Omelia della Messa crismale 28 marzo 2018

28-03-2018

Omelia della Messa crismale, 28 marzo 2018, cattedrale, Acerenza.

Carissimi tutti in questa santa convocazione; i fedeli laici consacrati con l’unzione nel Battesimo e nella Cresima; i fedeli sacerdoti consacrati in modo speciale con l’unzione nel sacramento dell’Ordine; i catecumeni che, venuti dall’Africa, attendono con gioia e penitenza la consacrazione battesimale e crismale per la comunione eucaristica; i ragazzi e i giovani che attendono il completamento della iniziazione cristiana con l’unzione della Confermazione; gli ammalati che attendono il nuovo olio della consolazione per le loro infermità e il sollievo del loro animo nel sacramento dell’Unzione degli infermi. Ecco la santa Chiesa di Dio che è in Acerenza: tutti i fedeli di Cristo con il Vescovo, i presbiteri, i diaconi, i seminaristi, le religiose, sotto lo sguardo amorevole della Vergine Maria Assunta, l’intercessione potente dei martiri S. Canio, S. Mariano e S. Laviero, dei Santi patroni parrocchiali e del nostro caro fraticello il beato Egidio da Laurenzana, nel suo Anno Giubilare Diocesano. “Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore, ministri del nostro Dio sarete detti …Concluderò con loro un’alleanza eterna… Coloro che li vedranno riconosceranno che essi sono la stirpe benedetta dal Signore” (Is 61, 6-9), abbiamo ascoltato dal profeta Isaia.

Cari fratelli sacerdoti, mi rivolgo a voi, ma anche a me, poiché se per voi sono vescovo, con voi sono sacerdote. Un anno ancora abbiamo trascorso dall’ultima Messa Crismale: quanto cammino di grazia, quanta misericordia del Signore nei Sacramenti che abbiamo servito al popolo cristiano; quanta verità abbiamo seminato nei cuori con l’evangelizzazione, la predicazione, la catechesi, le omelie; quanta carità di Cristo nelle opere di misericordia corporali e spirituali nelle case canoniche, nelle parrocchie, nella Diocesi; quanti incontri di spiritualità e di fraternità per i ragazzi, i giovani, le famiglie; quanto amore per gli anziani e gli ammalati, i poveri, i deboli e i bisognosi; quanta preghiera e contemplazione, meditazione e adorazione senza cui non avrebbe avuto alcun senso tutta l’opera di dedizione e di sacrificio verso la Chiesa, la sposa di Cristo, per la quale siamo stati chiamati e mandati. Siamo “lievito di fraternità”, come dal titolo del cammino di formazione che l’Episcopato Italiano ci ha offerto e che noi stiamo seguendo negli incontri mensili.

Un tempo anche di momenti difficili, di esperienze tristi per le nostre comunità, per le nostre famiglie, per la nostra stessa persona. A volte il peso delle responsabilità e della missione, la fatica dell’obbedienza, il fascino delle falsità mondane, gli inganni dei tempi in cui viviamo, la delicata situazione sociale della nostra amata Arcidiocesi e della nostra Basilicata, ci danno preoccupazione e sofferenza. Soffriamo con il nostro popolo e gioiamo delle sue piccole vittorie, speriamo in un futuro migliore illuminato per noi non da illusioni ideologiche, ma dalla luce certa e chiara del Vangelo di Cristo. Permettete il mio pensiero per i sacerdoti anziani e sofferenti: esorto il clero più in salute e più giovane a far di tutto per donare un’anzianità felice e dignitosa a questi nostri padri , i presbiteri avanti negli anni, favorendo la loro preziosa testimonianza di spiritualità, paternità, esempio sacerdotale, coraggio e pazienza.

Tempi funestati per noi sacerdoti anche dalle dolorosissime notizie di nostri fratelli che non sono stati capaci di mantenere ben fermo l’aratro a cui hanno messo mano: si sono voltati indietro, si sono fatti ammaliare da sirene perverse, manipolati da debolezze e tentazioni sono crollati nell’errore, nel vizio e nel peccato, provocando grave scandalo negli innocenti e nei fratelli più piccoli di Cristo.

Tutto però si può espiare, tutto si può sanare, tutto si può curare, tutto si può far risorgere, tutto si purifica con una Quaresima sincera di pentimento e di conversione e tutto si salva con la Pasqua di Cristo.

Vedete miei cari fratelli nel sacerdozio ministeriale, in questa vocazione meravigliosa in cui il Figlio di Dio Sposo della Chiesa ci ha voluti coinvolgere, in questa chiamata preziosa che ci dona gioia e pace, vi vorrei dire una cosa. La liturgia di ordinazione ci costituisce come sacerdoti con una caratteristica peculiare, ci costituisce come uomini dei tre baci quotidiani: solo tre, niente altro e niente di più, ma sufficienti per far di noi uomini sacri, celibi, casti e fecondi. Sono i tre baci nella liturgia eucaristica.

Un primo bacio è all’arrivo all’altare: è segno della nostra vocazione, siamo stati chiamati e presi dagli uomini per essere costituiti nelle cose di Dio. Arrivare all’altare per noi significa il cammino che abbiamo fatto nella vita, nella formazione, nella preghiera, nel servizio. Abbiamo i piedi stanchi a causa del pellegrinaggio, ma adesso siamo arrivati rivestiti delle vesti di salvezza, della stola della salute. Abbiamo le mani logore, ma unte con il Crisma odoroso. Tocchiamo l’altare, lo abbracciamo e lo baciamo: l’altare è Cristo sommo eterno Sacerdote che ci ha chiamato, trono del Re che ci ha nominati ministri, talamo dello Sposo che ci ha unito alla sua Sposa per servire e sacrificarci nell’amore totale. Il primo bacio.

Poi ci accostiamo alla Scrittura, la proclamiamo e acclamiamo “Parola del Signore”. Secondo bacio. Baciamo il kérigma, l’eunghélion, il lògos di Dio, di cui siamo annunciatori e banditori. Ci fu consegnato il libro dei Vangeli e ci fu detto: “Ricevi il Vangelo di Cristo del quale sei divenuto l’annunciatore. Credi sempre a ciò che proclami, insegna ciò che hai appreso nella fede, vivi ciò che insegni”. Baciamo ancora il Signore che parla al suo popolo e si serve di noi per continuare a parlare. Le nostre labbra si avvicinano alla Scrittura, la dobbiamo divorare come il profeta, dolce in bocca e amara nelle viscere, perché impegnativa. “Quando le tue parole mi vennero incontro, le divorai con avidità; la tua parola fu la gioia e la letizia del mio cuore”, dice Geremia (Ger 15, 16). Il respiro dello Spirito Santo, che ha fatto scrivere quelle parole sacre, si comunica al nostro spirito: dobbiamo impregnarci di esse come una spugna, vita della nostra vita. Nella sinagoga di Nazaret Gesù si rivela: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato” (Lc 4,21).

Resta ancora il terzo bacio del giorno. Ancora all’altare. Dopo la parola, Cristo si offre in sacrificio per il suo popolo, si serve di noi, delle mani, della mente per la prece eucaristica, l’epiclesi e la consacrazione. Ci sentiamo piccoli e insignificanti quando consacriamo l’Eucaristia, scende il fuoco dello Spirito. Le labbra purificate pronunciano le parole della Cena mistica e del Golgota, pane e vino diventano Corpo e Sangue di Cristo, il mysterium fidei si realizza davanti a noi sull’altare. Ne mangiamo noi e tutti gli altri figli, il Pane vivo disceso dal cielo. Ci saziamo alla manna e al calice di salvezza. Ecco perché baciamo l’altare un’altra volta. È la mensa che ci da vita eterna, che nutre la Chiesa ai quattro angoli della terra, che dona il Pane del cammino. Il terzo bacio è il bacio della partenza per la missione: Gesù Risorto, dopo averci nutrito, ci manda. Ite missa est! Ci manda in tutto il mondo per annunciare il suo Vangelo. “ Mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore” (Lc 4, 18-19, cfr Is 61,1-2), rivela Gesù nella sinagoga di Nazaret.

Il sacerdote: l’uomo dei tre baci, uno al Vangelo e due all’Altare. L’uomo consacrato al Vangelo e all’Altare: tutto poi ne diventa conseguenza, conseguenza onesta e genuina, senza finzioni o deviazioni. La povertà: dimensione di libertà dalle cose, dagli interessi personali, dall’attaccamento alle posizioni e ai ruoli, alle ambizioni o ai calcoli, libertà dalle paure e dai timori. La castità: amore più grande di donazione totale a Dio e al servizio ai fratelli nella comunità ecclesiale. Essere in Cristo sacerdote e sposo in sacrificio di soave odore sull’altare della croce, l’offerta del corpo e dell’anima alla Chiesa per una fecondità molto più fruttuosa e duratura. L’obbedienza: distacco dal proprio io, dai propri progetti e pensieri, come abbandono fiducioso e gioioso nelle braccia del Signore, come offerta di sé alla volontà divina che si manifesta nella sua parola, negli eventi e nelle persone che Lui pone sul nostro cammino. Ecco perché baciamo tre volte al giorno, perché siamo ricchi soltanto delle sua Parola e del suo Altare. Tutto il resto è idolatria. Rivela Gesù a Nazaret: “Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione” (Lc 4, 18, cfr Is 61,1).

Cari fratelli sacerdoti, cari diaconi, cari fedeli laici, cari giovani catecumeni, facciamoci guidare dallo Spirito Santo, il Maestro interiore. Profumano le nostre mani del sacro Crisma, come profuma la fronte crismata di questo popolo santo: noi, ministri del Signore per consacrare con queste mani i divini misteri, specialmente il Corpo santo e in Sangue prezioso; questo popolo, regno di sacerdoti, con il Pane di Dio da noi imbandito, per affrontare la testimonianza suprema da dare al mondo. Noi non abbiamo paura. Abbiamo ascoltato dall’apostolo s. Giovanni: “Dice il Signore Dio: io sono l’Alfa e l’Omèga, colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!” (Apoc 1,8).