Messa in Coena Domini

13-04-2017

Omelia giovedi santo 2017

       Miei cari fratelli e sorelle, cari sacerdoti, festeggiamo il nostro giorno, prima del dolore ci regalò la gioia, cioè i sacerdoti per Eucaristia e l’Eucaristia per la Chiesa. Aveva tutti i Dodici radunati attorno a sé nel cenacolo, un presentimento nel cuore degli Apostoli, qualcosa di drammatico stava per succedere: “Uno di voi mi tradirà”,… mi consegnerà per essere condannato e per morire in croce. La costernazione e lo scandalo pervadono gli animi, il volto degli primi discepoli si rattrista: in pochi attimi, restano in undici, uno di loro esce in fretta nella notte, sconvolto e determinato per quel che doveva fare.

   Restano nella intimità della Pasqua antica, e Gesù come padre di famiglia presiede il rito dell’Esodo, ma istituisce il rito della nuova ed eterna Alleanza. Prese il pane e disse “Questo è il mio corpo che è per voi; fate questo in memoria di me”. Prese il calice e disse: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me”, cosi scrive l’apostolo Paolo nella prima lettera ai Corinzi che abbiamo proclamato. L’apostolo assicura che ha ricevuto dal Signore quello che a sua volta trasmette: la celebrazione dell’Eucaristia, della Cena del Signore.

   Gesù, prima di essere consegnato dal tradimento di Giuda, volle consegnarsi già spontaneamente e per amore nell’Eucaristia, volle consegnarsi nelle nostre mani per unirsi a noi nel Sacramento, per far di noi adoratori in spirito e verità. Così illuminava con l’offerta del pane e del vino chiamati da lui, che è verità, suo Corpo e suo Sangue, il sacrificio del suo corpo e l’effusione del suo sangue sulla croce. Ma non solo: in quel pane-Corpo suo e in quel vino-Sangue suo, manifestava la risurrezione del suo Corpo e il dono del suo Sangue per sempre nella celebrazione continua e perpetua dei suoi discepoli, la S. Messa.

     Come nel cenacolo, prima ci dona la sua parola, poi il suo Corpo e Sangue; come sul Golgota si offre come vero Agnello di Dio, di cui l’agnello antico era solo segno e prefigurazione; come nel Giorno dopo il sabato, quando apparve agli Apostoli e ai discepoli nel suo vero Corpo e con le sue vere ferite, ma ormai nella vittoria e nella gloria.

     “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna, non morirà, mai!”. Sono duemila anni che celebriamo ininterrottamente la pasqua del Signore nell’Eucaristia, sono secoli e secoli che mangiamo il suo Corpo e beviamo il suo Sangue nel sacrificio dell’altare: molti in questi secoli hanno voluto strapparci l’Eucaristia, molti l’hanno denigrata e disprezzata, bestemmiata e profanata, rifiutata e non creduta. La presenza reale, vera e sostanziale di Cristo Dio, sotto le specie del pane e del vino nella consacrazione celebrata dal sacerdote vero, ha fatto problemi non solo ai pagani, ma anche agli stessi cristiani, molti dei quali hanno reagito o con l’eresia o con l’indifferenza. Noi cattolici, anche davanti agli fratelli cristiani delle diverse confessioni, siamo stati irremovibili per quanto riguarda la fede eucaristica. Non si può dubitare di fronte alla parola certa e veritiera di Gesù, che alla vigilia della sua morte non aveva certo voglia di scherzare o di istituire una recita: “Questo è il mio Corpo, questo è il mio Sangue”, verbo Essere, verbo della realtà. Come fu vero corpo suo sulla croce, come fu vero quel sangue versato dal legno, come fu vero corpo quello che Pietro vide, che le pie donne abbracciano, che Tommaso toccò con la mano inserita nella ferita del costato, cosi è vero e reale il suo Corpo, il suo Sangue, vera la sua persona, reale la sua vita, contemporanea la sua presenza nell’Eucaristia. L’Ostia santa e santificatrice, la vittima immolata per la nostra redenzione.

     Beato il cristiano che ha avuto la grazia di essere conquistato dal mysterium fidei, il mistero della fede; beato quel cristiano che pentito e convertito, risanato dal sacramento della Penitenza, si avvicina al banchetto delle nozze dell’Agnello, all’altare dove è preparato il Pane del disceso dal cielo e il Calice della salvezza. “Il tuo calice, Signore è dono di salvezza”…e noi sacerdoti, beati noi, che siamo stati donati a questo popolo santo, a quasta stirpe eletta, a questo popolo di sua conquista. Tutto ciò che il Signore ha stabilito, tutto dobbiamo operare: l’annuncio del Vangelo, la catechesi delle verità divine, la celebrazione devota della liturgia e dei sacramenti , l’indicazione dei comandamenti con la nostra vita, le opere di carità e di servizio a fratelli, la guida delle comunità cristiane, ma il ministero più grande e più sublime è quando ci avviciniamo all’altare e con la nostra pochezza ci apprestiamo a celebrare la Messa con il popolo radunato. Quando, dopo aver ricevuto dalla bontà divina e presentato le offerte frutto della terra, della vite del lavoro, noi imponiamo le mani tremanti su di esse, avviene il miracolo ogni giorno: l’Emmanuele, il Dio con noi. “Fate questo in memoria di me!”, abbiamo ascoltato dal Vangelo di questa solennità. Dove memoria non significa ricordo simbolico, ma significa attualizzazione qui e ora, perché è risorto e manda dal Padre il suo Spirito in pienezza.

   “Che cosa renderò al Signore per tutti i benefici che mi ha fatto? Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore”, abbiamo pregato al salmo. Pregate per noi, fratelli e sorelle, inimmaginabile e indescrivibile è la missione a cui noi sacerdoti siamo stati chiamati: invocare il Padre affinché mandi il suo Santo Spirito e venga il Signore Gesù con il suo corpo e il suo sangue, con la sua anima e divinità, per entrare in comunione con noi. Questo è il sacerdozio da noi ricevuto senza merito e per sola grazia. “Se il sacerdote sapesse chi è veramente, ne morirebbe”, affermava S. Giovanni Maria Vianney, il santo parroco di Ars. Perdonateci, fratelli e sorelle, quando non ci vedete all’altezza, perché il dono è immenso e il servo è meno che nulla, però sappiate e considerate sempre che il Signore Gesù è il padrone ed è lui che governa e provvede, noi siamo solo strumenti, e se i nostri difetti ritardano o ostacolano il suo amore, la sua grazia opera e fruttifica, anche a dispetto di mezzi inefficaci e inadeguati.

   Il comandamento della carità: oggi noi sacri ministri, a riprova del nostro servizio, ci pieghiamo davanti a dodici fedeli e laviamo loro i piedi. Come nel dono eucaristico Cristo Signore e Maestro si fa nostro servo, come sulla croce il Signore si abbassa fino all’estremo con una morte da schiavi, cosi ci comanda di amarci gli uni gli altri come lui ci ama. Non è un consiglio, è un comandamento che rivela la novità della fede in lui: “Da questo vi riconosceranno che siete miei discepoli, se vi amate gli uni gli altri”. Non abbiamo altra carta di identità, noi cristiani, se non quella di essere pasquali ed eucaristici lavando i piedi al prossimo, anche ai nostri avversari. Come? Con la carità e l’amore, di cui la manifestazione più grande è il perdono, il perdono.

     Noi accogliamo questi cari giovani, ospiti della comunità di Siano di Genzano, questi cari fratelli. Hanno tanto sofferto, il loro cammino ha conosciuto tante difficoltà, tante delusioni, tanti pericoli. Spesso hanno lottato, alcune volte hanno vinto, altre volte hanno perduto: adesso sono qui con noi, salutiamo i loro responsabili di comunità. Siamo attorno alla mensa del Crocifisso risorto, li abbiamo invitati a fare Pasqua con noi, a fidarsi di Cristo che si piega al loro cospetto e lava i loro piedi, fascia le loro ferite, consola il loro pianto, come fa con tutti i sofferenti, i bisognosi, i poveri. Come fa sempre con tutti noi. “Sono venuto per curare i malati, non per quelli che si sentono sani” dice il Signore. Vieni, Medico celeste, vieni con la tua presenza eucaristica, con la tua presenza nei sacerdoti, siamo tutti bisognosi di te, non abbandonarci. Ecco i nostri piedi doloranti per il lungo e difficile cammino di questa vita, lavaci non solo i piedi, ma tutta la persona, perché vogliamo aver parte con te e non vogliamo perderti, come ti disse Pietro,… e ti perse subito con il peccato di rinnegamento, e pianse amaramente, e ti riebbe di nuovo quando pentito sulle rive di Galilea ti vide vivo e vivente per sempre. Lavaci i piedi, Gesù Signore, e donaci la grazia di saperli lavare agli altri. Solo così facendo entreremo nel tuo Regno!