Meditazione Seminaristi II Domenica di Quaresima

17-03-2019

Meditazione sul Lezionario Liturgico della II domenica di Quaresima – C

Per i Seminaristi del Seminario Maggiore di Potenza

 

Nella seconda domenica di Quaresima la Chiesa ci offre sempre come lettura evangelica l’episodio della Trasfigurazione di Gesù, quest’anno nella versione di S. Luca. Dopo aver seguito il Signore nelle tentazioni del deserto da parte di Satana e aver ricevuto forza e incoraggiamento dalla sua vittoria, il vangelo della trasfigurazione ci presenta una salita sul monte, presi da Gesù, come fece con i tre Apostoli.

Salì sul monte a pregare: ravvisiamo già nel primo verso un tratto fondamentale del cammino quaresimale e della vita del cristiano, cioè la preghiera. Per pregare bisogna salire, elevarsi sul monte della solitudine con Dio e con Cristo, sotto la mozione dello Spirito Santo, come lo Spirito sospinse nel deserto Gesù per pregare ed essere tentato. Una preghiera individuale, ma anche comunitaria, infatti Gesù coinvolge Pietro, Giacomo e Giovanni nella salita per pregare e per farli testimoni della sua gloria divina.

Nella preghiera Cristo si trasfigura e si rivela, trasfigurandosi, cioè una metamorfosi secondo il termine greco: luce, una teofania di luce. “Luce da Luce, Dio vero da Dio vero”, afferma il simbolo della fede, come già il Signore rivela ancora nel Vangelo: “Io sono la luce del mondo, chi mi segue, non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12).

Oltre alla luce divina che splende sul suo volto, c’è la luce della rivelazione divina che viene vista e proclamata. Accanto a lui conversano vivi Mosè ed Elia, cioè La Legge, la Torah, e la Profezia, i rappresentanti della rivelazione della prima Alleanza, e indicano in Gesù il centro e il compimento dell’itinerario della storia della salvezza. Nella trasfigurazione di Gesù sul monte, davanti ai testimoni, i tre apostoli, rappresentanti del nuovo popolo che è la Chiesa, appare la rivelazione tutta intera: Mosè ed Elia, l’annuncio e l’attesa; Cristo, il compimento definitivo. Tutto è luce e vita, tutto è chiarezza e verità. Ma ancora c’è altro. Mosè ed Elia conversano con Cristo del suo esodo da compiersi in Gerusalemme: la Pasqua definitiva, l’esodo antico che trova il suo pieno significato e la sua efficacia universale nel sacrificio del vero agnello, cioè Gesù in croce.

Pietro e suoi compagni erano oppressi dal sonno, dice il Vangelo. Ovviamente non il sonno fisico, ma quello misterioso descritto nei testi biblici nei momenti solenni della rivelazione e della comunicazione di Dio. Il sonno dell’uomo, di fronte a Dio che si rivela alla sua piccolezza, è nello stesso tempo una visione e una esperienza della divinità che si fa conoscere e fa conoscere un suo messaggio. Lo si afferma nella prima lettura, Genesi al capitolo 15: Abramo riceve la promessa di essere capostipite di una discendenza numerosa come le stelle del cielo, il patriarca crede e domanda di sapere il come. Dio gli comanda di preparare un sacrificio di alleanza. Mentre attende il fuoco del Signore che scenda sulle vittime, afferma il testo sacro, cadde su di lui un torpore, insieme a un terrore e una oscurità. E’ il momento in cui l’uomo sincero sta davanti a Dio grande e potente, creatore e signore del cielo e della terra, è il momento della conoscenza di qualcosa della sua essenza, della sua identità, conoscenza che viene concessa solo dalla sua bontà e volontà, non dal merito umano. E nell’oscurità e nel torpore, Abramo vide il fuoco di Dio passare in mezzo alle vittime sacrificali e il Signore concluse con lui l’alleanza. E’ il sonno biblico come momento decisivo per conoscere quanto il Signore vuole rivelare di sé e vuole fare con l’uomo: il sonno di Adamo, il sonno di Giacobbe, il sonno di Giuseppe di Nazaret, che la S. Scrittura chiama giustamente anche “sogno”.

Ma ritorniamo sul monte della trasfigurazione. Si tratta di due avvenimenti correlati. Mentre la Torah, Mosè, e la Profezia, Elia, scompaiono, si separano da Cristo e Pietro balbetta di voler restare per sempre in quel sonno di luce e di bellezza, volendo fare tre tende per Gesù e i due personaggi dell’Antico Testamento, ecco una seconda rivelazione: la nube. La nube di JHWH, non più sul mare Rosso, non più sul Sinai, non più sulla Tenda e sul Tempio, ma su Gesù, come anche già su Maria di Nazaret al momento dell’annuncio dell’angelo. Li copri con la sua ombra. E’ la presenza dell’Onnipotente, dell’Eterno, che rivela e si rivela. Gli apostoli entrano nella nube e hanno paura. Sono coinvolti nella rivelazione di Dio e giustamente, come deve essere nell’uomo, hanno l’esperienza della paura di essere piccoli di fronte all’Immenso, di essere deboli di fronte all’Onnipotente, di essere peccatori di fronte al Santissimo.

La nube di Dio non è per confonderli e annientarli, ma per abbracciarli in una nuova dimensione: l’identità di Gesù, che non è soltanto il Cristo, il Messia, l’Unto, il Consacrato. Infatti dalla nube esce la voce: “Questi è il Figlio mio, l’eletto: ascoltatelo” (Lc 9, 55). Gesù è il Figlio di Dio amatissimo e se Gesù è il Figlio vuol dire che Dio è il suo Padre: si rivela il Padre e rivela il Figlio. Nella trasfigurazione sul monte i tre Apostoli ricevono la rivelazione di Cristo vero Dio e vero uomo, la rivelazione del suo esodo pasquale, che ricorderanno e comprenderanno e annunceranno pienamente nello Spirito Santo dopo l’evento della croce, dove su un altro monte, il Calvario, il vero uomo Cristo si abbasserà totalmente fino alla morte, per risorgere, vero Dio, il terzo giorno nella luce gloriosa.

Cosa insegna a noi l’episodio del monte? Lo dice S. Paolo nella lettera ai Filippesi che viene proclamata in questa domenica II del tempo quaresimale. Nel battesimo della Pasqua di Cristo siamo diventati cittadini del cielo e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo risorto “il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso” (Fil 3,20). Nella fede e nel battesimo, nella sequela di Cristo, nell’amore suo per noi, nella sua morte e risurrezione, nella fedeltà al suo comandamento nuovo, nel suo volto luminoso, noi troviamo la nostra trasfigurazione di luce e di salvezza, noi entriamo nella nube protettiva e liberante del Padre: per noi l’esperienza del monte significa fare tenda con Gesù, sia nel cammino difficile dell’esodo quotidiano e terreno, sia nella tenda definitiva del Regno.

Essere trasfigurati in Cristo significa per noi non comportarci come nemici della croce di Cristo nella tentazione di arrivare subito alla luce senza passare anche per i momenti oscuri, come quelli che, dice l’Apostolo, vanno in perdizione perché “il ventre è il loro dio. Si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra” (Fil 3,19).  Nel deserto della vita, nella salita al monte, siamo chiamati sempre a pregare e a confidare: “Il Signore è mia luce e mia salvezza: di chi avrò timore? Il Signore è difesa della mia vita: di chi avrò paura?” (salmo 26/27,1). In una continua vita cristiana di Quaresima e di Pasqua, siamo chiamati a dirgli con umile abbandono in lui: “Maestro, è bello per noi stare qui” (Lc 9, 33). Con Te.