Omelia III Domenica di Avvento

Festa della Provincia salernitano - lucana dell'Ordine Francescano
10-12-2016

10 dicembre 2016, Frati Minori, S. Maria del Sepolcro, Potenza, festa della provincia salernitano-lucana dell’Immacolata, nel ricordo del Beato Egidio da Laurenzana. Omelia, S. Messa vigiliare della III Domenica di Avvento

Carissimi fratelli e sorelle, saluto i rev.mi Frati Minori con il padre guardiano fra Lucio Calabrese e gli altri Padri della comunità, a distanza saluto le rev.de sorelle Monache Clarisse con la badessa madre Bernardetta , saluto i cari fratelli sacerdoti, i cari convegnisti e convenuti da Laurenzana, gli stimati membri dell’OFS. Porgo un saluto fraterno e deferente all’Arcivescovo metropolita S.E.R. Mons. Salvatore Ligorio. Un saluto al padre provinciale fra Giuseppe Iandiorio, ai postulanti e ai professi temporanei, all’amministratore parrocchiale di Laurenzana don Gaetano Corbo, al prof. don Domenico Beneventi, studioso del Beato.

Con gioia in questa domenica Gaudete, in qualità di arcivescovo di Acerenza, partecipo e intervengo alla giornata di festa e di riflessione sul beato Egidio da Laurenzana, a circa un anno precedente dal V centenario del suo dies natalis. Mi congratulo con la provincia salernitano-lucana dei Frati Minori per aver organizzato questa giornata di Avvento sulla figura e l’esempio dell’umile fraticello francescano di Laurenzana, mai dimenticato nel suo paese natio e in tante comunità cristiane della Basilicata.

In questa III domenica del tempo liturgico d’Avvento risuona la gioia e la speranza: “Vieni a salvarci, Signore!”. Il profeta Isaia esorta il deserto e la terra arida a rallegrarsi, la steppa a rifiorire, perché vedranno la gloria del Signore, la magnificenza di Dio. La profezia non si riferisce solo ai luoghi geografici, che pur vedranno eremita Giovanni Battista e lo stesso Signore Gesù, ma ancor più precisamente si riferisce al deserto e alla steppa arida della nostra anima e del nostro cuore smarrito, alla nostra vita dalle mani fiacche nella preghiera e nella carità verso il prossimo, alle nostre ginocchia vacillanti nel cammino della fede. “Coraggio, non temete!”, dice il profeta. Viene la salvezza. Ci sarà un sentiero, una strada, una via santa. Domenica della gioia e del giubilo: Gesù Cristo è la via, la verità e la vita. Gesù Cristo è la luce del mondo: chi segue lui non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita.

Nel vangelo di Matteo appena proclamato vediamo come Giovanni dal carcere, ormai pronto per il martirio, manda i suoi discepoli in ambasceria presso Gesù per chiedere se è lui l’Avvento o bisogna attendere ancora, aspettare ancora altri. Cristo comanda di riferire quanto odono e vedono: i ciechi, gli zoppi, i sordi, i lebbrosi guariscono e ai poveri è annunciato il Vangelo. Erano i segni della venuta e della presenza del Messia previsti dai profeti. Lo stesso Isaia, lo abbiamo ascoltato, dice dei tempi messianici: “Allora si apriranno gli occhi dei ciechi, si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto”. Alle antiche parole si aggiunge di gran lunga la realizzazione. E non solo per i miracoli di guarigione dei corpi e delle membra doloranti dell’umanità, ma specialmente perché ai poveri è annunziato il Vangelo. Si, accogliendo il vangelo di Cristo, gli occhi si aprono alla sua divina potenza, gli orecchi si schiudono alla sua parola santa, le gambe si muovono per portare l’annuncio, la lingua grida in tutti gli idiomi la salvezza della sua Pasqua di morte e risurrezione. “Beato colui che non trova in me motivo di scandalo”, dice Gesù inviando la risposta a Giovanni in carcere. “Scandalo” in lingua greca significa “ostacolo”, beato quindi chi non vede Cristo come ostacolo al proprio io, alla propria autolatria, al proprio interesse egoistico e in fin dei conti alla propria violenza verso gli altri.

Beato il nostro fra Egidio da Laurenzana! Pose nel Signore ogni sua speranza, nella via di S. Francesco d’Assisi attese continuamente l’Avvento del Signore, adorò il mistero del primo avvento nel grembo dell’Immacolata e nel presepe di Betlemme, si preparò all’ultimo avvento con vita austera e penitente, visse permanentemente l’avvento del Signore nei suoi fratelli dell’Ordine e nei fratelli che incontrava, nell’umiltà e nella mitezza. Nel suo rifugio del convento di Laurenzana non visse come canna sbattuta dal vento, come uomo vestito di lusso nel palazzo di re. Il suo vento fu lo Spirito Santo, il suo vestito fu il saio francescano, il suo palazzo fu Cristo povero, casto e obbediente. Per la sua epoca e anche per noi, poiché i santi sono sempre attuali, fu un profeta come Giovanni Battista nel preparare la via del Signore per se e per gli altri.

Ogni cristiano è chiamato ad essere un Giovanni, un precursore, un messaggero di Cristo: lo esige il battesimo, lo rafforza la cresima, lo nutre l’Eucaristia. Tutti, sacri ministri, religiose e religiose, cristiani laici, tutti siamo chiamati alla beatitudine del Vangelo odierno: non bisogna trattare Cristo come un ostacolo, ma invece come via sicura e sentiero luminoso per essere condotti al Padre. D’altronde è Cristo l’unico che è venuto, viene e verrà: non dobbiamo aspettare altri. L’umanità si illude continuamente di attendere altri messia, altri salvatori, altri profeti, altre guide. Lo vediamo nella storia umana quante attese nei riguardi di uomini, filosofie, politiche, correnti culturali, ideologie, come si sono rivelate tiranniche tutte quelle risposte e portatrici di distruzione e morte. Non deve venire più nessuno. E’ già venuta tutta la verità, tutta la gioia: a noi solo l’umiltà di rinnegare noi stessi, prendere la nostra croce e seguirlo. E se deve venire Qualcuno, si tratta del ritorno, della Parusia, della venuta definitiva del Signore per giudicare i vivi e i morti e il suo regno non avrà fine.

L’umile fraticello di Laurenzana: lo vediamo lieto e forte, davanti al suo convento, con i contadini e gli operai, con i poveri e i ricchi, con i bambini e gli adulti, con il suo Gesù e il Padre. Sazio di mitezza, sazio della parola di Dio, sazio della letizia francescana. Non attende nessun altro Messia, perché ha già tutto nel suo Cristo, mite e umile di cuore. “Il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di Giovanni Battista, che pur è il più grande fra nati di donna”, afferma il divino Maestro nel Vangelo di oggi. Chi si fa piccolo è il più grande davanti a Cristo, perché lui Gesù si è fatto il più piccolo nella mangiatoia di Betlemme, sul calvario e sulla Croce, sempre nascosto nei più piccoli e nei più poveri del mondo.

Il nostro caro frate Egidio proprio perché desiderava essere grande nel regno dei cieli si è fatto piccolissimo fra i regni di questa terra. In un epoca difficile per la Chiesa e la società fu un vero riformatore, che non mette al centro la propria idea, ma la freschezza e sincerità del Vangelo, riformando per prima la propria vita. Con la costanza cristiana che ci ricorda la lettera di s. Giacomo apostolo, proposta oggi dalla Chiesa, il Beato Egidio si comportò come vero agricoltore dell’anima e coltivò la sua vita e quella degli altri raccogliendo a suo tempo il prezioso frutto.

Chiediamo per sua intercessione, e di S. Francesco e di S. Chiara d’Assisi , la costanza e la perseveranza cristiana, per rinfrancare i nostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina. Evitiamo di lamentarci gli uni degli altri, ci esorta l’apostolo Giacomo, prendendo a modello di sopportazione e di costanza coloro che parlarono nel nome del Signore. O caro Frate Egidio parlaci ancora nel nome del Signore, continua a mostrarci il volto misericordioso di Cristo, fa che possiamo sperimentare anche noi il fuoco d’amore dello Spirito Santo, guidaci sulla via sicura del Vangelo.