Omelia per la professione perpetua di suor Alice, 5 agosto 2020, Anzi

05-08-2020

Omelia per la professione perpetua di suor Alice, 5 agosto 2020, Anzi

Carissimi fratelli e sorelle, caro parroco don Nicola e collaboratore don Cesare, caro mons. Domenico Venezia, vicario episcopale per la vita consacrata e fratelli sacerdoti convenuti, specie del settore diocesano per la vita consacrata e della zona unità pastorale della Camastra, carissima suor Alice Ndizeye, pronta per la professione perpetua, e consorelle dell’Istituto di S. Bernardetta del Burundi, stimate autorità presenti, rivolgo a voi tutti un saluto di pace e di fede.

Non capita di frequente la partecipazione all’ascolto della parola di Dio e alla santa Eucaristia per pregare per una sorella che emette i voti solenni e perpetui di povertà, castità e obbedienza: suor Alice è qui davanti a suor Odette, delegata della Madre generale suor Daphrose Ndababarire, e a me Vescovo diocesano.

Abbiamo ascoltato la lettura del profeta Isaia: Dio onnipotente conclude con il suo popolo un’alleanza eterna, un popolo di stirpe famosa fra le genti, di stirpe benedetta dal Signore. Il suo popolo è oggi la Chiesa e suor Alice pronuncia il suo sì definitivo alla sequela di Cristo nella Chiesa, anzi rappresenta la Chiesa che dice sì al suo unico sposo, il Cristo. Ed ecco il cantico di lode che il profeta innalza a Dio a nome del popolo santo e di ciascun fedele. C’è gioia piena, c’è esultanza dell’anima, poiché il Signore Dio ama il suo popolo, lo libera, lo salva. Il profeta presenta questo amore fedele tra Dio e il suo popolo come un legame nuziale, una festa di nozze, in cui lo sposo e la sposa si adornano di vesti e mantelli preziosi, che sono la salvezza e alla giustizia. Si evoca il diadema dello sposo e i gioielli della sposa, ma si tratta della fedeltà all’alleanza e l’amore indefettibile di Dio. Una donna, una suora che emette i voti secondo i consigli evangelici e secondo le legge della Chiesa e le Costituzioni dell’Istituto, si adorna di gioielli per lo sposo Cristo che ha il diadema sul capo: suor Alice i gioielli sono la povertà, nel senso che l’unica tua ricchezza è il Signore, sono la castità, nel senso che sei consacrata totalmente a Cristo, sono l’obbedienza nel senso che ti fai serva di tutti seguendo la via della croce del Signore. Infatti Il diadema dello sposo Cristo è la sua corona di spine che una suora adora come emblema della vera regalità di Gesù. Così la tua vita, come quella delle consorelle, è come la terra che produce germogli, come un giardino che fiorisce, che fruttifica in maniera abbondante e generosa, ma è opera del Signore Dio, afferma il profeta Isaia, è lui che fa germogliare la giustizia e la lode davanti a tutti i popoli (cfr Is 61,9-11).

Questo cantico è stato ripreso dalla santa vergine Maria nel Magnificat (Lc 1,46-47)): è bene ricordarlo oggi in cui si festeggia la dedicazione della basilica di S. Maria Maggiore, la Madonna della Neve. Per tale motivo avete scelto questo giorno mariano, dato che la vostra fondatrice, suor Maria Nestor Nzisabira, volle dedicare l’Istituto di vita consacrata alla Vergine immacolata di Lourdes e alla sua discepola umile S. Bernadette Soubirous. La vergine Maria, consacrata totalmente al Signore ti sia sempre di guida e di esempio, come per tutte le tue consorelle, tra cui oggi suor Concessa e la delegata suor Odette che compiono 30 anni di consacrazione e suor Rosette che compie 20 anni. La preghiera della Madonna e la sua intercessione accompagni te e tutte le suore di S. Bernardetta del Burundi nel vostro cammino di contemplazione e di missione.

Ma perché suor Alice compie questo gesto? Perché le suore clarisse di Potenza, che ho visitato proprio ieri, vivono questa donazione totale? Che cosa o Chi spinge le suore delle ormai undici comunità dell’arcidiocesi di Acerenza e del mondo? Che vocazione può essere? E perché, proprio nel nostro tempo indifferente e falsamente sazio, un tale gesto che sembra folle o inutile? Ogni risposta e spiegazione umana risulta vana. Quando il gesto è sincero trova l’unica spiegazione nella parola di Dio.

L’apostolo Giovanni ci viene incontro con la sua prima lettera che abbiamo annunciato: è questione di amore, l’amore di Dio, perché Dio è Amore. Questo amore immenso si rivela nel fatto che ha mandato nel mondo il suo Figlio, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. La lettera dell’Apostolo ci ricorda che non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ci ha amati mandando il suo Figlio a salvarci (cfr 1Gv 4, 7-10). Suor Alice, non siamo stati noi, non sei stata tu, ma Lui ci ha conosciuti e ci ha chiamati a condividere la potenza dell’annuncio del Vangelo e del servizio ai fratelli. Dalla cara Africa tu sei qui nella nostra arcidiocesi di Acerenza, nella parrocchia di S. Donato vescovo e martire. Porti il carisma del tuo Istituto e l’idea predominante della Fondatrice: la vita comunitaria e l’amore ai piccoli del Vangelo, cioè quei bambini, ragazzi, giovani, anziani, che sono lo scarto della società, come dice papa Francesco.

Dall’amore di Dio scaturisce l’amore fraterno. La vita religiosa permette e esige che l’amore di Dio sia offerto agli altri, prima di tutto alla comunità di consacrati in cui si è inseriti: non si può amare i poveri e gli emarginati, se non si è capaci di servire e di accogliere giorno per giorno i fratelli e le sorelle della propria comunità e gli altri dell’intero Istituto. Abbiamo ascoltato: “Se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi” (1Gv 4, 11). Una religiosa, come anche un religioso, dimostra realmente di vivere i voti di povertà, castità e obbedienza se ama umilmente e sinceramente i membri della sua comunità di consacrati, solo così potrà avere allenamento e grazia divina per amare il prossimo ulteriore. Questo verso della S. Scrittura mi ricorda il decreto conciliare Perfectae caritatis sul rinnovamento della vita religiosa, del 28 ottobre 1965, al numero 1, che afferma, sulla scorta della costituzione Lumen gentium, che “il raggiungimento della carità perfetta per mezzo dei consigli evangelici trae origine dalla dottrina e dagli esempi del divino Maestro ed appare come un segno eccellente del regno dei cieli”. Il Decreto continua affermando che nella Chiesa gli uomini e le donne che, per mezzo della pratica dei consigli evangelici, vogliono seguire Cristo e con maggiore libertà imitarlo più da vicino e conducono, ciascuno a loro modo, una vita consacrata a Dio, agiscono sotto l’impulso dello Spirito Santo. Si è sviluppata così, afferma il Concilio Vaticano II nel medesimo Decreto, una meravigliosa varietà di comunità religiose che ha contribuito a che la Chiesa sia atta ad ogni opera buona, preparata al suo ministero per l’edificazione del Corpo di Cristo e appaia come sua sposa adornata per il suo sposo per manifestare la multiforme sapienza di Dio (cfr PC 1).

La prima lettera dell’apostolo Giovanni lo dichiara apertamente riguardo a Dio: noi rimaniamo in lui ed egli in noi perché ci ha donato lo Spirito Santo. Suor Alice e tutte voi consacrate, e voi altri fedeli, la consacrazione è nel battesimo e nella confermazione, nutriti dall’Eucaristia e pentiti nella riconciliazione, poi tutto diventa frutto, compresa la consacrazione verginale nella povertà e nell’obbedienza. Dio è amore afferma l’apostolo Giovanni, nel culmine della rivelazione del Nuovo Testamento, a noi riconoscerlo e crederlo, che significa, in endiadi, amarlo. Cari fedeli, questo poi diventa kerigma, ossia annuncio e testimonianza che Gesù è il Figlio di Dio e il Padre lo ha mandato per la salvezza del mondo. La vocazione religiosa è inserita totalmente in questa dinamica divina e cristiana: suor Alice emette, come tante sue consorelle, i voti perpetui per unirsi a Cristo indefettibilmente e testimoniare la fede, la speranza e la carità a suo nome.

In questo giorno in cui si fa memoria della dedicazione della basilica mariana, edificata sul terreno dell’Esquilino da papa Liberio, per commemorare nei secoli il concilio di Efeso che aveva solennemente dichiarato la SS. Vergine Maria, Madre di Dio, ossia Madre di Cristo vero Dio, mentre secondo la tradizione su quel terreno vi aveva nevicato proprio in agosto; in questo giorno, già anteprima della festa della Trasfigurazione del Signore e della novena dell’Assunta, in cui tutti i cattolici guardano a Roma e implorano la Madonna Salus populi romani, già antivigilia della festa del patrono di Anzi il glorioso S. Donato, anche noi ci mettiamo in ascolto del Vangelo proclamato. Una donna, che si fa nostra voce, di fronte alla santissima bellezza di Cristo esclama con a noi nota espressione mediterranea: “Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato” (Lc 11,27). E’ una lode a Lui e alla sua Madre, all’opera dell’incarnazione e della redenzione. Cristo arricchisce ancora e specifica l’esclamazione della donna della folla: la beatitudine di Maria, sua Madre, non è soltanto perché lo ha generato nella carne, ma ancor di più beata perché, ha ascoltato la parola di Dio e l’ha osservata (Lc 11,28). Chi ascolta e pratica la parola, la volontà del Padre, genera Cristo nella sua vita e nella vita degli altri. Suor Alice, Suore dell’istituto di S. Bernardetta del Burundi, sacerdoti fratelli, cari cristiani laici, così è e così si fa.