Omelia per l’ordinazione presbiterale della diac. Alberto Lardiello. Tolve, 6 agosto 2021

06-08-2021

Omelia per l’ordinazione presbiterale della diac. Alberto Lardiello. Tolve, 6 agosto 2021

Carissimi fratelli e sorelle nel comune mirabile battesimo, carissimi fratelli nel ministero ordinato, carissimi diaconi, ministri istituiti e ministranti. Un saluto ai consacrati e alle consacrate, ai giovani seminaristi. In particolare rivolgo il mio grato pensiero ai formatori, educatori, direttori spirituali e professori del Seminario Maggiore di Potenza, che per anni hanno guidato il candidato, segnatamente, e come rappresentante, al rettore don Angelo Gioia. Rivolgo il mio grato saluto ai formatori del Pontificio Seminario Lombardo in Roma, segnatamente, e come rappresentante, al rettore mons. Ennio Apeciti, ai numerosi presbiteri dell’arcidiocesi acheruntina e convenuti da altre diocesi, al vicario generale, al vicario giudiziale, ai responsabili dell’ufficio diocesano per il clero, il seminario e le vocazioni e dell’ufficio per la liturgia, al parroco di Tolve don Francesco Martoccia e, permettetemi, al significativo numero di sacerdoti oriundi della cittadina di S. Rocco. Qui profitto dunque per porgere il saluto alle autorità civili, politiche, militari, culturali, rappresentate in unum dall’illustre signor Sindaco e senatore, che saluto a nome di tutti. Carissimi, non dimentichiamo. Siamo riuniti dallo Spirito Santo anche con il valore di presinodo, in particolare come cammino, meditando sul sacramento dell’Ordine sacro.

Carissimo don Alberto, il saluto a te, figlio mio nel cammino spirituale della vocazione e oggi nell’ordinazione presbiterale, insieme ai tuoi cari genitori Rocco e Mimma, tua sorella Raffaella e tutti i familiari e gentili congiunti. “Ecco il giorno che ha fatto il Signore per te e per la Chiesa, rallegriamoci ed esultiamo (cfr salmo 117,24). È la festa della Trasfigurazione del Signore, è la festa della tua trasfigurazione sacerdotale. Ascolta e custodisci il Vangelo, come dovrai fare per tutta la vita. Custodiamo, tutti, ciò che lo Spirito Santo ci ha suggerito nelle Scritture.

Il diacono ha proclamato il brano del vangelo di S. Marco, come Gesù prese con sé i tre Apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni, testimoni privilegiati: nei versi precedenti vediamo che Pietro, a nome degli altri apostoli, ha confessato Gesù come il Cristo, che alla predizione della passione e della risurrezione si è opposto all’idea e dal Signore è stato invitato a rimettersi dietro nel discepolato fedele e ad avere sentimenti secondo Dio e non secondo gli uomini. A tutti quindi Gesù ha detto che chi vuol seguirlo deve andare dietro a lui, deve rinnegare sé stesso, prendere la propria croce e seguirlo. E chi vorrà salvare la propria vita la perderà, chi la perderà a causa sua e del Vangelo la salverà (cfr Mc 8,27-38). Ma gli Apostoli e i tanti discepoli non rinunciano facilmente alla loro umanità irruente, rude, ambiziosa, sospettosa e indecisa, ancora intenta alle cose della terra. Come noi. Quante volte, e dopo duemila anni, anche a ciascuno di noi, chierici e laici, il Signore purtroppo deve dire con dispiacere: “Rimettiti dietro a me, riprendi il tuo posto al seguito e non al comando, non essermi di scandalo e di ostacolo. Io comando dalla croce!”.  Perdonaci, Signore, quando desideriamo e ci mettiamo avanti a te!

Cristo annunciò che alcuni dei presenti alla sua predicazione non avrebbero subìto la morte finché non avrebbero visto il regno di Dio venire con potenza. Ed ecco che sei giorni dopo questa rivelazione, condusse i tre Apostoli su un alto monte, in disparte, loro soli. Basterebbe questo per comprendere tutto del mistero che stiamo celebrando, non solo perché il Signore ha preso tutti noi e ci ha condotto su questo monte, in disparte, noi soli per pregare e assistere all’istituzione di un nuovo sacerdote, “alter Christus” come amava ribadire con i secoli S. Paolo VI, ma specialmente perché Cristo prende Alberto con sé. Un prete è uno che Cristo prende con sé, per lasciare tutto, affetto ed effetti, nella vita celibe di castità perfetta e perpetua, di povertà obbediente e umile, di preghiera e di comunione con lui, e conduce su (nel greco anafèro, portare su, più su, trarre su) in disparte loro soli, kat’ìdian mònous. La nuova essenza ed esistenza sacerdotale nel grado del presbiterato è totalmente questo essere di Cristo e portati in alto, cioè sul suo monte, Tabor e Golgota, con vicino il giardino della risurrezione. Sia ben chiaro a tutti: Gesù chiama noi sacerdoti in disparte, cioè in una dimensione speciale e singolare, come “monaci”, nella salita faticosa per l’incedere e felice per la meta, soli con lui e soli con i fratelli e sorelle di fede: erano in tre per aiutarsi e seguirlo, ma il monte era alto. Si sta insieme al vescovo, ai fratelli del presbiterio e ai fratelli nella fede, ma il monte è sempre alto da ascendere e da percorrere per sentieri non sempre agevoli.

Si trasfigurò davanti a loro, la “metamorfosi” in lingua greca, cambiò forma, o meglio si rivelò nella sua identità di vero uomo e vero Dio. Davanti al prete ogni giorno l’uomo-Dio, Gesù Cristo, si trasfigura e si rivela, pregandolo con trasporto, celebrandolo nella liturgia e nei sacramenti, specie l’Eucaristia, servendolo nei poveri e nei sofferenti: egli è il Re, la luce del mondo, la via, la verità e alla vita. E’ il sinodo, il cammino-insieme, che abbiamo percorso in questi cinque anni. Lui è il Figlio dell’uomo che Daniele vide splendente venire con le nubi del cielo e andare davanti al candido ed eterno Vegliardo, assiso sul trono, per avere gloria e potenza, come abbiamo ascoltato nella prima lettura annunciata. Oggi, Alberto, hai raggiunto, dopo anni di fatica, la vetta. Oggi tu, caro giovane, vedi Cristo trasfigurato davanti a te, per avere, come gli Apostoli, il coraggio e la ferma fiducia, dopo l’annuncio della passione: accogli la sua luce con cui desidera trasfigurarti ogni giorno.

Caro diacono Alberto, cari presbiteri, cari fedeli laici, Cristo è il centro di tutta la rivelazione di Dio, origine e fine, ecco perché si trasfigura tra Mosè ed Elia: la Legge antica e le profezie trovano il compimento in lui. Non abbandonare la viva sorgente delle Scritture, non lasciare la meditazione quotidiana della parola di Dio. Mille e mille conoscenze potrai avere, e ci complimentiamo per la tua vivida capacità intellettiva che ti fa conseguire traguardi di giovane età, ma la sapienza viene dalla Rivelazione divina e dal timore del Signore. Oltre ai lumi della vera filosofia e della sana teologia, fai brillare di più, in questo luogo oscuro, la solidissima parola profetica, come si esprime il testo petrino della seconda lettura proclamata.

Nel brano del Vangelo, Pietro dice a Gesù che è bello per loro essere lì, cioè davanti al Cristo glorioso, compimento delle Scritture, tanto da proporre di fare tende o capanne per il Maestro e i due apparsi e circonfusi dalla sua luce. Certo, caro don Alberto, è bello questo evento liturgico dell’ordinazione sacerdotale su questo splendido monte: questo evento di Tabor dovrà essere sempre la cifra principale della tua vita donata nel sacerdozio. Bello anche il desiderio di stare sempre con Cristo e di mettere tenda con lui che ha posto la sua tenda in mezzo a noi. In effetti possiamo paragonare alle tende o capanne, desiderate da Pietro, questa solenne liturgia, con i sacri parati della gloriosa storia ecclesiale acheruntina, ma sappiamo bene che sono soltanto segni a gloria e onore di Dio e a nostra evidente umiliazione, poiché mentre innalzano l’animo alla Maestà divina che ci ha creati e redenti, per noi sono segno e ammonimento d’umiltà, perché coprono le nostre nudità e rivestono la nostra povera natura debole e peccatrice.

Il Vangelo proclamato subito si affretta a sottolineare che erano spaventati e Pietro non sapeva dire altro. Vorrei sottolineare questo verso: stare davanti a Cristo trasfigurato nella nostra vita sacerdotale deve farci gioire sempre perché è bello, ma anche riempirci di sano e santo spavento ogni giorno, perché grande è il mistero in cui siamo avvolti, troppo elevata la nube in cui siamo adombrati e da cui esce la voce del Padre. Stiamo molto attenti: un sacerdozio senza gioia continua e spavento quotidiano, ben presto, da oggi stesso, si rivela languido e man mano appassisce nello zelo e nell’impegno, fino a diventare nella migliore delle sciagurate ipotesi un mestiere condotto più o meno bene, ma solo un mestiere. Dio ci scampi da questo incombente pericolo!

Altro mi suggerisce la luce dell’alto monte e la discesa a valle. Se è bello stare in alto, è altrettanto bello stare a valle: l’importante che ci sia Lui con noi. Se è bello servire la Chiesa ovunque, è più bello servire la propria Chiesa diocesana dove si è nati e dove è sbocciata la vocazione alla missione diocesana. Ama con me questa cara e antica Arcidiocesi di Acerenza, ancora viva e vegeta. Ama la Basilicata, o Lucania che dir si voglia. Ama questo popolo diocesano e lucano, “nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, per tutti i giorni della tua vita”.  Se è bello stare su monti alti della Chiesa per servire, è bello anche restare per servire questa valle, che potrebbe essere anche di lacrime, ma sono lacrime feconde come il pianto dei nostri padri che ha irrigato queste dure terre per dissodarle e farle fruttificare.

La voce del Padre che si sente nitida e forte dalla nube, oggi in questo giorno solenne, per il diacono Alberto, ma anche per tutti noi, alcuni, sacerdoti nel ministero ordinato, e tutti, sacerdoti nel ministero battesimale, non ci lasci indifferenti: “Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!” (Mc 9,7). Noi siamo cristiani, noi siamo sacerdoti per ascoltare il Figlio diletto del Padre, cioè obbedirgli e annunciarlo. Null’altro. I metodi poi sono un dettaglio epoca per epoca. Non è solo il Rabbi, è il Figlio amato da ascoltare, cioè da seguire. Lo Shemà Israel diventa ora e per sempre la sequela di Gesù, il Figlio amato.

All’improvviso, sul Tabor, tutto ritorna come prima, loro soli con Gesù solo. Ecco la vita del sacerdote cattolico, se volete comprendere qualcosa: solo con Gesù e con la Chiesa, quindi di una solitudine ricca e feconda. Se invece vorrà circondarsi del chiasso che potrebbe avere dentro e cercare il chiasso che potrebbe avere, e di fatto ha, all’esterno, si vota drammaticamente a una solitudine disperata e opprimente.

Vorrebbero i tre Apostoli restare sul monte bello e luminoso, che per adesso è un saggio per la loro fede, quando su un altro monte, il Calvario, pure saranno invitati a vedere il Cristo trasfigurato nella crocifissione. Non ne avranno il coraggio, se non tra di loro Giovanni il giovane, con Maria la Madre e le donne discepole: tra di loro anche il tradimento e il rinnegamento. Sta attento don Alberto, stiamo molto attenti noi sacerdoti, sia episcopi che presbiteri: quando un luogo può sembrare l’ottimo per noi, una situazione può sembrarci bella e luminosa, e spesso lo è in effetti, Gesù non ci permette di piantare tende o capanne per restarci per sempre, ma dopo la prova della sua sola presenza e della voce del Padre, ci invita subito a trasferirci in altro luogo nuovo, in un’altra situazione, anche a volte dolorosa e difficoltosa. Ci invita a scendere a valle, per continuare il cammino, ossia il sinodo ecclesiale per la salvezza del mondo. Il Signore si fermò per certo tempo nella popolosa e fervida Cafarnao, ma non disdegnò la sconosciuta e piccola Dalmanuta.

Entriamo, stiamo, andiamo, usciamo, saliamo e scendiamo, con il Vangelo di sempre: il Figlio dell’uomo che risorge dai morti, il kèrigma da vivere ed annunciare, in opere e parole. Non favole artificiosamente inventate, come tanti tentativi e diciamo anche follie di certa pseudo pastorale odierna, ma testimoni oculari della sua grandezza per far conoscere la sua potenza e la sua venuta.

Don Alberto, per i tria munera che dovrai esercitare nel nome del Signore, ossia l’insegnamento della fede e della verità, la celebrazione della santificazione sacramentale, il servizio autoritativo e la carità regale, ricordati che non sei tu, ma colui “a cui furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto” (Dn 7,14). Sii servo di questo Regno e non aver paura: hai scelto come parola ispiratrice il brano evangelico di Pietro che cammina sulle acque, dalla scena raffigurata nel magnifico polittico di Tolve. Il vento sarà impetuoso, le acque saranno agitate, per raggiungere il Figlio dell’uomo che è risorto dai morti, ma se non lascerai mai la sua mano e dirai: “Domine, salvum me fac…  Salvami, Signore” (Mc 14,30), non sarai uomo di poca fede, e con la barca dei tuoi fratelli, la santa Chiesa, camminando sulle acque, giungerai alla riva sicura.

Maria, Madre dei sacerdoti, assunta in cielo in anima e corpo, S. Nicola vescovo, S. Rocco confessore, S. Alberto Magno e S. Tommaso d’Aquino, e tutti i Beati del cielo, ti assistano e ti accompagnino nel lungo sinodo che hai da percorrere.  A Cristo buon Pastore, stella del mattino che spunta nei nostri cuori, a Cristo, sommo ed eterno sacerdote, noi, che non meritiamo niente, chiediamo umilmente che effonda il suo Spirito Paraclito sul diacono Alberto e lo renda per sempre sacerdote della Nuova Alleanza. Il Signore regna, Dio di tutta la terra!

 

 

 

 

ALLA FINE:

Don Alberto, sacerdote di Cristo in eterno, già dai prossimi giorni sarà presbitero coadiutore in Diocesi dove c’è maggiore necessità e secondo i possibili tempi che avrà a disposizione qui da noi. Vedrò insieme a lui e consultando nella parrocchia interessata. Infatti continuerà gli studi presso la Pontificia Università Lateranense per la licenza in filosofia: nel giro di un anno, dopo il baccellierato in Teologia a Potenza, ha conseguito con successo il Baccellierato in Filosofia a Roma, con sede nel rinomato Seminario Lombardo in Urbe, che gentilmente provvederà all’esercizio del presbiterato in una parrocchia romana, specialmente il sabato e la domenica. Giorni fa è stato approvato nell’esame per il servizio nel sacramento della Penitenza presso un sacerdote teologo da me incaricato e quindi dal giorno di domani concedo a lui la facoltà di ascoltare le confessioni e di impartire l’assoluzione.  Caro don Alberto, ricorda il sacro canone 978: Il sacerdote nell’ascoltare le confessioni svolge un compito ad un tempo di giudice e di medico, è stato costituito da Dio ministro contemporaneamente della divina giustizia e misericordia, così da provvedere all’onore divino e alla salvezza delle anime. In quanto ministro della Chiesa nell’amministrazione del sacramento aderisci fedelmente alla dottrina del Magistero e alle norme date dalla competente autorità. Forza don Alberto! E’ bello per noi stare con il Signore, sia sul monte che a valle. Prega sempre così: Signore, salva me e i fratelli e le sorelle che mi affidi, in questo ventunesimo secolo che vuole emarginare e finanche rifiutare il Vangelo di Cristo e l’insegnamento e la vita della Chiesa. Forza don Alberto! Deo gratias!