Omelia Giovedì Santo 2021

01-04-2021

Omelia Giovedì Santo 2021

Carissimi fratelli e sorelle, cari sacerdoti concelebranti, tra i quali il parroco e i canonici, cari diaconi, cari fedeli laici che vi fate lavare i piedi dal nostro servizio sacerdotale, di vescovi e di presbiteri, e dal servizio dei diaconi, voi che vi nutriti alla Mensa eucaristica del Corpo di Cristo, istituito nella Cena, sacrificato sulla Croce e risorto dal Sepolcro, voi che così poi testimoniate la carità di Cristo nelle pieghe del vivere quotidiano, anche durante gravi situazioni sociali e incombenti epidemie globali, a voi tutti salute e pace nel Signore.

Adesso ancora una volta, all’inizio del Triduo Santo, Cristo ci ha convocati per servirci con il suo amore, per lavarci i piedi, lui come servo e noi come padroni. Offrendo il suo Corpo e il suo Sangue, ci dona la grazia di fare come lui, che, da Maestro e Signore, ci dimostra la sua sovranità e la sua signoria, il suo munus regendi, inginocchiandosi davanti a noi, cingendosi il grembiule e tendere le sue mani per lavare nel catino i nostri piedi stanchi per il pellegrinaggio terreno: piedi lacerati da terreni aridi, polverosi, con sterpi spinosi e pietre aguzze, che ci fanno sanguinare. A volte piedi che hanno percorso vie tortuose nel peccato e nell’infedeltà alla sua alleanza e salvezza. Piedi che a volte sono crocifissi con i piedi del Maestro nella sofferenza, nella violenza subìta, nella persecuzione e nell’angoscia. Siamo qui da battezzati, lavati nel lavacro di rigenerazione, per esclamare, dopo la resistenza imbarazzata, con l’apostolo Pietro: “Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo” (Gv 13,9).

Dio fa così. Ci ha servito creandoci alla vita e donandoci l’universo. Ci ha servito quando ha scelto un popolo per preparare la sua venuta, liberandolo dalla morte e dalla schiavitù e donandogli la libertà dei Comandamenti. Ci ha servito quando ha mandato il suo Figlio eterno, che si è incarnato nel seno della Vergine Maria, e ha scelto Giuseppe come suo custode. Il Figlio ci ha servito quando ci ha annunciato in parole e opere il regno di Dio. Ci ha servito quando innocente si è consegnato alla violenza e al tradimento umano nella condanna a morte, alla passione, alla sepoltura. Ci ha servito quando ha lasciato il sepolcro per farsi vedere e toccare, vivo e vivente per sempre. Ci ha servito istituendo con la sua Pasqua i sette Segni sacramentali, nella nuova ed eterna Alleanza. Ci ha servito mandando dal Padre lo Spirito Santo, fonte viva, fuoco, amore, santo crisma dell’anima. Ci ha servito facendo di noi la sua Chiesa a servizio di tutti i popoli per annunciare, celebrare e testimoniare il suo amore di Figlio e di Servo.

Le letture del Giovedì Santo insistono sul Cristo Agnello di Dio, anche il nuovo Messale romano insiste molto su Cristo Agnello di Dio, specie dalla Consacrazione alla Comunione. Dopo la triplice invocazione liturgica all’Agnello Cristo, affinché abbia pietà di noi e ci doni la pace, il sacerdote con l’ostensione della Vittima divina, Ostia in lingua latina, proclama: “Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo, beati gli invitati alla cena dell’Agnello!”. E l’assemblea dei fedeli risponde e prega: “O Signore non sono degno di partecipare alla tua mensa, di soltanto una parola e io sarò salvato!”.  Questo dialogo liturgico ci ricorda il passo della Sequenza pasquale: “Agnus redèmit oves”, l’Agnello ha salvato il gregge.

Agnello di Dio. Non sappiamo bene se questo appellativo biblico e cristologico, fondamentale per comprendere l’identità di Gesù Cristo, sia compreso oggi nella sua totalità: ritorniamo alla prima lettura di oggi, dal libro dell’Esodo. Quella notte in cui Dio mandò il suo angelo per colpire il popolo oppressore e pagano d’Egitto nei suoi primogeniti, tramite Mosè aveva comandato anche al suo popolo di immolare un agnello maschio, senza difetto, nato nell’anno. Con il suo sangue furono segnate le case degli Ebrei per essere salvati, mentre la carne sarebbe stata posta sul fuoco e consumata dalle famiglie in segno di comunione. Questo rito, del sacrificio del sangue e del cibo religioso, salvò il popolo dalla morte e poté partire per ottenere da Dio la legge di libertà. Era la Pesàch, la Pasqua, che significa proprio il passaggio dell’angelo di Dio e la salvezza ottenuta tramite il rito dell’agnello sacrificato e mangiato, che verrà comandato dal Signore come rito perenne.

Giovani Battista indicò e rivelò Gesù come Agnello di Dio e i suoi discepoli subito lo seguirono. L’antico rito dell’agnello innocente sacrificato era solo una grande e secolare preparazione profetica al sacrificio del Corpo e del Sangue versato da Cristo sulla croce e stabilito come sacramento eucaristico e sacerdotale nell’ultima Cena, sancito sulla Golgota e vivificato nello Spirito Santo con la sua gloriosa risurrezione. Agnello che quindi nell’Eucaristia ci parla e si offre di nuovo per noi, corpo spezzato per noi, calice per la nuova alleanza. Gesù comanderà di mangiare e bere il suo Corpo e Sangue e fare questo in sua memoria, affidando agli Apostoli l’autorità e l’identità di sacerdoti della nuova Alleanza. Memoria e memoriale, nella rivelazione biblica, non significa solo un ricordo simbolico, ma invece attualizzazione, presenza, della stessa azione che fu compiuta nel passato.

Ad ogni celebrazione eucaristica, ad ogni Messa si attualizza, cioè si ripresenta in forma sacramentale, reale ed efficace, per l’azione dello Spirito Santo, l’evento della croce per la salvezza di chi partecipa intensamente, riceve la Comunione, ed è pronto per la testimonianza di carità e servizio verso i fratelli e le sorelle.

L’Agnello Cristo viene offerto in olocausto, si offre al Padre, e si offre per essere consumato in pasto per i suoi amici radunati. La Chiesa ha sempre creduto e proclamato questo mysterium fidei, mistero della fede della presenza di Cristo sull’altare e nella custodia eucaristica, nell’attesa della sua venuta. È il centro della vita della Chiesa, di tutti i cristiani, della missione dei sacerdoti, del servizio dei diaconi, della vita di ogni fedele. E’ il mistero che i non cristiani e i non credenti sono chiamati a considerare, il mistero dell’incarnazione del Verbo di Dio, della sua presenza vera e reale nel mondo per salvarlo.

Mi sembra che il dipinto della nostra cattedrale, all’altare del Sacramento, ci voglia comunicare qualcosa di simile. Il valente artista lucano di circa quattro secoli fa, sotto il suggerimento teologico dei committenti ecclesiastici, ci presenta questo messaggio che ancora incuriosisce e stupisce, perfino studiosi e teologi odierni. È la Deposizione dalla croce: l’asse orizzontale è la mensa dell’ultima Cena, con al centro Gesù, con viso dolce e capo reclinato, al volto i luminosi raggi cruciformi della sua divinità e quindi della sua risurrezione. Avvicina la mano sinistra al suo cuore nell’atto di dire: “Venite a me voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro… imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero” (Mt 11,28-30). Con l’altra mano mostra il pane azzimo nell’atto di pronunciare: “Prendete, mangiate… Questo è il mio Corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me” (Mt 26,26; Lc 22,19). Circondato dagli Apostoli è l’Agnello che offre tutto se stesso per la salvezza dell’umanità. Dalla tavola eucaristica si diparte nel dipinto di Acerenza l’asse verticale della croce, con un rivolo di sangue che sgorga dal foro del chiodo che ha trafitto i piedi di Gesù. Si presenta la scena più grande sottostante.

Nicodemo e Giuseppe di Arimatea sono raffigurati tra dolore e sgomento, Maria di Cleofa e l’altra Maria, costernate nel dolore consolano la Madre, il corpo pallido e scheletrico di Gesù morto al centro in basso sostenuto e adorato da Giovanni apostolo e da Maria Maddalena, al centro la Madre addolorata, che quasi svenuta, mostra il Figlio. Cosa ci vuole comunicare questa opera sorprendente: la Chiesa-Maria che dice “Ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo”, avviene nel dolore e nella speranza, nella certezza che non c’è solo la morte, ma la serenità del Corpo di Cristo, bianco come l’Azzimo soprastante, prepara il sepolcro vuoto, la visione del Risorto e l’Eucaristia, che sarà rito perenne celebrato nella cattedrale e custodito al tabernacolo. La Madre addolorata e il Figlio, che tutto bene ha compiuto, sono circondati da quattro giovani figure, Giovanni e le tre Marie, affranti e sereni ad un tempo, con chiome fluenti protesi verso il futuro del Risorto. Vorrei così i nostri giovani figli, forti, seri e coraggiosi, mentre abbracciano Cristo e la Madre Maria nella loro vita.

Fratelli e sorelle, pentiti e convertiti, riconciliati con il frequente sacramento della Penitenza o Confessione, partecipiamo, annunciamo la sua morte, proclamiamo la sua risurrezione, nell’attesa della sua venuta, ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo a questo calice. Solo se noi gregge ci facciamo salvare dal vero Agnello di Dio, se ci facciamo perdonare da lui, se mangiamo il suo Corpo e beviamo il suo Sangue, noi avremo la forza di lavare i piedi ai nostri fratelli, anche quelli a cui non vorremmo. Solo così potremo essere anche noi agnelli di sacrificio e offerta gradita per la pace e la salvezza del gregge del Signore. Non ci può essere vita dei battezzati e cresimati senza l’Eucaristia. Con il battesimo nasci ed entri nella Chiesa, con l’Eucaristia ti nutri e ci cresci.

Tu ci hai redento con la tua morte e risurrezione: salvaci, o Salvatore del mondo.