OMELIA PER L’APERTURA DEL SINODO DIOCESANO

16-10-2021

ARCIDIOCESI DI ACERENZA

Sinodo diocesano 2021-22

OMELIA

16 ott. 21

OMELIA PER L’APERTURA DEL SINODO DIOCESANO

primi vespri domenicali

 

Carissimi fratelli e sorelle, cari Membri ufficiali del Sinodo Diocesano e del Cammino sinodale, come inteso dal Sommo Pontefice papa Francesco, delle Indicazioni della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, nonché dalla Conferenza Episcopale Italiana e dalle disposizioni diocesane.  Carissimi Sinodali, fedeli del clero, dei consacrati e dei laici, nella nostra Arcidiocesi di Acerenza abbiamo subito accolto la proposta di questo impegnativo ed esaltante Sinodo che, prendendo avvio consultivo “dal basso”, ci condurrà per un quinquennio fino all’Anno Santo del 2025.  Saluto anche la Curia e Segreteria che curano l’organizzazione dell’assise sinodale acheruntina e il cammino nelle varie comunità parrocchiali e altri ambiti pastorali connessi, nonché i rapporti con la Conferenza Episcopale Italiana e la Segreteria Generale del Sinodo. Pace e gioia nel Signore a tutti, giovani e adulti, uomini e donne, cittadini e autorità civili. Il Cristo ci doni grazia, Lui che è disceso dal cielo e si è messo in cammino con noi, in sinodo, come compagno di viaggio per ascoltarci, risollevarci, curare le nostre ferite e portarci come buon Pastore, sulle sue spalle alla locanda sicura, pagando di persona.

Miei cari, nella prima lettura, il profeta Isaia ci presenta il Messia prostrato con dolori, come offerta in sacrificio di riparazione, ma dopo il suo intimo tormento vedrà la luce, sazio della conoscenza del Signore, lui il Servo giusto che giustifica molti, lui che si addossa le nostre iniquità ( cfr Is 53, 10-11)Miei cari, non è il Sinodo anche un cammino di penitenza, di conversione e di riconciliazione? La situazione è difficile e da noi provocata nel mondo, nella società, nella famiglia, nella Chiesa, in noi stessi. Il peccato di tutti e di ciascuno ha scavato un abisso che solo il Cristo, che è via, verità e vita, può colmare con il suo amore che si sacrifica nel mistero della Croce e continua a perpetuarsi nel mistero dell’Altare, quel mistero che tutta l’Italia si sta preparando a celebrare nel Congresso Eucaristico, nella nostra Basilicata, a Matera, tra un anno. Prepariamoci.  “Adsumus Sancte Spiritus. Siamo davanti a Te, Spirito Santo, mentre ci riuniamo nel tuo Nome”. Solo così un Sinodo Diocesano e un Cammino sinodale potranno avere profondità e frutto, se c’è  il Divino Amore, con la speranza che non delude mai.

L’Autore sacro della lettera agli Ebrei, nel brano proclamato, ci invita a mettere al centro del Sinodo Gesù, Figlio di Dio, Sommo Sacerdote, che messo alla prova nella debolezza, escluso il peccato, adesso ha attraversato i cieli fino al trono della grazia (cfr Ebr 4,14-16). Facciamo Sinodo accostandoci a lui per ottenere misericordia e aiuto in questo cammino insieme, che non è un ritrovo per occupare tempo e poi rientrare di nuovo nel quotidiano senza entusiasmo e timorosi di futuro, ma invece, come ha affermato papa Francesco, domenica 10 ottobre scorso, commentando l’episodio del ricco che non accetta di seguire Cristo per ereditare la vita eterna, l’assemblea sinodale è momento esperienziale di incontro con lui, ascolto e discernimento. Ogni esperienza cristiana, se vuol essere vera ed efficace, deve essere sempre un incontro con Cristo. Noi lo ascoltiamo e lui ci ascolta, poi discerne e ci fa discernere ciò che manca di essenziale per la nostra felicità, ci propone il cammino con lui e insieme agli altri discepoli, ci propone di essere Chiesa, convocati per essere in sinodo permanente lungo le vie della storia.

Attenzione al brano del Vangelo secondo Marco, il lieto annuncio di questa domenica, in questo mese di ottobre particolarmente dedicato alla preghiera e alla cooperazione missionaria tra le comunità ecclesiali (cfr Mc 10, 35-45). Fare sinodo con Gesù non significa fare a gara per il primo posto come capita ai figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, che pure erano impegnati e zelanti, tanto da essere definiti dal maestro i boanèrghes, i figli del tuono, gli impetuosi. C’è in loro infatti l’ambizione del potere, del voler essere considerati i migliori. Questa brama falsifica l’incontro e il cammino con Gesù. Infatti si rifiutano di fare synodòs, vogliono camminare da soli con i loro pensieri, progetti, desideri, illusioni e delusioni. Chiedono a Gesù di non camminare insieme, ma di prendere loro il comando, uno alla sua destra e l’altro alla sua sinistra.  Si notano in loro quei rischi che papa Francesco denunciava nella riflessione sul Sinodo, una settimana fa. L’elitarismo, o clericalismo, di molti fedeli, di coloro cioè che si sentono così sicuri e preparati da pensare se stessi superiori agli altri che si possono manipolare, plagiare e asservire, al contrario in questo Sinodo siamo chiamati a riscoprire la Chiesa come comunione. L’intellettualismo, nel senso che molti nella Chiesa ritengono con arroganza che la fede è solo per addetti ai lavori, per quelli che hanno capito tutto, gli illuminati, e gli altri devono solo recepire, se ci riescono, ed eseguire, invece il Sinodo ecclesiale ci richiama alla partecipazione. Il Papa ha messo in evidenza anche il rischio del formalismo e dell’immobilismo, nel senso che molti non vogliono procedere, andare avanti, ancorati al “si è sempre fatto così”, a stare fermi e adempiere al minimo di formalità e poi basta. Si è occupati in altri pensieri, altri interessi, altre scelte, cosicché la parrocchia è ferma, la Diocesi è ferma, le comunità religiose e le aggregazioni laicali sono ferme, la Chiesa ferma, la società ferma, la Basilicata ferma: il contrario di essere in sinodo. La fede è ferma, nel senso di vera, ma la strada invece è lunga e non bisogna fermarsi! Il Sinodo ci chiama alla missione. Bisogna bere il calice di Cristo, essere battezzati nel suo battesimo di croce. In Sinodo si cammina in salita, anche verso il Calvario, ma poi anche verso il giardino della risurrezione e il cenacolo della Pentecoste.

Singolare anche la reazione degli altri Apostoli, che registra l’odierno Vangelo domenicale: l’indignazione, il disappunto, le critiche, la gelosia. Anche loro sono così bloccati dall’immobilismo dei due, tanto da fermarsi anche loro e, presi dalla rabbia, non continuano più il cammino. Gesù interviene e chiama tutti, di nuovo. Bisogna rinnovare la vocazione lungo il Sinodo, compagni di viaggio che ricominciano ad ascoltarsi e a non isolarsi nell’egocentrismo. Ma è Gesù che, richiamandoli di nuovo, fa ricordare l’inizio del loro sinodo, quando sulle rive del lago lasciarono le reti e i familiari e lo seguirono.

Tra di voi però non è così” (Mc 10, 43). Non si tratta di comandare, ma di servire, ascoltando e obbedendo, prendendo l’ultimo posto: non il dominio e l’oppressione. Anche nella nostra comunità diocesana si sono acuite le tentazioni del primeggiare, di trovare delle soluzioni comode, di attardarsi nelle lamentele e nei risentimenti: parlo di tutti, chierici e laici, e ovviamente anche di me stesso. Sì, certo che bisogna aspirare a diventare i più grandi, ma da servitori.  Certo che bisogna essere i primi, ma diventando schiavi di tutti. E’ perché nel Vangelo ci si chiede questo sinodo di umiltà e servizio, il sinodo più difficile. Perché lui, il Figlio dell’uomo, non è venuto per essere servito, ma per servire e dare al sua vita per molti. Il Sinodo, ha affermato il Papa, deve essere un processo di guarigione, dalla nostra volontà di potenza.

Miei cari, se il Sinodo Diocesano e il Cammino sinodale di tutta la Chiesa cattolica non parte dal Vangelo di questa domenica, e pare fatto di proposito, non approderà a nulla, anzi penso che naufragherà lungo la malferma navigazione. Nella nostra Arcidiocesi il Cammino sinodale, specie nei gruppi parrocchiali di base, avrà grande attenzione alle famiglie nella loro completezza, anche ferita e problematica, e all’interno di esse alle giovani generazioni, ma anche ai nostri fratelli e alle nostre sorelle numerosissimi che, pur dicendosi cattolici, per tanti motivi si sentono e vivono ai margini delle comunità parrocchiali, senza dimenticare i fedeli consiglieri, collaboratori, consacrati e membri di aggregazioni laicali. Con tutti, pronti all’ascolto e all’accoglienza dei più disagiati e dei più poveri, in ogni aspetto.

Abbiamo ascoltato bene il pensiero del grande pastore e dottore della Chiesa, Agostino di Ippona. La comunione è la strada sinodale da perseguire. Solo la comunione vera con Cristo e tra di noi, nell’essere ognuno a servizio dell’altro, può far nascere la umile partecipazione e la autentica missione. Contro ogni divisione e superbia. I Documenti per il Cammino sinodale citano proprio un’espressione toccante di S. Agostino, colui che si senti sì pastore per il suo popolo, ma anche cristiano con gli altri cristiani. C’è, dunque, nel Documento preparatorio del Sinodo l’espressione agostiniana che riferendosi alla comunione nella Chiesa la definisce concordissima fidei conspiratio, quasi intraducibile. La fede della Chiesa è l’unione del cuore e del respiro, del respiro, nel Respiro di Dio, il suo Spirito.

Buon cammino, cari presbiteri e diaconi, buon cammino care suore, buon cammino cari fedeli laici. Maria SS. assunta in cielo, che risplende sul nostro cammino segno di consolazione e di sicura speranza, regina e madre della Chiesa in missione, invocata ovunque con la preghiera del rosario, ci indica la Via, Gesù Cristo: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela!” (Gv 2,5), comandò a Cana di Galilea, presentando il Figlio, lo Sposo. Siamo sicuri che S. Canio, vescovo martire patrono celeste dell’Arcidiocesi e i santi Martiri acheruntini Mariano e Laviero, S. Rocco, S. Giovanni Paolo II, di cui ricordiamo il trentennale della sua visita in Basilicata, S. Gerardo Maiella, patrono della Regione di cui oggi si celebra la festa, non ci lasceranno soli lungo il nostro pellegrinaggio sinodale.

Con Papa Francesco allora invochiamo: “Vieni, Spirito Santo d’amore, apri i nostri cuori all’ascolto. Vieni, Spirito di santità, rinnova il santo Popolo fedele di Dio. Vieni, Spirito Creatore, fai nuova la faccia della terra. Amen”.

 

 

+ Francesco Sirufo

Arcivescovo