Omelia Giovedì Santo 2020

09-04-2020

Omelia. Giovedì Santo 2020. Teletrasmessa.

Cari fratelli e sorelle telespettatori dell’arcidiocesi e della città di Acerenza, reverendi e stimati fratelli sacerdoti, popolo di Dio, battezzati e nutriti dal Corpo Santissimo di Cristo. Signor Sindaco di Acerenza, a rappresentanza della cittadina. Abbiamo dovuto rinviare la S. Messa del Crisma, sempre tanto partecipata dalle parrocchie e dai collaboratori parrocchiali, a causa delle restrizioni dovuto al pericolo del contagio. Stasera celebriamo, dalla nostra cattedrale, la S. Messa della Cena del Signore e ci introduciamo totalmente nel mistero che ripercorre liturgicamente il Triduo Santo. “Di null’altro mai ci glorieremo se non della croce di Gesù Cristo, nostro Signore: egli è la nostra salvezza, vita e risurrezione; per mezzo di lui siamo stati salvati e liberati”, si canta nell’antifona d’ingresso, citando l’apostolo S. Paolo nella lettera ai Galati (cfr. Gal 6,14).

Abbiamo ascoltato dal Vangelo di S. Giovanni che Gesù sapendo del suo passaggio da questo mondo al Padre, ci amo sino alla fine, cioè portò a compimento totale il suo amore per noi. È venuto da Dio e a Dio ritorna: e l’Ora, l’ora per cui è venuto nel mondo, per salvare il mondo: il Padre gli ha dato tutto nelle mani. “Dopo la cena”, dice il Vangelo. Ma cosa era accaduto durante la cena? C’era stata la cena pasquale con i suoi discepoli, lì a Gerusalemme, secondo le prescrizioni del libro dell’Esodo: l’agnello immolato, il calice del vino, il pane azzimo. Abbiamo ascoltato: un agnello maschio senza difetto doveva essere sacrificato, il suo sangue posto sugli stipiti delle porte, perché durante il passaggio, la Pasqua del Signore, dovevano essere risparmiate le case degli Ebrei e non essere colpiti i loro primogeniti; il calice del vino, segno di gioia e di libertà, il pane non lievitato per ricordare la fuga dalla schiavitù. Ma Gesù, come capo della sua famiglia, aveva preso il pane e aveva detto: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”, e poi, preso il calice, aveva aggiunto: “Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me” (1Cor 11, 23-25). Lo abbiamo ascoltato nella seconda lettura, la prima lettera dell’apostolo Paolo ai Corinti: Cristo dà compimento perfetto e totale al rito della Pasqua antica e diventa veramente un rito perenne nel suo Corpo e nel suo Sangue offerto sulla croce e comandato alla sua Chiesa come memoriale per sempre: l’Eucaristia, la Messa. Cristo compie il sacrificio di lode e di ringraziamento, e il sacrificio di comunione per i suoi discepoli. Ci dice S. Paolo che “ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore in attesa che egli venga” (1Cor 11, 26).

L’apostolo S. Giovanni, nel suo Vangelo, al racconto della Santa Cena, che già avevano descritto gli altri tre evangelisti, aggiunge l’episodio della lavanda dei piedi. Quest’anno siamo impossibilitati alla rappresentazione liturgica con dodici fedeli, ma forse proprio per questo possiamo comprendere di più il suo significato. Gesù offrendo il suo Corpo e il suo Sangue sulla croce è il vero e unico definitivo Agnello di Dio, innocente e senza macchia che si sacrifica liberamente, prefigurato in quello dell’Esodo e della Pasqua di Israele. Ora finalmente c’è lui che ama fino in fondo, non c’è più niente da aggiungere. Nello stesso tempo fa partecipare i suoi al suo sacrificio facendoli entrare in comunione, mangiando e bevendo del suo corpo e del suo sangue, e li salva e li santifica. Il corpo offerto, il sangue versato, per salvare il mondo. Gesù si offre con tutta la sua persona, dopo la sepoltura risorgerà e sarà vita per sempre, per cui nella Eucaristia della Messa è lui presente realmente, veramente e sostanzialmente, crocifisso, risorto e vivo per sempre, datore di vita eterna a coloro che lo credono e lo seguono.

Con il gesto della lavanda dei piedi ai discepoli, come nota l’apostolo Giovanni, il Signore vuole spiegare ancora più chiaramente l’offerta di sé stesso al Padre per la salvezza dell’umanità. Lavare i piedi era il gesto dello schiavo nei confronti del padrone o dell’ospite del padrone. Ecco perché Pietro, confuso, imbarazzato, in un primo momento si rifiuta, poiché ne comprende tutta l’umiliazione, a cui si sottopone Gesù. Poi accetta, deciso e convinto dalla parola di Gesù: “Se non ti laverò, non avrai parte con me!” (Gv 13,8). C’è acqua nel catino, il pane e il vino è stato consumato, per avere parte con Cristo dobbiamo accettare il suo servizio d’amore totale e perenne, con il Battesimo e l’Eucaristia, che nei nostri confronti ripetono il suo sacrificio sulla croce, quindi la sua Pasqua.

Ma il gesto di Gesù rivela anche la dimensione del cristiano, del suo seguace: la vita nostra nella continua dimensione battesimale e pasquale che si dimostra in una testimonianza eucaristica. Nel battesimo di salvezza siamo invitate alla mensa delle nozze dell’Agnello e ci nutriamo del Corpo di Cristo, che ci dona la forza di servire i nostri fratelli come ha fatto lui. Lavare i piedi ai nostri fratelli e alle sorelle che ci sono accanto significa amare Dio con tutto noi stessi e amare chi ci è vicino come noi stessi, cioè donare la vita intera per amore. “Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni gli altri” (Gv 13,13-14). Cioè Il Signore comanda il servizio reciproco, come fa lui sempre: non è opzionale, è obbligatorio. Nella mistica Cena ha voluto istituire proprio questo, così sulla croce, così nella risurrezione, così nell’eucaristia, cosi nella vita, così per entrare nel suo regno.

Forse eravamo troppo abituati alla lavanda dei piedi rappresentata in chiesa, ci poteva sembrare che avendola riproposta con dodici persone avevamo concluso tutto, ci dimenticavamo che in effetti la lavanda dei piedi è la consacrazione eucaristica in cui Gesù si fa nostro servo e schiavo, per amarci veramente e nutrendoci con il suo sangue e la sua carne. Ci dimentichiamo troppo spesso che anche noi, nutriti da e di Lui, dobbiamo nutrire gli altri con il dono totale di noi stessi.

I sacerdoti, voluti nella Santa Cena, con il “fate questo in memoria di me”: sulla croce offrendosi al Padre istituì il sacerdozio regale comune a tutti, offrendosi per noi per salvarci istituì il sacerdozio ministeriale. Saluto ad uno ad uno i sacerdoti, specie i carissimi della nostra Arcidiocesi. In ogni parrocchia e comunità, tramite le loro mani, si perpetua sull’altare il dono di Cristo e nel cuore dei fedeli la comunione con lui. Grazie ai sacerdoti, vescovi e presbiteri, per la vostra vocazione e per la dedizione al servizio di Cristo e dei fratelli: in fondo ci ha chiamati a lavare i piedi, con Lui, verso gli altri battezzati e tramite la Chiesa al mondo intero. Siamo dispiaciuti in questo giovedì santo 2020 perché non possiamo celebrare i divini misteri con le comunità, la settimana santa con i fedeli riuniti numerosi; siamo addolorati perché, per evitare la diffusione del contagio, siamo impediti ad amministrare i sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia nella normalità liturgica. Non bastano le teletrasmissioni, che anzi potrebbero equivocare la realtà del sacramento come presenza fisica efficace. Il Signore ci ha permesso questa prova, da cui certamente vuole ricavare un desiderio più convinto e consapevole dell’Eucaristia da parte di tutti e un’attenzione più fedele e intima da parte dei sacerdoti. Dio, che ha permesso la prova, ci doni la grazia di comprenderne tutto il significato per noi credenti in lui.

Carissimi cristiani cattolici, che mangiate l’Agnello di Dio e bevete il suo sangue della nuova ed eterna alleanza, cari sacerdoti che vi siete consacrati all’altare, Gesù eucaristico è il tesoro più grande da celebrare, da ricevere, da adorare, da servire, da amare. Ce ne stiamo ricordando con più convinzione in questi lunghi giorni di lontananza forzata da Lui, ma certamente presente nella preghiera e con noi dovunque. Tutti sanno però che ogni sacerdote celebra la Messa per tutti e per ciascuno e che nei tabernacoli lui ci attende per la visita e l’adorazione, pur con le lecite precauzioni per rispetto dei fratelli: le chiese con la presenza eucaristica sono state sempre aperte ovunque. Oltre nelle pieghe della nostra vita, oltre la sua misteriosa presenza nei poveri e bisognosi, Cristo è sempre là realmente, durante la Messa sull’altare e nella comunione, nel tabernacolo sempre. Per continuare a lavarci i piedi, feriti e doloranti per il viaggio di questa vita, lui servo e noi padroni, graditi ospiti del suo cuore trafitto.