Ascensione del Signore, Omelia, 13 maggio 2018, nella Dedicazione della Cattedrale

13-05-2018

Ascensione del Signore, Omelia, 13 maggio 2018, nella Dedicazione della Cattedrale.

Cari fedeli di Cristo, cari fratelli sacerdoti concelebranti e reverendissimi canonici, guidati dal presidente mons. Antonio Cardillo, reverende Suore di S. Bernardetta del Burundi, cari Coristi convenuti per la rassegna delle Corali . “E’ asceso il buon Pastore alla destra di Dio, veglia il piccolo gregge con Maria nel cenacolo”, canta la liturgia in questa solennità dell’Ascensione del Signore, differita in Italia a questa Domenica VII del tempo di Pasqua.

Ancora una volta risuona l’annuncio pasquale, il kerigma perenne. Infatti ascoltiamo dall’odierna lettura degli Atti degli Apostoli: “Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, per quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio” (Atti 1,3). La presenza di Cristo risorto non viene mai meno nella sua Chiesa, ma il tempo della permanenza con gli Apostoli giunge al suo compimento: “Fu assunto in cielo…fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi” (Atti 1,9). Aggiunge il Vangelo di Marco, oggi proclamato: “Fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio” (Mc 16,19). Cosa festeggia dunque, in particolare, la Chiesa santa e cattolica in questo giorno? Lo spiega benissimo la preghiera iniziale di questa gioiosa solennità. Nel Figlio di Dio asceso al cielo la nostra umanità è innalzata accanto al Padre, e noi membra del suo corpo, viviamo nella speranza di raggiungere Cristo nostro capo nella gloria. Nell’incarnazione è disceso il Verbo eterno e si è fatto uomo nel grembo della Vergine Maria, nella Pasqua e nell’Ascensione il Verbo ritorna al Padre, ma ormai unito indissolubilmente alla natura umana. In Cristo la natura umana è glorificata, e il nostro Capo ci precede. Non è un mito o una teoria religiosa, è il trionfo in Cristo della nostra umanità, redenta dal suo sangue versato sulla croce. L’uomo non è condannato in eterno alla polvere della terra, alla fatica, alla sofferenza e alla morte, nella Pasqua e nell’Ascensione del Signore Gesù l’uomo può e deve ascendere alle altezze divine, il cielo lo chiama, il cielo lo vuole, e tutto questo è possibile e a portata di mano nella grazia del Cristo, vero Dio e vero uomo.

Il Signore non ci lascia soli, ma, come abbiamo ascoltato, ci dona la “promessa del Padre…battezzati in Spirito Santo..la forza dallo Spirito Santo” (Atti 1, 4-5.8), per fare di tutti noi i suoi testimoni fino ai confini della terra. Adorando Cristo asceso al Padre, noi siamo investiti della missione di annunciarlo ovunque con la vita e con le parole. E’ il tempo della Chiesa, il tempo della missione, della carità, dell’impegno. Afferma oggi la lettura che occorre andare in tutto il mondo, proclamare a tutti il Vangelo, e la professione della fede e l’accoglienza del battesimo diviene dono di salvezza, liberazione dal demonio, comunicazione in ogni lingua del precetto dell’amore, vittoria sui serpenti e i veleni del male, guarigione degli uomini nel corpo e nello spirito. “Allora essi partirono e predicarono dappertutto” (Mc 16,20). E’ proprio questo fa la Chiesa, dall’origine ai nostri giorni: partire e predicare. Lo propone continuamente il papa Francesco: Chiesa in uscita e annuncio permanente della salvezza di Cristo risorto. Lo stiamo proponendo a tutti noi, chierici e laici, in questa cara arcidiocesi di Acerenza, in questo primo biennio del mio episcopato dedicato alla gioia del Vangelo. Non dobbiamo scoraggiarci o bloccarci nella missione dell’annuncio, dell’evangelizzazione, della predicazione, della catechesi, della profezia: “Il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che l’accompagnavano” (Mc 16,20), ci rassicura il testo evangelico. Il Signore Gesù, proprio in quanto risorto e asceso al cielo, opera nella Chiesa ed effonde continuamente dal Padre lo Spirito Paraclito, il dono permanente della Pentecoste.

E’ partiamo cantando, camminiamo inneggiando, proclamiamo la parola di Dio in cantico di lode: la polifonia di questi stimati Cori lucani, che stasera servono la celebrazione liturgica e passano in rassegna, vuole echeggiare la polifonia architettonica di questa nostra antica basilica cattedrale. L’armonia di questo sacro edificio innalzato a gloria di Cristo e di Maria, di cui oggi ricordiamo la Dedicazione, ci porta alla memoria quanto abbiamo ascoltato nella seconda lettura, la lettera di S. Paolo agli Efesini: “Comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto” (Ef 4,1). E’ la chiamata del battesimo, la chiamata alla fede, alla Chiesa, alla salvezza, alla santità. Vorrei rivolgere queste parole a me, a voi, all’intera comunità diocesana, ai cari fratelli e sorelle delle parrocchie di Acerenza, che si riconoscono uniti nel segno della cattedrale. Custodite la chiamata, la vocazione, la grazia di Cristo. Abbiate fiducia maggiore nelle guide ecclesiali, evitate i pregiudizi, i sospetti, gli equivoci, le parole vane, camminiamo insieme nella fraternità, nella concordia e nella confidenza. L’Apostolo oggi ci esorta all’umiltà, alla dolcezza, alla magnanimità, all’amore vicendevole, all’unità dello spirito, al vincolo della pace: queste sono le pietre con cui si costruisce la cattedrale spirituale della nostra vita in comune. Perché una sola è la speranza alla quale siamo stati chiamati, una sola è la fede ricevuta con il battesimo, uno solo è il Signore Gesù Cristo che ci ha salvati, un solo Padre è “al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti e è presente in tutti “ ( Ef 4,6). La cattedrale fu costruita quasi novecentoquaranta anni fa, e si erge maestosa su questo monte e su questa roccia. Ma è compito nostro costruire ogni giorno la cattedrale del cuore e della comunità a servizio dell’Arcidiocesi e delle parrocchie. Acerenza, nella sua componente cristiana, ma direi anche sociale, deve dare l’esempio a tutti i fedeli diocesani: esempio di unità pastorale, di frequenza assidua e unitaria alla liturgia, di collaborazione e partecipazione, di corresponsabilità nella testimonianza e nella solidarietà. I fedeli diocesani ci guardano, non possiamo disperderci in particolarismi e divergenze.

D’altronde l’abbiamo ascoltato da S. Paolo agli Efesini: “Egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo” (Ef 4, 11-13). Abbiamo una comunità diocesana con tanti doni e carismi, abbiamo una città episcopale con tanti aspetti consolanti e incoraggianti: lavoriamo insieme nell’unità della fede e nella conoscenza del Figlio di Dio, ci dice ancora l’Apostolo in questa domenica dell’Ascensione.

Dio ha dato ad alcune cristiane di essere Suore, cioè in un istituto religioso di vita consacrata nella castità, povertà e obbedienza. Stasera, davanti a Cristo risorto che ascende al cielo, le nostre Suore di S. Bernardetta del Burundi emetteranno i voti temporanei nelle mani del Vescovo secondo le disposizioni della madre generale suor Daphrose Ndabambarire. Sono con noi già da novembre. Ormai hanno imparato abbastanza la lingua, sono residenti nella casa di riposo“A. D’Alessio”, aiutano nel servizio agli ospiti ivi accolti, ma la loro presenza è per la cittadina e per le parrocchie di Acerenza. Si occuperanno sempre di più dell’adorazione eucaristica, della visita alle famiglie, dell’assistenza spirituale agli anziani e agli ammalati nelle case, della vicinanza ai giovani e ai ragazzi, della collaborazione nella liturgia, catechesi e annuncio, dell’aiuto pastorale per le coppie che vivono fragilità e ferite. Come ci insegna il Vangelo di oggi, le Suore sono qui per essere chiesa in uscita, sono qui per essere missionarie fra la gente e per la gente. Mi dispiacerebbe molto se questa loro missione in Acerenza, prima casa della loro Congregazione aperta in Italia, non raggiungesse questo fine.

Oggi anche un giorno mariano particolare nel mese di maggio dedicato alla Madonna: l’anniversario delle apparizioni di Fatima, cento e uno anni fa. Qui in Acerenza il mese di maggio vissuto alla cappella del Madonna del Rosario di Pompei e, ieri sera, la suggestiva inaugurazione dell’edicola della Madonna di Fatima nei quartieri nuovi promossa dalla Legio Mariae, ci danno coraggio cristiano nel guardare alla Madre di Cristo che veglia con noi nel cenacolo in attesa della Pentecoste. Un pensiero di preghiera e di gratitudine affettuosa alle nostre mamme, vere missionarie del sacramento del matrimonio. La Vergine Maria, i santi fratelli Francesco e Giacinta Marto di Fatima, S. Canio, nostro glorioso patrono cittadino e diocesano, di cui iniziano a breve i festeggiamenti, intercedano per tutti noi presso Cristo risorto che siede alla destra del Padre.