Omelia per ordinazione diaconale Alberto Lardiello

15-09-2020

Omelia per ordinazione diaconale, 15 settembre 2020, Tolve

Su Nm 3,5-9; Ef 4,1-7.11-13; Gv 19,25-27.

Carissimi fratelli e sorelle, caro giovane Alberto, assistito dall’amministratore parrocchiale don Francesco, che ringrazio per la preparazione di questa solenne liturgia, cari sacerdoti operanti in Tolve mons. Domenico Venezia e il canonico don Nicola. Esprimo un saluto fraterno ai sacerdoti oriundi della cittadina, ai tanti presbiteri e diaconi provenienti dall’Arcidiocesi e dalla Regione. Saluto con stima i superiori e formatori del Seminario Maggiore di Potenza, saluto in modo particolare il rettore don Angelo con i seminaristi presenti. Un saluto offro ai consacrati e alle consacrate qui presenti che presentano al Signore la loro preziosa preghiera per il neodiacono. Caro Alberto esprimo ancora un grato pensiero ai tuoi genitori, a tua sorella, ai tuoi familiari e congiunti, ai tanti amici, tanti ragazzi e giovani, che vogliono pregare con noi e, tramite la celebrazione, scoprire con più attenzione cosa il Signore desidera per loro, per la loro felicità, per amarlo con tutto il cuore e amarlo negli altri, bisognosi e sofferenti, come fece il giovane S. Rocco. Un saluto al signor Sindaco e alle autorità civili e militari.

Cari fedeli di Cristo, siamo alla celebrazione eucaristica per ascoltare le letture bibliche e partecipare al banchetto e sacrificio eucaristico, per avere la possibilità di comprendere appieno la risposta di Alberto alla vocazione speciale che il Signore gli ha proposto: oggi l’ordinazione diaconale ad sacerdotium, si dice anche transeunte, con un termine incompleto, in quanto la dimensione diaconale non passa  e non termina mai, ma lo stesso sacerdozio, a Dio piacendo, sarà sempre anche un servizio permanente, non un servizio dello schiavo, dòulos, ma la dedizione fedele e amorosa del servo di fiducia, diàkonos.

Facciamoci istruire dalla parola di Dio che è stata proclamata sia per l’ordine sacro nel grado del diaconato, sia, nel Vangelo, in questa memoria della beata vergine Addolorata sotto la croce del suo Figlio. Come abbiamo ascoltato nel libro dei Numeri nell’Antica Alleanza, Dio fa avvicinare i leviti perché stessero al servizio del sacerdote Aronne che a sua volta era a servizio di Dio. Risuona già la parola chiave: servizio, diaconia.  Ma non si tratta di schiavi, ma di persone libere, anche da ricchezze e averi terreni, per essere solo del Signore accanto al sacerdozio antico. In che cosa consisteva questo servizio? Era un servizio alla Dimora nella tenda del convegno, che poi diventerà il tempio di Gerusalemme, e la custodia dei sacri arredi. Caro Alberto e cari sacerdoti, popolo di Dio, queste antiche figure sono una profezia del sacerdozio di Cristo e dei suoi servi: è Cristo ormai la tenda del convegno dove si incontra e si adora Dio, lui è la Dimora, l’Emanuele, il Dio con noi, in lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità. Quanto era prefigurato, ora è la realtà. Tu sarai ordinato non per te stesso o per motivi prettamente umani, ma per custodire nella liturgia della Nuova Alleanza il mistero della Dimora e servire la Chiesa, dove i battezzati sono a convegno presso la Dimora, cioè la presenza corporale ed ecclesiale di Cristo e reale nell’Eucaristia, all’altare, nell’annuncio della sua Parola, nella carità verso i poveri, in aiuto all’ordine sacerdotale.

L’antico servizio levitico, dunque, si comprende nel ministero della nuova alleanza. L’insegnamento dell’apostolo Paolo è chiaro nel brano della lettera agli Efesini: “Edificare il corpo di Cristo, finchè arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio” (Ef 4, 12-13). Questa è fondamentale per la Chiesa a servizio del mondo e a gloria di Dio. Edificare il corpo di Cristo, cioè servire l’unità della Chiesa, la vocazione all’unità nella Chiesa. In un mondo disgregato e lacerato dalla divisione e dalla discordia che hanno radice nel peccato, il cristiano e il ministro sacro hanno al vocazione all’unità, all’unanimità, un solo corpo e un solo spirito, perché c’è un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti. Unità e totalità, cari sacerdoti e diaconi, cari fratelli e sorelle nell’unica dignità battesimale, la vocazione di Alberto si inserisce in questa realtà più grande e misteriosa, quella di Dio. Se da una parte il diavolo, come dice il termine, è il separatore, Cristo invece è l’unificatore. E’ singolare osservare come l’Apostolo ripete più volte la parola uno, uno solo, una sola, e suggerisce anche la conseguenza nella Chiesa di questa unità, unione, comunione, nel comportamento degno della chiamata ricevuta: umiltà, dolcezza, magnanimità, amore nel portare il peso dell’altro, vincolo della pace. Ovviamente non è sforzo e capacità solo umana, anzi, a ciascuno viene data la grazia nella misura del dono di Cristo, afferma ancora s. Paolo agli Efesini.

Cari fratelli, la tentazione della divisione, dell’abbandono della fraternità, del risentimento e del rancore, è la grande difficoltà della società odierna e della stessa Chiesa, in cui tanti membri si sono fatti avviluppare dall’individualismo e dall’egocentrismo, pur desiderando la collaborazione e la comunione con gli altri. E’ un dono di grazia da invocare giorno dopo giorno, per il battesimo e la cresima siamo Chiesa, l’Eucaristia ci nutre ogni giorno, la penitenza e il perdono del Signore ci sostengono per cominciare daccapo, ma l’adorazione di se stessi spesso prende il sopravvento. Diaconia, diaconia: la Chiesa è solo servizio e missione.

Caro Alberto tu non sei tuo, lo dirai nelle promesse di obbedienza, preghiera, di celibato per il regno dei cieli, di ministero della parola e all’altare, ma non sei tu, non sei tuo. Dice l’Apostolo che noi siano dati o donati da Dio come apostoli, come profeti, come evangelizzatori, come pastori e maestri, non per separare e distruggere, ma per edificare il corpo di Cristo, per il perfezionamento della nostra umanità che è il raggiungimento della misura della pienezza di Cristo. Siamo inserito nella Pasqua di Cristo, lui l’uomo nuovo, il risorto, il vivente. Non si tratta quindi di entrare nel clero per privilegi, comodità, prestigio, ambizioni, se mai vi fossero queste idee, ma di entrare nel mistero di Cristo sposo e della Chiesa sposa, in un mistero di amore in cui si dona la vita totalmente.

La Chiesa di oggi ha da recuperare il suo fondamento unico e trascendente, che è di Dio, che è Cristo nello Spirito santo, “l’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio”, utile riascoltare. Solo così potrà presentarsi umilmente, ma con la forza della verità di fronte alle culture e alle religioni o anche di fronte all’uomo post-moderno, ormai deluso da tutto e incatenato nei suoi stessi idoli del piacere e dell’avere, solo così la Chiesa potrà presentarsi ai poveri e agli esclusi perchè ricca di una forza non sua, ma che viene dalla croce e dalla risurrezione del Signore, di cui essa è in perenne diaconia.

Non la frenesia del fare, che poi diventa facilmente l’inerzia della delusione e dell’insuccesso, ma la fedeltà di stare e rimanere con Lui. La Vergine Maria ci è da modello e d’incoraggiamento con la sua intercessione. La guadiamo sul calvario sotto la croce, quella santa croce di Cristo che in questi giorni festeggiamo. Stava presso la croce del Figlio: quel termine evangelico ha affascinato le generazioni cristiane che lo hanno dipinto e cantato: “Stabat Mater dolorosa iuxta crucem lacrimosa”. La Chiesa oggi fa memoria di Lei in quel momento estremo in cui il Figlio muore e si dona per l’edificazione dell’unità della famiglia umana e per far nascere la Chiesa dal suo fianco ferito. Se non stiamo, se non so-stiamo, tutti sotto la croce di Cristo, come Maria, rappresentante eletta della Chiesa di sempre, noi non avremo nessuna spinta ad andare, ad uscire nell’annuncio del vangelo. Caro Alberto, nella vita ministeriale e diaconale, si sta sotto la croce e il sangue di Cristo, irrorandoci e dissetandoci ad esso, ci spinge a portarlo agli altri. Si verifichi per te e per ciascuno di noi quello che Gesù dice a Maria dalla croce: “Madre, ecco tuo figlio”, e al discepolo: “Ecco tua madre”. Abbiamo tanto bisogno che Cristo ci affidi ancora una volta alla madre Maria e alla Chiesa, e ci induca ad avere totale fiducia nella madre Maria e nella madre Chiesa come hanno fatto i Santi, come ha fatto S. Rocco.

Qual è la mia preghiera per te? La trovo nel brano di S. Paolo, nella definizione che fa di se stesso, cioè di “prigioniero a motivo del Signore”, nel testo originale “ò desmiòs èn Kyrìo”, nel Signore, per il Signore. Sì, questo sei e questo dovrai essere sempre di più, cioè vincolato, vinto, avvinto, convinto, dal Signore, come cristiano, ancor più come ministro sacro nell’ordine del diaconato, come chiamato a servire l’unità per l’edificazione del corpo di Cristo. Rivela il Vangelo di Giovanni apostolo che, dopo la parola di Gesù, lì sul calvario, lui prese Maria fra le sue realtà più care, prendi anche tu Maria e la Chiesa fra ciò che hai di più caro, a servizio di Cristo, diacono del Padre e di tutti gli uomini.