questa antica e originale statua di S. Rocco che nell’abito del discepolo di Cristo in cammino, con il cappello a larghe falde, per difendersi dalla pioggia e dal sole, e il bastone tra le mani, mostra con il sorriso dei poveri in spirito, i poveri di Dio, anche la prova della Croce, la piaga della gamba. E Rocco di Montpellier disse ai prepotenti del suo tempo, e lo dice anche oggi ai superbi del nostro: “Se continuate a comportarvi così, per voi non ci sarà nessuno che vi amerà, neppure un cane che mangia le briciole dei vostri banchetti (cfr Mt 15,27), mentre per me, anche nell’ora della croce, un cagnolino mi porta il pane di quella carità che io, a nome di Cristo, ho elargito a piene mani agli appestati e ai malati, agli emarginati e rifiutati”.

Cari fratelli e sorelle, cari devoti di S. Rocco, perché cercatori di Dio e desiderosi di Cristo, cari sacerdoti che vi siete votati alla povertà, all’umiltà e all’obbedienza, la vita è breve e vale soltanto se la viviamo a servizio di Dio e degli altri, senza finzioni, contese e maldicenze. Lo abbiamo ascoltato della prima lettera dell’apostolo Giovanni, prevista per questa festa solenne: “Chi non ama rimane nella morte, chiunque odia il proprio fratello è omicida. In questo abbiamo conosciuto l’amore, nel fatto che egli (Cristo) ha dato la sua vita per noi, quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli…non amiamo a parole, né con la lingua, ma con i fatti e nella verità” (1Gv 3,14-18).

  1. Rocco, fratello nostro amabile, cristiano laico esemplare, tu ha amato e ami tuttora il Signore nella gloria del Paradiso e sei grande taumaturgo ancora sulla terra e nella Chiesa con i fatti e nella verità, ti supplichiamo: caro viandante per le nostre strade, annunciaci con le parole e l’esempio la verità, ossia Cristo morto e risorto per noi, nato dalla Vergine Maria immacolata, assunta in cielo in anima e corpo. In tempi di incipienti e dannose eresie e ateismi, partisti da terra lontana, per raggiungere Roma indicando nella Chiesa cattolica unita al Papa l’unico luogo istituito da Cristo per avere salvezza e pace. Ti fermasti vicino a innumerevoli ammalati e contagiati, prega ancora per noi non solo per avere scienza, clemenza e grazia divina ed essere liberati dall’epidemia in corso, ma anche imploriamo la tua intercessione di essere liberati dalla peste e dal virus peggiore dei peccati, dei contrasti, delle fazioni, delle discordie, delle invidie.
  2. Rocco, amico mio, da me venerato ovunque ho avuto mandato di sacerdote, parroco e missionario, a Senise, a Lauria, a Viggianello, in tanti luoghi della tua Lucania, adesso qui in Tolve, al santuario diocesano: vieni ancora, pellegrino di Cristo. Non vedi quanta umiliazione e disagio per i contagi fisici e morali; vieni, messaggero di Cristo, tocca i nostri bubboni maligni che deformano anima e corpo, e con la potenza di Cristo e il favore della sua Madre Maria, toccaci e guariscici.