Omelia-riflessione Venerdì Santo 2020

10-04-2020

Omelia riflessione. Venerdì Santo 2020. Teletrasmessa.

Carissimi cristiani, perché da Cristo prendiamo il nome, in questo particolare Venerdì Santo, come da antica normativa della Chiesa, celebriamo e comunichiamo a mezzo telematico l’azione liturgica della passione e morte di nostro Signore Gesù Cristo.  Il gesto iniziale e penitenziale della prostrazione del sacerdote, già di per sè espressivo, in questo momento grave per tutti, riveste un carico simbolico nuovo: la prostrazione dei colpiti dal contagio, della sofferenza delle famiglie, del sacrificio dei medici e degli operatori sanitari, dell’azione di tanti sacerdoti, suore, volontari e organizzazioni di soccorso e solidarietà, dei poveri e dei disoccupati su cui si ripercuote la conseguenza della crisi.

Ma questo Venerdì Santo della pandemia virale, insieme al sacerdote, ci prostriamo tutti davanti al Signore crocifisso per invocare clemenza e perdono per i nostri peccati, aiuto nell’angoscia che ci tormenta, salute per i nostri corpi malati, conforto per la nostra anima sconvolta, serenità e pace per l’umanità afflitta. Offriamo, cari fratelli e sorelle, questo digiuno e questa astinenza insieme a tanti che sono privati di cibo, di acqua, di medicine, di affetto, di cure, di vicinanza, di aiuto, non solo per le malattie, ma anche per le ingiustizie e le violenze.

Nell’adiacenza della basilica di S. Giovanni in Laterano, in Roma, vi è il santuario della Scala Santa, che secondo la tradizione antica custodisce proprio la scala che Gesù salì, insultato e flagellato, nel palazzo di Pilato. Da secoli i devoti la salgono in ginocchio, venerando alcune tracce di sangue che si intravedono lungo i gradini. Anche io da giovane sacerdote, studente a Roma, facevo volentieri questa devozione. All’inizio la salita sembrava facile, poi man mano le ginocchia cominciavano a indolenzirsi e la scalata si faceva molto faticosa. Ciò che però mi colpiva era il grande dipinto del Calvario appena ci si avvicinava al culmine: il Crocifisso, l’Addolorata, S. Giovanni apostolo, S. Maria di Magdala, ma ancor di più la profezia di Isaia nella evidente scritta in latino: “Ipse autem vulneratus est propter iniquitates nostras, adtritus est propter scelera nostra”, che oggi viene tradotto: “E’ stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità” (Is 53,5).

Cioè, le ferite e i lividi che vediamo sul Servo sofferente, il Cristo, sono i segni dei nostri peccati che Lui, con le sue piaghe, è venuto a togliere e a guarire. Lo abbiamo colpito noi, con i nostri delitti e le nostre scelleratezze. Lo abbiamo ridotto senza apparenza, né bellezza, uomo dei dolori che ben conosce il patire (Is 52,2.3-53,5). Come abbiamo ascoltato nella prima lettura. E la seconda lettura, la lettera agli Ebrei, ci ha ricordato che: “Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono” (Eb 4,8-9).

Abbiamo proclamato la passione secondo l’apostolo S. Giovanni: il giovane apostolo era un testimone oculare, poiché, prima con Pietro, di nascosto, poi da solo e davanti a tutti, seguì il Maestro fino alla crocifissione e alla sepoltura, insieme alla madre Maria e alle altre donne discepole. Vorrei riprendere il famoso incontro tra Pilato e Gesù, la cui descrizione evangelica vuole comunicare una rivelazione a tutte le epoche.

Alla domanda di Pilato se Gesù fosse il re dei Giudei, secondo l’accusa per cui era stato condotto alla sua presenza di governatore a nome dell’impero romano, Gesù risponde che il suo regno non è di quaggiù. Il governatore intende trovare un capo di condanna di ordine politico, non lo trova. Allora nell’interrogatorio gli domanda che specie di re fosse. Gesù risponde che è re, ma spiega subito che il suo regno è il regno della verità, per questo è nato e per questo è venuto. Pilato resta perplesso e scettico, domanda al Cristo che cosa sia la verità: ha sentito troppi filosofi definire tante verità, ha assistito a troppi intrighi di falsità e di menzogna. Il rude romano pensa a un’idea astratta di verità, oppure a un atto morale oppure a un comportamento retto. Gesù ha già risposto: la verità è appartenere a Qualcuno più grande, a Lui, si proprio a Lui, a quell’uomo ormai prossimo alla morte. “Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce” (Gv 18,28), dice il Nazareno al potente di Roma. Ecco il suo regno: chi appartiene a Lui e lo ascolta, nel senso che lo segue totalmente con amore obbediente, fino alla fine.

Pilato in fondo dubita che ci sia una verità assoluta, Gesù con il suo silenzio risponde presentando la sua stessa Persona, che è la Verità. Lo aveva detto nell’ultima Cena ai suoi discepoli: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6). Ponzio Pilato, il pagano, l’odiato persecutore e invasore, si trova di fronte a un mistero più grande di lui, quel Gesù di Nazaret, acclamato pochi giorni prima come profeta e novello re di quella nazione indomita e turbolenta, adesso umiliato e reietto, e davanti a lui e nelle sue mani. “Di dove sei tu? (Gv 19,9). Gesù resta in silenzio, l’aveva già detto perché era nato ed era venuto nel mondo. Ma Pilato pare non cercare più una risposta, pone una domanda di stupore e curiosità a quell’uomo maciullato e ridotto a brandelli. Per la prima volta si trova di fronte al mistero, a quell’uomo enigmatico e lacerato, che afferma di essere imperatore in modo diverso: un modo che a lui, severo e crudele funzionario dell’impero romano, non risulta.

Dopo averlo fatto flagellare, esposto al derisione, agli schiaffi, agli sputi e alla corona di spine, lo presenta alla folla con un termine strano: “Ecco l’uomo!” (Gv 19,5). Sì, ecco l’uomo, la viva rappresentazione dell’uomo sfigurato, percosso e umiliato dai suoi peccati, dai peccati degli altri, dalle violenze, dall’opera di Satana, ecco l’uomo di sempre, scolpito nella carne grondante di sangue del giusto e santo Gesù. La folla si infuria ancora di più, l’odio aumenta, l’ira reciproca dell’umanità, le guerre funeste, il sangue dei secoli, la carneficina continua, tutto è scatenato in sintesi sul corpo di Gesù dilaniato e, nell’imminenza, annientato sulla croce. Ecco l’uomo, ecco noi!

Pilato non sa più che fare. Secondo la legge romana quel misterioso profeta di Nazaret non può essere condannato perché non c’è la prova del reato, secondo la legge ebraica deve essere condannato perché ha bestemmiato facendosi Figlio di Dio. Propone a Gesù un ultimo tentativo, che somiglia a quella tentazione del Diavolo nel deserto: “Io ho potere su di te”. Vuole proporre a Gesù di riconoscere quel potere basato sulla forza e la violenza, e potrebbe evitare la croce. Ma Gesù, come nei quaranta giorni di digiuno e di preghiera nel deserto, lo vince dicendogli che invece non ha nessun potere se non gli fosse concesso da altri, per cui potrebbe perderlo da un momento all’altro. Non è quello il vero potere.

Minacciato di tradimento nei riguardi dell’imperatore, Pilato se ne lava le mani, è consegna Gesù perché sia crocifisso, come urla la folla. Ha troppa paura di perdere quel poco di potere effimero e falso. Ha incontrato chi veramente è imperatore e regnante, ma ha troppa paura: la verità l’ha sfiorato, ma non è stato capace di coglierla. Chi ha veramente potere, il potere della verità e dell’amore, è quell’uomo venuto dalla Galilea. Nel pretorio di Pilato la potenza mondana di Roma si incontra con la potenza eterna di Cristo, sembra aver vinto ancora una volta la prima, schiacciandolo con la complicità delle autorità ebraiche e parte del popolo istigato e ingannato, ma è una vittoria apparente, durerà solo tre giorni.

Fratelli miei, è il Venerdì Santo del 2020, questa Settimana Santa, vissuta così: sarà ricordata nei libri di storia della Chiesa e, penso, dell’umanità, per la crisi umanitaria che stiamo vivendo e forse anche a biasimo di noi pastori e sacri ministri, per non aver saputo rinvenire eventuali soluzioni liturgiche e sacramentali, adeguate all’onore di Dio e alle esigenze del popolo credente. Però, adorando il legno della croce e Colui che vi fu appeso, vogliamo dire sinceramente: “Signore Gesù Cristo, rifiutato, flagellato e messo a morte, tu sei il nostro vero re, noi non abbiamo nessun potere: i fatti ce lo dimostrano impietosamente. Quel poco di potere scientifico, culturale, sociale e politico, che abbiamo, proviene da una fonte che non è nostra e rivela di essere solo una scintilla nell’oscurità della nostra esistenza senza Te. Perdonaci, salvaci, amaci. Ti adoriamo e ti benediciamo perché con la tua santa croce hai redento il mondo”.

Ecco l’Uomo, il vero Uomo; ecco Cristo, il vero Dio.