Omelia, festa della Traslazione di S. Canio, Cattedrale, 25 maggio 2018.

25-05-2018

Omelia, festa della Traslazione di S. Canio, Cattedrale, 25 maggio 2018.

Carissimi fedeli e devoti di S. Canio, reverendi Canonici e Sacerdoti concelebranti, tra i quali il presidente del capitolo, il parroco e i vicari, cari seminaristi, reverende Suore, illustri autorità civiche, tra i cui il signor sindaco di Acerenza dottor Fernando Scattone e il presidente della Provincia dottor Nicola Valluzzi, e i signori Sindaci del circondario convenuti per la solennità di S. Canio patrono della Città e dell’Arcidiocesi, stimate autorità di ordine pubblico e sicurezza sociale fra i quali il signor Capitano e il signor Maresciallo dell’Arma dei carabinieri, la Polizia municipale con il proprio Comandante. Saluto inoltre le autorità scolastiche e le organizzazioni culturali della Città, le parrocchie dell’Assunta e di S. Antonio dell’unità pastorale di Acerenza, il comitato festa di S. Canio.

Carissimi cristiani, dal nome antico come fummo chiamati per la prima volta ad Antiochia di Siria, cioè discepoli e seguaci di Cristo, uniti alla sua parola, ai suoi sacramenti, alla sua passione, alla sua Persona. Inviati nel mondo per essere suoi testimoni anche a costo della vita e per proclamare ovunque il kèrigma: “Gesù, il crocifisso, è morto e risorto, è vivo in mezzo a noi, è qui adesso! Gesù è il Signore, alleluia!”. Lo proclamavano i martiri dilaniati dalle fauci delle fiere, appesi alle croci, bruciati vivi, decapitati, fatti spettacolo cruento nelle arene. Lo proclamavano con coraggio e dolcezza, perdonando i carnefici nella certezza di giungere al più presto nella gloria di Cristo, nella vita eterna, al premio celeste. Questa la forza di S. Canio, vescovo e martire, nostro glorioso patrono presso il trono di Dio.

Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima” (Mt 10,28), abbiamo ascoltato dal Vangelo dell’apostolo Matteo. Il furore dei tiranni si fermava attonito di fronte alla parola dei martiri: “Tu torturi e uccidi il mio corpo, ma i tuoi arnesi di morte non possono uccidere la mia anima! Tu pensi di possedere e dominare tutto, ma non puoi toccare neppure per un istante la mia anima che appartiene a Dio. E se l’anima è libera e fedele in Cristo Signore, anche il corpo si salverà alla fine dei tempi, perche perfino i capelli del mio capo sono contati e conosciuti dal mio Signore che mi ha creato!”. Questi sono i pensieri e le convinzioni dei martiri di ieri e di oggi, che numerosi testimoniano il primato della coscienza e della persona di fronte ai poteri mondani e satanici che via via nei secoli si presentano all’orizzonte della storia. Quanti vescovi e sacerdoti, quanti missionari, quanti fedeli laici sono tuttora derisi, perseguitati, imprigionati, condannati a morte in molte parti del mondo: con la loro sofferenza manifestano eloquentemente la potenza di Cristo risorto, la Pentecoste dello Spirito di fortezza, l’amore della SS. Trinità. Sono i testimoni della chiamata alla santità per tutti i battezzati, sono gli uomini e le donne controcorrente, il popolo delle beatitudini evangeliche, come li ha definito papa Francesco nella recente Esortazione Apostolica Gaudete et exsultate, come è stato esposto nelle serate scorse nella predicazione della novena di S. Canio, guidata dai canonici e da altri presbiteri.

Abbiamo ascoltato dalla seconda lettura selezionata per questa festa, il brano della lettera di S. Paolo ai Colossesi. L’Apostolo è lieto delle sofferenze che sopporta per Cristo e continuano nella sua carne i patimenti del Signore a favore della Chiesa che è il suo corpo. Ecco delineata la convinzione del martire cristiano, del testimone di fede. La prova non è affrontata a malincuore, come ineluttabile fatalità a cui ci si piega con rassegnazione o disperazione, la difficoltà e la sofferenza per Cristo è accolta gioiosamente come partecipazione alla croce del Signore per la redenzione propria e altrui. Il testimone di Cristo sa che nel momento in cui versa il sangue e dona la vita edifica la Chiesa, per grazia del Signore. “Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio presso di voi: di realizzare la sua parola” (Col 1, 259, afferma S. Paolo. Il nostro protettore S. Canio ebbe chiarissimo questo messaggio: ministro e missionario di Dio nel sacerdozio e nell’episcopato, prima nell’Africa latina e poi nella Campania felix, veramente si sentì servo di tutti e pronto a lasciare tutto per l’annuncio del Vangelo. Ma come dice il testo paolino, per S. Canio, come per ogni ministro degno e attento, ministero e missione si condensano nella espressione “realizzare la sua parola”, la parola del Signore Gesù. Come in Cristo la parola era ed è realtà, così nel mandato della Chiesa la parola deve essere sempre realizzazione nel cuore umano: “E’ lui infatti che noi annunciamo …per rendere ciascuno perfetto in Cristo” (Col 1, 28). S. Paolo parla di fatica e lotta, ma sempre con la forza e la potenza che proviene dal Cristo. Nella vita del cristiano, a maggior ragione del sacro ministro, si sperimenta continuamente la fatica e la lotta spirituale, perché si formi Cristo in noi a beneficio dei fratelli e a maggior gloria di Dio.

  1. Canio vescovo e martire evangelizzatore: è un forte incoraggiamento per me vescovo a vostro servizio, una luce di consolazione per i presbiteri e i diaconi che qui in Acerenza e nelle parrocchie dell’Arcidiocesi servono le comunità cattoliche, una gioia per voi, cari fedeli laici, che nelle pieghe della vita e della società operate da battezzati in tutti i settori sapendo che non siete soli, ma la potenza e l’amore di Dio SS. Trinità agisce in voi, come in noi suoi ministri ordinati.

La prima lettura dal libro del profeta Isaia mi suggerisce, carissimi, il viaggio di S. Canio, la sua peregrinatio, sia a motivo della missione, sia a motivo dell’arresto operato dalle autorità pagane, nell’uno e nell’altro caso, fu per lui sentiero di pace, la pace di Cristo risorto. Ecco perché lo salutiamo con il testo biblico: “Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi che annunzia la pace, messaggero di bene che annunzia la salvezza, che dice a Sion ‘Regna il tuo Dio’” (Is 52, 7). I resoconto storici ci dicono che il viaggio di S. Canio messaggero di pace, non si fermò neppure al luogo del martirio nell’Atella romana di Campania, ma dopo alcuni secoli per divina provvidenza le sue reliquie giunsero ad Acerenza: fu una rinascita, fu un risorgere, come quando la storia di un popolo, di una città, si mette in movimento di nuovo. Romani, longobardi, bizantini, normanni, arabi mussulmani, si contesero con lotte sanguinose queste terre, l’arrivo delle reliquie di S. Canio portò lieto annuncio di pace, il Vangelo di Cristo, nostra pace e nostra misericordia. Attorno alla custodia dei sacri resti si ricostruì la cattedrale e la devozione del popolo, la cultura e la società. Le sentinelle dell’antica città alzarono grida di gioia, il popolo esultò con canti di letizia per la consolazione ottenuta dal Signore che aveva mostrato la potenza del suo braccio, tutti questi confini videro la salvezza del nostro Dio: la memoria del santo vescovo Canio fece risuonare la profezia di bene: “Regna il tuo Dio” (Is 52, 8).

Miei cari fratelli, miei cari Acheruntini e diocesani convenuti in pellegrinaggio in questa basilica millenaria, cari sacerdoti ministri della pace dello Spirito Santo, illustri autorità civiche servitori della pace e della giustizia sociale, non potrebbe verificarsi anche oggi per impulso di S. Canio e del suo patrocinio il messaggio della pace? La pace evangelica che dalla grazia di Cristo apporta all’umanità fraternità, rispetto, carità, comunione, vero progresso. Anzitutto pace fra i credenti in Cristo, clero e laici: bisogna superare le divisioni, le discordie, le distanze, le incomprensioni, aumentare sempre più gli sforzi per la concordia, il dialogo, l’incontro, la fiducia, l’amicizia e la collaborazione. Pace nelle nostre cittadine: occorre riprendere con coraggio sociale e civico, religioso e culturale, l’impegno per il bene e la pace della nostra società lucana, come ad Acerenza avvenne all’inizio del secondo millennio. Le nostre popolazioni hanno bisogno di segnali di rinnovamento e di apertura, sia nel campo economico e civile, sia nel campo religioso e spirituale. L’inverno demografico e l’emigrazione forzata, unitamente ad altri fattori di cui abbiamo precise responsabilità storiche e attuali, hanno comportato il crollo economico dell’Italia e della Basilicata. Senza figli e famiglie non c’è popolo e senza popolo non c’è vitalità economica e progresso, ma solo individualismo e cinismo nella vana rincorsa al miraggio dell’opulenza solitaria. Ma il pane mangiato da soli è senza gioia, non ha sapore e finisce presto. Dobbiamo mangiare il pane insieme agli altri: la famiglia, i figli, i giovani, i poveri, i forestieri. Dobbiamo mangiare il pane frutto del lavoro onesto e tenace, frutto del lavoro di tutti e per tutti.

  1. Canio vescovo, martire di Cristo, che portavi nei viaggi di pace e di fede il tuo bastone di pellegrino, di sacro pastore e di difensore, quel bastone che custodiamo qui gelosamente accanto all’urna nascosta e misteriosa delle tue reliquie, come segno di protezione, di bontà e di verità… S. Canio chiediamo a te e alla potente Regina del cielo la sempre Vergine Maria l’ intercessione perché l’unico grande Dio Padre, Figlio e Spirito Santo ci doni la gioia del Vangelo, la grazia della pace e la salute dell’anima e del corpo.